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La nuova “idea” dei manager, per rosicchiare ancora un po” di risparmio sul costo del lavoro, è quella di togliere i soldi in busta alle neo-mamme: da Fiat alle Poste – quindi dal privato al pubblico, visto che le azioni di Poste italiane sono detenute al 100% dal Ministero dell”Economia – l”assenza (obbligatoria) per maternità, è diventata un peso da alleggerire pronto-cassa.
Stavolta la ministra Elsa Fornero, che oltre che del Lavoro è responsabile anche delle Pari Opportunità, non ha potuto tirarsi indietro: Poste italiane, che vanta pubbliche onorificenze sul fronte dell”impegno contro le discriminazioni di genere, anche per la grande presenza di postine che sono il 53% dei dipendenti (ha avuto il riconoscimento “Stesse Opportunità – Nuove Opportunità”), a metà giugno ha cassato dalle buste paga delle neo-mamme i 140 euro annui di “bonus presenza”. Con buona pace del “bollino rosa”!
Tra l”altro anche i metodi utilizzati da Poste richiamano i peggiori vizi di certa classe industriale: l”accordo del “taglio”, infatti, è stato firmato solo da alcune sigle sindacali, che rappresentano poco più del 20% delle lavoratrici e dei lavoratori. Anche per questo Cgil e Cisl si sono rivolte direttamente alla ministra Fornero, perché venisse ristabilita giustizia contro una discriminazione insopportabile.
E” tempo di riflettere su queste aziende di proprietà dei cittadini – dai treni alle poste – che hanno scordato la loro missione di servizio pubblico in nome dell”attivo di bilancio, facendolo gravare interamente da un lato sugli utenti, con disservizi ormai cronici, e dall”altro sulle lavoratrici e i lavoratori. Certo, ci sono stati tempi non lontani di sprechi scandalosi: ma l”alternativa è davvero quella di punire chi utilizza i servizi e chi ci lavora?
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