La Primavera secondo Shirin

Il premio Nobel per la Pace, Shirin Ebadi: "La primavera araba arriverà solo con pari diritti e una informazione libera". Video-intervista di [Mariella Magazù]

La Primavera secondo Shirin
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7 Dicembre 2011 - 15.03


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Il premio Nobel per la Pace Shirin Ebadi, a Roma: “La primavera araba arriverà soltanto quando gli uomini e le donne musulmane avranno gli stessi diritti”. Ed ancora: “Un dittatore che cade non significa la fine di un regime”.Per questo dice la premio Nobel iraniana, le pari dignità e un’informazione libera, sono fondamentali.

Gira il mondo vivendo tra un aeroporto e una stanza di hotel. Il suo armadio è un trolley. E’ il prezzo che da quasi tre anni Shirini Ebadi, premio Nobel per la Pace nel 2003, paga per le sue denunce contro la violenza del regime degli ayatollah che relega le donne in fondo alla scala sociale della vita pubblica, politica e culturale del paese. Un paese nel quale dal 2009 lei non può tornare. La conseguenza sarebbe non poterne uscire più.

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Shirin Ebadi l’abbiamo incontrata lo scorso 25 novembre a Roma nel corso della Giornata internazionale contro la violenza sulle donne promossa da Telefono Rosa. L’occasione è anche la presentazione del libro della giornalista Marisa Paolucci “Tre donne, una sfida”. Le tre protagoniste sono la stessa Ebadi, una giovane deputata afghana Malalai Joya che nel suo primo giorno in parlamento a Kabul ha additato i talebani seduti negli scranni a poca distanza da lei; e ancora l’attivista sudanese Fatima Ahmed Ibrahim, da anni in prima linea nel suo paese dilaniato dalla guerra civile per la difesa dei diritti delle donne.

Tre donne che a latitudini diverse e in diverse situazioni socio-politiche sono impegnate in una battaglia comune: la lotta contro la discriminazione di genere e l’affermazione della pari dignità tra uomini e donne. Shirin Ebadi, 64 anni, è stata la prima donna magistrato iraniana e vicepresidente del tribunale di Teheran. Ma nel 1979, con la presa del potere politico dello Stato da parte dei fondamentalisti islamici a seguito della rivoluzione khomeinista, è stata destituita dall’incarico.

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La motivazione? Una donna non può giudicare un uomo. Così secondo la visione e interpretazione distorte che il regime fa del Corano. Lei non accetta il nuovo ruolo di segretaria del Tribunale e decide di abbandonare la magistratura. Sceglie di essere soltanto un’ avvocatessa. Difende decine di iraniani, uomini e donne, accusati di attentato alla sicurezza nazionale. In Iran questo tipo di accusa viene addebitata a chiunque esprima una qualsiasi forma di dissenso o contestazione contro il regime. Lo stesso che vieta alle coppie di tenersi per mano, tranne se non dichiarano di essere ufficialmente fidanzati alla polizia morale (così si chiama) che per ulteriore certezza convoca le rispettive famiglie.

Il governo di Ahmadinejad, espressione diretta di quella rivoluzione islamica che ha riportato l’Iran indietro di secoli, nel 2009, arresta il marito e la sorella di Shirin Ebadi ritirando a entrambi i passaporti. Loro non possono uscire dal paese e lei non può farvi rientro. Per un’accusa assurda quanto squallida formulata a carico di Shirin: le si contesta il mancato pagamento delle tasse sul premio Nobel, con tanto di denuncia per evasione fiscale. “Accusa infondata in quanto sui premi non è prevista alcuna tassazione”, spiega lei stessa. Ma nel frattempo il governo iraniano ha chiuso la sua Ong, il suo studio legale, sequestrato e venduto all’asta tutte le sue proprietà. “Il Nobel ha reso la mia vita più difficile, è vero” ammette la Ebadi che subito puntualizza: “Il mio modo di agire e vedere le cose però non è cambiato. Neppure quando sono arrivate le minacce di morte a cui ho risposto che la morte prima o poi ci tocca tutti e che è inutile vivere nel terrore di un evento inevitabile”. E poi la tristezza non celata quando dice: “Amo la mia famiglia, ma amo di più la giustizia”.

GIULIA l’ha intervistata al termine di un affollato incontro con alcuni studenti romani organizzato al teatro Quirino. Abbiamo parlato di donne e media, ma anche di quella rivoluzione araba che scuote i regime di mezzo Medioriente e che Shirin ritiene lontana dall’essere compiuta senza l’affermazione della pari dignità. A partire dalla composizione del nuovi governi. Fatto questo che per le donne musulmane scese nelle piazze del Maghreb o in quelle mediorientale dell’Egitto, dello Yemen, della Siria, del Bahrein o salite sui tetti delle case di Teheran, sarebbe un tradimento.

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