In omaggio a Fakhra, che non ce l'ha fatta

La ricordiamo così: bellissima. Ma il suo volto, il suo corpo, erano ormai sfigurati dall''acido. Si è uccisa a Roma, una mattina di primavera [di Mariella Magazù]

In omaggio a Fakhra, che non ce l'ha fatta
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24 Marzo 2012 - 19.55


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Alla fine ha deciso di cancellare tutto il dolore e lo strazio che portava sul volto sfigurato dall’acido. Un volto che neppure i 39 interventi di chirurgia plastica a cui è stata sottoposta in Italia, da quando 11 anni fa era arrivata nel nostro Paese, sono riusciti a cancellare le ferite che si portava dentro. Fakra Younas è una delle tante donne vittime, ogni anno in Pakistan, della violenza di genere se solo si ha il coraggio di ribellarsi a matrimoni combinati o a chiedere il divorzio.

Secondo il rapporto 2011 stilato da Amnesty International e i dati raccolti dal servizio di assistenza telefonica per le donne “Madadgaar”, alla fine dello scorso novembre in Pakistan sono state 1195 le donne uccise. Di queste, 98 sono state anche stuprate prima di morire. E ancora dai dati del servizio Madadgaar è emerso che complessivamente sono state violentate 321 donne e 194 sono state vittime di violenza sessuale di gruppo.

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Una barbarie che non è punita dalla legge che nei suoi codici, contempla ancora, il delitto d’onore. Tanto che un uomo che sia un marito, un fratello o un padre – come nel caso accaduto a Kalat il 29 aprile dello scorso anno- può decidere di punire, con l’acido, le sue tre figlie. Tre sorelle, Fatima di 20 anni, Sakeena di 14 e Saima che è appena una bambina di 8 anni, sono state sfigurate anche loro, perché colpevoli di essere uscite di casa senza essere accompagnate da un tutore di sesso maschile.

Fakra, invece, aveva chiesto il divorzio. E ha pagato per avere deciso di non volere più sopportare la gelosia violenta del marito come lei stessa ha raccontato nel suo libro “Il volto cancellato”, scritto assieme alla giornalista Elena Doni e che tradotto in diverse lingue è diventato un best seller simbolo dell’emancipazione femminile pakistana e non solo. Dall’Iran, all’Afghanistan, all’Iraq, passando per Bangladesh, India, Arabia Saudita e molti paesi del Sud-asiatico, è un rosario di donne violate e segnate da uomini dalla virilità frustrata, che ritengono il possesso un diritto e la violenza un dovere, consapevoli di farla franca.

Fakra – che nel 2007 e dopo svariati interventi era stata intervistata da Antonello Piroso su La7- nel libro racconta della sua infanzia difficile, di una madre che si prostituiva e che aveva costretto lei stessa di appena dodici anni, a vendersi per aiutare la famiglia. Poi il matrimonio. Da ballerina famosa diventa sposa che non ha ancora venti anni e subito decide di ribellarsi ai soprusi e alle violenze del marito.

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Pagine dolorose in cui ripercorre il momento in cui la sua vita cambierà per sempre. “(…) Faceva un caldo terribile quella mattina di maggio a Karachi. Improvvisamente sentii un caldo come non avevo mai provato. E non vedevo più, non riuscivo ad aprire gli occhi che mi si erano tremendamente gonfiati. Mi rendevo conto che era successo qualcosa di terribile, ma non sapevo che quello che aveva sciolto i miei vestiti e che ora mi stava mangiando il viso, il petto, le braccia era l’acido (…).

Fakra fugge in Italia assieme al figlio avuto a 15 anni da un uomo che ne aveva cinquanta, sperando di potere riacquistare l’identità e la bellezza bruciate dall’acido. Il marito Bilal, ex deputato al parlamento del Punjab – ripudiato a sua volta dalla famiglia benestante per avere sposato una ballerina – viene condannato ad appena sei mesi di carcere, si risposa e ha altri figli. Lei, sabato scorso alle 11.30 di un mattino romano ha scelto di farla finita. Un volo dal sesto piano del residence comunale di Tor Pagnotta dove da qualche tempo era ospite in autonomia, dopo lunghi periodi tra ospedali e case famiglia.

Il corpo di Fakra è stato trovato sull’asfalto ai piedi del residence comunale “Madre Teresa”, dal figlio Nauman, al suo rientro da scuola. Ad effettuare i 39 interventi sul volto deturpato di Fakra, nel tentativo di restituirle anche parte della funzionalità fisionomico-facciale è stato il professor Valerio Cervelli, chirurgo plastico dell’ospedale Sant’Eugenio, che l”ha sempre seguita dal 2011 e fino a qualche settimana fa. Il medico, intervistato per l’edizione romana del quotidiano “La Repubblica” (unico giornale ad avere dato la notizia, relegandola tuttavia nell’edizione locale, ndr), dice di avere pianto. “L”ho sentita per l”ultima volta due settimane fa e fisicamente stava bene, ma a volte le ferite interiori sono molto più difficili da curare e penso siano queste ad averla spinta a questo gesto”.

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Fakra che era arrivata in Italia grazie all’aiuto di due donne: Tehmina Berrani, matrigna dell’ex marito e nota scrittrice pakistana e di Clerice Felli, fondatrice della Ong “Smileagain”, era seguita da uno psichiatra; ma negli ultimi tempi non si presentava più agli appuntamenti. Già nel 2005 Fakra Yanous aveva tentato per tre volte il suicidio, ma era sempre stata salvata. Questa volta il dolore ha prevalso sulla forza che lei aveva avuto da quella mattina in cui un calore insopportabile, aveva bruciato la sua pelle e il suo sorriso. La storia di Fakra, nella sua tragicità, qualche breccia nella maschilista società pakistana l’ha aperta. A Islamabad, nel 2006, è nata l’associazione “Fiocco bianco Pakistan” che fa parte della più grande rete internazionale tutta al maschile che si batte contro la violenza sulle donne. E per la prima volta in occasione dell’ultima giornata internazionale della donna, nel paese che ha più alto tasso di femicìdi, i rappresentanti della compagnia assieme alla locale Ong “Women”s Empowerment Group” hanno lanciato un codice etico per rendere carta stampata, televisioni, radio e testate on-line più sensibili alle tematiche di genere. Il codice è stato sottoscritto da molti giornalisti. Uomini. Eppure sulla stampa generalista italiana -tv e giornali- al netto del dorso locale de “La Repubblica” e di alcuni siti on line tematici e blog, la storia di Fakra non ha fatto notizia.

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