Rita El Khayat, lettere da Casablanca

Scrittrice e psicanalista marocchina: il suo epistolario con Khatibi è il primo tra una donna e un uomo nella tradizione letteraria islamica. Di [Stefanella Campana]

Rita El Khayat, lettere da Casablanca
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30 Gennaio 2014 - 21.36


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“Raccontami agli altri. Di loro che ho sofferto tutta la vita per non essere stata compresa. Né amata. Il mondo è molto crudele con me. Non mi aspetto niente. Non voglio niente. Non spero in niente”.
Così scrive Rita El Khayat a Abdelkebir Khatibi, in un drammatico momento della sua vita, dopo la morte della sua amatissima figlia adolescente Aini Bennai, il suo “Astro”, a cui ha dedicato struggenti poesie. Parole come “spada, contro tutte le ingiustizie”, scritte in una delle 59 lettere tra il 1995 e il 1999 e che compongono il libro pubblicato in Francia nel 2005 e ora in Italia da Lantana. “Lettere da Casablanca” è il primo epistolario tra una donna e un uomo nella tradizione letteraria islamica, due intellettuali marocchini che instaurano una profonda relazione intellettuale e affettiva attraverso l’Aimance, parola antica legata alla tradizione della poesia cortese, codice amoroso che afferma un’affinità elettiva tra gli esseri.
E’ uno scambio sincero e appassionato che rompe le regole di una società profondamente patriarcale come quella marocchina, dove si scava sui grandi interrogativi della vita e della morte, dove si riflette a tutto campo: sul tempo e la natura, l’amicizia e la politica, Parigi e l’arte…
Pagine che riflettono lo spessore culturale e umano dei due amici epistolari. Abdelkebir Khatibi, filosofo, autore di numerosi saggi e romanzi, è mancato nel 2009. Rita El Khayat si è fermata a Torino per tenere una Lectio magistrali sul suo maestro George Devereux, fondatore dell’etnopsichiatria e per presentare “Lettere da Casablanca”, prima di volare a Roma per ritirare il “premio internazionale letterario Eugenia Tantucci” nella Giornata mondiale per i diritti umani dell’Onu e poi a Lecce per inaugurare la sezione di Letterature mediterranee alle “Città del libro 2013”.

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Sono tanti i riconoscimenti importanti ricevuti da questa donna poliedrica, una delle più importanti intellettuali del Marocco e del Maghreb: scrittrice, etno-psichiatra, psicanalista, antropologa e scienziata (si diletta anche di pittura), autrice di una quarantina di opere sull’universo della psichiatria e sulla condizione esistenziale delle donne nel mondo arabo, tra cui “Il complesso di Medea: le madri mediterranee”, “Cittadine del Mediterraneo”. Nel 2014 uscirà il libro dedicato all’amata figlia “Aini, Amore mio, la defigliazione”, un termine che lei ha coniato “per colmare un vuoto di parola”. Candidata nel 2008 al Premio Nobel per la pace è una donna dai molti primati in Marocco: prima donna psichiatra, prima donna medico del lavoro, prima voce femminile e produttore presso l’emittente televisiva marocchina e il centro cinematografico marocchino. Oggi vive a Casablanca dove esercita la professione di medico antropo-psichiatra, ma confessa di amare profondamente l’Italia “quando arrivo qui mi sento più leggera. La bellezza mi ha salvata e l’Italia è un paese molto bello” (nel 2006 Napolitano le ha conferito la cittadinanza onoraria italiana). Si definisce “soggetto multietnico. Il Marocco ha una storia impregnata di culture diverse: greca, romana, normanna, ebraica, ma tutto quello che è preesistente alla civiltà araba-musulmana è un tabù, viene vietato, non riconosciuto. Per questo quella araba-musulmana è una società profondamente malata. Per guarire, per ricostituirsi bisogna recuperare la propria storia e i legami preesistenti”.

Rita El Khayat, minuta, con la sua cornice di capelli bruni ricci, il viso aperto e dolce, vestita in modo sbarazzino, non mostra la sua età e il dolore che l’ha attraversata. Una donna appassionata: “Non amo le mezze misure, la mediocrità, il pressapochismo” e a chi la critica per il suo pessimismo quando afferma che le donne arabe sono tornate indietro nelle conquiste lei risponde di preferire “alla volontà dell’ottimismo, il pessimismo dell’intelligenza”. E aggiunge: “Nel mondo arabo la condizione delle donne è un problema grande perché oggi sono l’elemento più conservatore. La modernità viene vissuta solo come consumismo. Ci vorranno almeno tre generazioni per un vero cambiamento. Dobbiamo ancora aspettare il secolo dei lumi”. Musulmana di nascita, padre andaluso, sei fratelli, un’infanzia difficile dopo la morte del padre a 14 anni, si commuove quando parla della madre: “A sette anni aveva chiesto a suo fratello che frequentava il liceo di insegnarle a leggere e scrivere, ma quando sua madre l’ha saputo, l’ha picchiata duramente. Io porto addosso il dolore di quella bambina, io sono l’esito di quella sofferenza. Anche per riscattare mia madre ho preso quattro dottorati”.

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Nel 1999, Rita scrive al giovane re Mohammed VI, quattro mesi dopo la sua incoronazione per contrastare un movimento islamista e reazionario che vuole il ritorno a casa delle donne e per chiedere una serie di modifiche alla Moudawana, il Codice di famiglia, richieste in buona parte accolte. Ma è cauta nel suo giudizio sul ruolo femminile nella “Primavera araba”: “Non sono molte le donne che vi hanno partecipato, la maggioranza si adegua al conformismo, alla tradizione. Le ideologie e i saperi occidentali che crescono in un sistema laico sono troppo lontani dall’ideale islamico promosso dai movimenti islamisti. Se guardiamo al Marocco, dover il governo è islamista, c’è un’unica donna musulmana nel ruolo di ministro secondo cui è normale dare in sposa una ragazzina al suo stupratore. Amina Filali, si è tolta la vita a 16 anni per sottrarsi a questo destino. Niente è davvero cambiato”. Non è tenera nemmeno nei confronti di Najat Vallaud-Belkacem, ministro per la tutela dei diritti delle donne, di origini marocchine: “In Francia ci sono molti problemi sulla questione della parità, ma lei vuole cancellare la prostituzione come se fosse il problema più urgente…ma va combattuta in altro modo”.

Il suo impegno nel mondo della cultura, dei diritti, delle donne fanno di Rita El Khayat un personaggio di primo piano in Marocco e nel Maghreb. “Non ho mai voluto essere una donna politica perché lo sarei in modo anarchico, ma lo sono stata senza saperlo con il mio impegno quotidiano”. Parla del neo-colonialismo, dello schiavismo che continua oggi nel lavoro (ricorda la morte in una fabbrica andata a fuoco di centinaia di donne indiane che lavoravano per le grandi firme della moda). E’ dura nei confronti dell’Occidente: “Mi vergogno per gli occidentali che non sanno nulla del mio paese, degli Arabi, dei musulmani, di tutto ciò che non è Occidente. Tutto ciò che viene pensato e creato in Africa, Asia, America latina viene sminuito, non è considerato”. Critica anche un certo atteggiamento degli europei rispetto a quella che lei chiama sub-cultura di immigrati senza più legami con le proprie origini ma che invece viene considerata come espressione di quelle origini. Per Rita El Khayat la psicanalisi è oggi in grave pericolo: “Siamo in un villaggio planetario: il problema è sapere cosa proporre a questa umanità in crisi per migliorare il suo stato psico-fisico e la relazione tra diversi popoli”. Lei, non si stanca di dare il suo contributo.

Rita El Khayat – Abdekebir Khatibi: Lettere da Casablanca

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Traduzione di Antonella Perlino

Lantana Editore

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