I luoghi delle donne: il caso Cgil

Un organigramma interno affollato di donne che dirigono, con percentuali dal 40% al 60%. Tassi di presenza femminile come nella invidiata Norvegia. [Elisa Di Salvatore]

I luoghi delle donne: il caso Cgil
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16 Dicembre 2011 - 01.15


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Nell’Italia di oggi connotata da certo sciovinismo machista la presenza di Susanna Camusso alla guida della Cgil può apparire un’anomalia nella quasi assenza di leadership femminili ai vertici di ogni tipo di istituzione. Ma ancor più anomalo è il suo organigramma interno affollato di donne che siedono nei Comitati Direttivi e nelle Segreterie con percentuali dal 40% al 60% che rimandano ai tassi di presenza femminile della spesso invidiata Norvegia, ma che si registrano in Italia e solo entro la Cgil.

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Ci sono donne a dirigere la Segreteria Nazionale della Funzione Pubblica, dell’Agroalimentare, dei Pensionati, del Lavoro atipico e precario o dell’Inca (Istituto Nazionale confederale di Assistenza) o hanno diretto per quasi un decennio, come Nicoletta Rocchi, il Settore Bancario e Assicurativo, tempio del potere maschile per antonomasia. Donne a capo di Segretarie Generali Regionali, delle Camere del lavoro di Torino, Roma, Viterbo, Terni o Trapani. A guidare 5 Segreterie Regionali e 45 provinciali della Cgil Scuola Università e ricerca,  7 Segreterie Regionali e 33 provinciali dei pensionati e dati simili si trovano snocciolando tutte le altre strutture della Cgil. Un modello da imitare, in una Italia che occupa il fondo di tutte le classifiche per presenza di donne che è stato frutto di un processo contrastato lungo un trentennio che senza l’impegno convinto e costante delle donne non sarebbe stato possibile.

E’ stato il movimento femminista, esploso negli anni ’70 a fare poi irruzione entro la Cgil, travolta dalle nuove leve di giovani donne che  militavano nei collettivi femministi o sceglievano come terreno di iniziativa il sindacato. Ed è qui che si compie la fusione fra femminismo di movimento e femminismo sindacale, che porta dentro una lettura sessuata dell’organizzazione sociale e del lavoro, fa interrogare le donne sul significato del rapporto vita e lavoro nel binomio “lavoro produttivo e riproduttivo”, mette in discussione i modi di lavoro, i tempi, i modelli organizzativi prettamente maschilisti, ma anche i criteri di selezione e formazione dei gruppi dirigenti e la necessita di avere “luoghi di donne”.

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Diverse furono le sperimentazioni di “luoghi di donne” sparse sul territorio: dall’Intercategoriale Cgil-Cisl-Uil di Torino poi in Lombardia, Campania e Puglia al Coordinamento Nazionale FLM (metalmeccaniche) prima di arrivare nel 1982 all’istituzionalizzazione dei “Coordinamenti Donna” entro il sindacato. Un luogo di autonomia ed elaborazione politica delle donne ma anche di proposta e promozione dei quadri femminili nei luoghi di lavoro e dentro la Cgil. Ci furono anche forme alternative di rappresentanza, come “Sindacato Donna” a Torino che teneva insieme donne dentro e fuori il sindacato con l’obiettivo di far prevalere il punto di vista delle donne nelle politiche contrattuali e rivendicative – ricorda Titti Di Salvo, fra le promotrici dello stesso (diventata poi prima Segretaria Regionale donna del Piemonte e Segretaria Nazionale nell’epoca Cofferati per approdare alla Camera come prima donna capogruppo di Sinistra Democratica nel 2007).

Una esperienza di contrapposizioni forse troppo ideologiche fra le femministe egualitarie e le seguaci della “differenza” che porta ad accusare di “omologazione” ai modelli maschili perfino Donatella Turtura, (la prima donna ad entrare nel 1976 in segreteria nazionale) che ebbe a risentirsi non poco, dato il suo cursus honorum in Cgil. Timidezza, diffidenza e conflittualità verso il potere le rendevano poco efficaci nell’arrivare nei luoghi dove si conta e si decide. “Bisogna invece sgomitare per farsi largo e mettere regole e quote vincolanti per tutta l’organizzazione” – consigliò Trentin  ad una giovane Valeria Fedeli (già Segretaria generale dei Tessili e oggi vice segretaria generale della categoria riunita di tessili e chimici).

Cominciò così nel 1984 la battaglia in Funzione Pubblica per ottenere una quota del 20% di donne da inserire nel Direttivo. La “Quota rosa” adottata poi nel 1986 al congresso della Cgil e che porterà nel 1990 all’ingresso di 3 donne in segreteria nazionale (Anna Carli, Fiorella Farinelli, Maria Chiara Bisogni) grazie alla svolta significativa impressa da Trentin. Una battaglia politica che continuò con sempre forti resistenze interne per approdare infine all’adozione della “norma antidiscriminatoria” che stabilisce la rappresentanza di un sesso in misura non inferiore al 40% rispetto all’altro. Un salto di qualità per la democrazia interna, conquistata con passaggi graduali dal 30% per arrivare nel 2001 con Cofferati al 50% di donne in segreteria, modello cui dovrà uniformarsi tutto il sindacato.

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Solo nel 2010 verrà codificato nello Statuto il principio e le sanzioni invalidanti organismi non in linea. Nella tagliola è caduta alcuni mesi fa la Filctem di Napoli che dovrà rifare la segreteria con il 40% di donne. Si arriva così all’oggi con Susanna Camusso, prima donna leader della Cgil. E’ sotto esame da parte di tutti e tutte. Non è usuale essere diretti da una donna, ma col tempo riuscirà a conquistarsi l’autorevolezza che merita e se la consolidata e poco rispettosa liturgia che svuota la sala se l’oratore è donna, verrà modificata quando parlerà Susanna Camusso o Rossana Dettori (Funzione Pubblica) o Carla Cantone (Pensionati) o Stefania Crogi (Agroalimentare), vorrà dire che questa organizzazione comincia a prendere forma di donna.

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