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Freelance, le più povere tra i poveri

Nel newsgroup di Giuliagiornaliste si è riaccesa la discussione su una drammatica condizione di vita professionale che colpisce soprattutto le donne

Freelance, le più povere tra i poveri
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2 Luglio 2017 - 22.53


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di Marina Cosi

 

Nel newsgroup di Giuliagiornaliste si è riaccesa la discussione su una drammatica condizione di vita, prima ancora che professionale, quella di moltissimi freelance e soprattutto delle freelance, le più povere fra i poveri. Merito di Elisabetta Ambrosi che aveva rilanciato in lista il pezzo scritto per Il Fatto, il cui titolo parla da solo: Il giornalismo freelance è morto di fame.  Diverse colleghe hanno risposto, tutte denunciando una situazione conosciuta per diretta esperienza o per battaglie sindacali, alcune avanzando proposte, altre cercando le responsabilità. Vi giro quel che ho scritto a caldo ad Elisabetta, ma prima confesso la mia disperazione: vent’anni fa da vicesegretaria nazionale Fnsi avevo caricato il problema a testa bassa, con la prima di una lunga serie di Commissioni Lavoro Autonomo, con convegni, proposte, libri bianchi di denuncia. Quel poco che è stato fatto veniva però sopravanzato dal crescente degradarsi della situazione (mentre io, dai e dai, mi sono se non rotta per lo meno sbucciata le corna …).

 

Cara Elisabetta e care tutte,

questa del trattamento dei freelance è una ferita aperta che si aggrava sempre più assieme all’aggravarsi della crisi editoriale cartacea e alla scarsa o nulla redditività dell’online. Giulia già nel suo manifesto fondativo aveva scritto di voler rappresentare e di battersi per “freelance e precarie, sottopagate e private della dignità e della libertà indispensabile per assicurare qualità e indipendenza” così come per le “giornaliste ma discriminate, ancor più se madri, con retribuzioni più basse e carriere bloccate, emarginate se non rinunciano a esercitare un pensiero libero, critico, autonomo”. Da allora la situazione è solo peggiorata.

Dunque sono d’accordo col tuo grido di dolore e penso che davvero dovremo mettere in campo ulteriori iniziative. Anche con l’aiuto di colleghe brave e impegnate come sei tu – ti leggo con piacere e quasi sempre con condivisione! – e come naturalmente sono tutte le giulie…

Non sono invece d’accordo su due tuoi giudizi tutt’altro che secondari: cosa sia giornalismo e l’accusa al sindacato.

Scrivi: “riciclarsi come uffici stampa, comunicatrici o altro”, ma l’ufficio stampa è giornalismo e la comunicazione istituzionale pure. Non solo: il dibattito in corso, nel sindacato, è proprio sulla necessità di adeguare ulteriormente i profili professionali ai cambiamenti dei luoghi e delle modalità di fruizione dell’informazione. Ne verrebbero fuori posti di lavoro, da normare o da sottrarre ad altri contratti (come è stato a suo tempo per tco, telereporter e uffici stampa di enti pubblici). Per questo è importante sostenere l’impegno sia del sindacato, dove i freelance hanno rappresentanza in Consiglio nazionale ed in Commissione contratto, sia dell’Istituto di previdenza (che, ricordo, ha un’autonomia decisionale limitata al suo essere per legge un fondo sostitutivo). Invece l’Ordine, che tu citi, nei contratti non ha voce in capitolo; dunque è facile e non impegnativo “protestare”. Mi fermo qui nel commento: subito dopo l’estate si voterà per l’Ordine, nazionale (riformato) e regionali, dunque avremo modo di riparlare dei suoi ruoli e poteri.

Sono certa che tutte assieme potremo dare un contributo, anzi che dovremo darlo sapendo che va battuta la via di nuovi percorsi professionali e di garanzie contrattuali diversamente articolate. Ma sapendo anche che non ci sono soluzioni semplici a problemi complessi.

Un abbraccio affettuoso.

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