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Tu chiamalo 8 marzo

La proprietà di Condé Nast ha deciso di tagliare testate e posti, puntare sul digitale. Tavolo regionale convocato nella giornata internazionale delle donne

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6 Marzo 2018 - 19.17


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Condé Nast ovvero Vogue Italia, Vanity Fair, GQ, Wired, Glamour, AD.Architectural Digest, Condé Nast Traveller, la Cucina italiana. I padroni sono americani, le edizioni coprono l’orbe terracqueo da New York a Tokio e da Londra e Parigi a Chicago, ma qui a Milano l’amministratore delegato è italiano, come pure i giornalisti, in stragrande maggioranza giornaliste. Ora di là dall’Oceano hanno deciso che bisogna chiudere, tagliare testate e posti, “ottimizzare”, puntare sul digitale. Niente più ammortizzatori sociali, che fanno perdere tempo, anche se per strada rimangono donne che sono l’unico sostegno della famiglia o che sono ancora troppo distanti da ogni ipotesi di prepensionamento.

Con un cinismo degno di miglior causa la convocazione al tavolo regionale, a Milano, è stata decisa per l’8 marzo. Intanto, approfittando della Settimana della moda, hanno tenuto una festa al Piccolo Teatro Strehler per presentare la nuova creatura, una piattaforma dal nome impronunciabile di L:isa (Lisa? Laisa? Luisa?) e relativa app. All’insegna, udite udite, “della tag-line #MaiUnaNoia”.  Qui hanno anche orgogliosamente snocciolato i numeri degli attuali utenti unici mensili (27,6 milioni) dei rispettivi siti che si riverseranno e moltiplicheranno in piattaforma. Non hanno parlato invece né delle testate patinate chiuse, né dei quattro anni di contratti di solidarietà non più rinnovati, né dello sciopero, né dei soldi sborsati dalla categoria attraverso l’Inpgi, né dell’organico giornalistico calato ulteriormente a 98 persone, né soprattutto del rifiuto aziendale a trattare. Infine hanno tralasciato di dire che la mirabolante piattaforma non utilizzerà dipendenti giornalisti; forse chissà vedremo qualche collaboratore giornalista….  A dimostrazione – ma questo è un inciso – di quanto sia urgente ricomprendere chi a diverso titolo fa comunicazione sotto il più ampio ombrello del dovere deontologico (nonché i relativi versamenti in gestioni separate sotto l’ombrello Inpgi2)…

Nel primo round delle espulsioni, in autunno, chi ha potuto ha accettato la cosiddetta uscita volontaria, cioè uno scivolo che farà vivere la sua famiglia per un anno. Altri le decurtazioni di ore e stipendi. Ma quale destino attende chi, come cinque giornaliste  – sopra i 40 anni ma sotto ogni illusione di prepensionamento – non ci sta, non ha accettato l’incentivo all’esodo e chiede di essere ricollocata, magari portando la sua professionalità nella piattaforma dal nome scioglilingua (acronimo per Love Inspire Share Advise)? Quale, avendo l’editrice respinto anche la proposta di solidarietà sull’intero gruppo? Licenziamento, altro che love. I posti, parola di ad, sono per una ventina di social influencer…

Intanto, in lontananza, si sentono tuoni. Secondo alcuni media americani la famiglia Newshouse, proprietaria, avrebbe messo in vendita la Condé Nast; fra gli interessati Google e Amazon… o forse Hearst.

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