Scalfati: racconto l'Italia com'è

Il suo programma (Percorsi, Raitre venerdì ore 23,40) si ispira a Comizi d'amore di Pasolini: la parola a chi non fa notizia, ma lavora per il futuro [di Mariella Magazù]

Scalfati: racconto l'Italia com'è
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10 Settembre 2012 - 12.58


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Da tempo non vedevo in tivù quello che ho visto venerdì sera. Cosa ho visto? Il racconto di un Paese in bilico tra mancanza di memoria e di speranza che guarda a ieri con smarrimento, al domani con disillusione e vive l’oggi tra angoscia e confusione. Ma non si rassegna. La nuova serie di “Percorsi” il programma di Anna Scalfati con la collaborazione di Nicola Sassano, condotto da Anna e realizzato a costo zero per la RAI (i fiori che si vedono in onda li ha portati da casa la stessa conduttrice, ndr) offre vari spunti di riflessione. A partire dal ruolo del servizio pubblico nella sua funzione di formazione e informazione, del suo essere la prima agenzia culturale italiana. Assieme a tutte le altre, in testa la scuola.

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La prima puntata andata in onda venerdì sera alle 23.40 circa su Raitre ha raccontato l’Italia dei giovani: delle ragazze e dei ragazzi, incontrati nel viaggio sul tema della violenza che esiste negli stadi, nelle strade, nella politica e che si è snodato tra testimonianze raccolte da Genova a Catania come da Padova a Caserta, passando per Milano, Roma e parte della provincia laziale. La rappresentazione per niente plastica di cosa sia la violenza tra i giovani. Vissuta come potere ma anche piacere, che conferisce valore all’immagine e vive il sesso come merce di scambio. Una galleria del nichilismo nella quale si intrecciano le storie di chi è orgoglioso di essere ultrà, di far parte di una baby gang, di adolescenti che tra il fumare uno spinello e tirare una striscia di coca non fanno alcuna differenza e che trasformano il proprio corpo in un mercato del sesso al netto delle emozioni, in un bullismo che non fa differenze di genere. Un caso di parità che non ci piace.

“Cosa ci dobbiamo aspettare da una società dove sono stati spenti i riflettori sui sogni? Eccolo il grande cambiamento. In nessun Paese che ho visitato, anche del terzo o del quarto mondo, sono riusciti ad azzerare la capacità di sognare come qui da noi. È disperazione pura”, dice Anna Scalfati. Ma se questo è il pezzo di un’Italia con in sé una e anche più generazioni cresciute a pane, tivù e consumismo, ne esiste anche un’altra. Quella che al nulla elevato al rango di tutto, assieme alla denuncia offre le proposte. Il senso di “Percorsi” che nasce nel 2003 riprendendo l’esperienza del documentario di Pier Paolo Pasolini “Comizi d’amore”, punta a raccontare il Paese per quello che è. Mostrare la realtà di chi ogni giorno trasforma il proprio lavoro tra le gente, con le associazioni, i comitati che nascono per difendere il territorio, la salute e i diritti di chi li vede violati; un impegno sociale, civile e politico fuori dai partiti.

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Uomini e donne, giovani e meno giovani, ognuno con la propria storia di dolore e di speranza. Come il dolore di Carla Verbano, la mamma di Valerio il giovane romano ucciso nel 1980 per contrasti politici o il docente di letteratura milanese che tra i giovani vive, ma sceglie di conoscere e comprendere il mondo del figlio, da genitore. O quelli under 40: una generazione non più giovane ma ostinatamente considerata tale, perché impossibilitata a vivere da adulta, in un Paese in cui l’unica condizione a tempo indeterminato è la precarietà.

Attraverso i filmati realizzati nel corso degli ultimi dieci anni della trasmissione, da venerdì e fino al prossimo 5 ottobre “Percorsi” farà il racconto aggiornato del Paese. Come accade a ogni cronista attento osservatore, si riguardano gli appunti sul taccuino e si verifica a che punto è la storia o il “percorso”, in questo caso. Cosa e come è cambiato, insomma e ci si chiede perché. La collega lo fa attraverso le interviste e le testimonianze in studio -queste ultime la novità della nuova edizione che va in onda dagli studi Dear- ci si rende conto di come forse non ci siamo accorti del cambiamento in negativo, ma anche quanto poco spazio è stato dato all’impegno in positivo di tante persone che ogni giorno provano, almeno, a non renderlo peggiore questo Paese. Insomma tutti quegli italiani e quelle italiane che non fanno notizia, ma che ogni giorno agiscono e vivono con senso di condivisione e bene collettivo.

Marco Omizzolo l’ospite in studio della prima puntata, presidente provinciale di Legambiente Lazio, è uno di loro. Proprio l’ospite, si colloca, nel contesto narrativo raccontato dai filmati ponendosi come interlocutore-cittadino del cambiamento. La televisione informa, ma deforma anche. Un mea culpa la nostra categoria deve farlo? “Abbiamo bisogno di giornalisti liberi e non ricattabili per difendere la verità e la democrazia. Per troppi anni chi parlava rischiava di fare una brutta fine, in vario modo. In questo internet è prodigioso. Le donne poi con la loro capacità di condividere e comunicare sono come un’onda che si gonfia. Che poi si mascheri il fallimento di una politica industriale demenziale che ha comportato la distruzione delle aree di maggior prestigio del centro sud con il ricatto occupazionale, questo dimostra che siamo veramente ad un livello di pazzia”. E proprio la devastazione del territorio, l’inquinamento, l’illegalità, gli errati progetti di sviluppo di una certa politica che corrotta ha fatto e continua a fare affari con le mafie, saranno i temi della prossima puntata. Dalle interviste di denuncia contro l’amianto nei cantieri navali di Monfalcone, fino alla sfida di Beppe Pagano ideatore del progetto “Nuova Cucina Organizzata” -un ristorante nelle terre confiscate ai camorristi di Casal di Principe in cui sono impegnati ragazzi con disagio psichico-, ma anche una giovane donna di “Libera” l’associazione di don Luigi Ciotti.

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Abbiamo superato lo stereotipo di donna rappresentato negli ultimi 18 anni? “Sai, quando ti pongono sempre davanti a un bivio: o sei così o ti comporti così, o fai un figlio o lavori, o fai la moglie o sei l’amante, o fai la giornalista o fai la conduttrice, o fai la velina o fai l’amministratore delegato (…) Beh, se la donna non butta a mare tutti gli schemi che la tengono schiava non potrà crescere mai. L’effettiva parità è la capacità che una società ha di comprendere e ricomprendere le diversità. Qualcuno ha premuto l’acceleratore su certi stereotipi femminili perché questo era funzionale al business di quel momento”. E se vero che la trasformazione di questo Paese, in quel peggio che ognuno di noi coglie, è passata dal bombardamento mediatico in nome del consumismo e del successo a tutti i costi -senza competenze e qualità-, apprezziamo che proprio dalla televisione -quella pubblica perché di tutti e non dei partiti- passi pur se in seconda serata e al di là della fredda logica dell’auditel, la realtà del buono che nel nostro Paese esiste e resiste. E in molti casi sono le donne a fare la differenza. Anche nell’informazione.

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