Prefetta nel mirino per il piano di accoglienza dei migranti

Giuliana Perrotta si è insediata nel 2015 e dallo scorso novembre è sotto scorta perché vittima di intimidazioni

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9 Marzo 2017 - 19.17


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Giuliana Perrotta, molisana, è solo una delle tante donne che hanno raggiunto la vetta delle Prefetture italiane. Dopo la nomina di Anna Maria D’Ascenzo designata nel 2003 a guidare l’Ufficio Territoriale del Governo di Grosseto, la squadra al femminile è molto cresciuta e ormai occupa quasi il 50 per cento dei posti al vertice. La Sardegna si trova perfettamente allineata alle dinamiche nazionali: a luglio del 2015 l’arrivo della nuova Prefetta a Cagliari, un mese fa cambio del testimone a Nuoro con l’insediamento di Daniela Parisi.

Il soffitto di cristallo si è frantumato, sia nel campo della sua professione che per fortuna, seppur con grande fatica, in altri contesti di lavoro, e le donne scalano la classifica delle alte carriere, ma esiste tra di voi una collaborazione, una sinergia di genere?

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“La nostra categoria in genere è abbastanza individualista, e non sempre riesce a far squadra, perché siamo impegnati ad affrontare innumerevoli problematiche che a volte sono diverse da territorio a territorio, quindi diverso deve essere l’approccio che dobbiamo avere. Inoltre numerose leggi hanno ampliato le competenze del Prefetto chiamato sempre più ad essere il crocevia di tutte le politiche di sicurezza che riguardano un certo ambito territoriale e come strumento per assicurare che lo sviluppo del territorio si svolga in un clima di armoniosa e serena convivenza civile e nel rispetto della legalità. Ma l’ampliamento delle competenze è sempre avvenuto a risorse invariate e questo richiede un continuo sforzo per recuperare margini di produttività al fine di conseguire una maggiore efficacia della nostra azione”.

Proprio per il carattere generalista dell’istituto prefettizio è necessario interpretare questo ruolo così delicato tenendo conto delle peculiarità e delle esigenze del territorio. Dallo scorso novembre la Prefetta di Cagliari è sotto scorta, la tutela personale è scattata dopo aver subito minacce e intimidazioni: prima un attentato incendiario all’edificio dell’ex scuola di polizia penitenziaria di Monastir, un comune alle porte di Cagliari, struttura individuata come Centro per ospitare i migranti, poi una busta contenente due proiettili.

“Non si può dire solo ‘no’, poco dopo il mio arrivo, abbiamo dovuto procedere alla chiusura per inidoneità tecnico-logistica del Centro di prima accoglienza di Elmas, che doveva essere sostituito da un’altra struttura pubblica; per un anno ho atteso, promuovendo una serie di incontri con tutte le istituzioni interessate, una proposta alternativa a quella che il mio predecessore aveva individuato cioè il compendio di Monastir, una struttura demaniale abbandonata da alcuni anni per la quale non esistono altri progetti di utilizzo. Alla fine il Ministero ha dato indicazione di procedere e così dopo aver informato tutte le componenti istituzionali presenti nel Tavolo di coordinamento regionale dei flussi migratori ed il Comune , siamo andati avanti con il progetto di ristrutturazione”.

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Parole ferme e coraggiose pronunciate dalla Prefetta divenuta il bersaglio più visibile e più vicino di una reazione illegittima e violenta esplosa intorno all’organizzazione dell’accoglienza dei migranti che frequentemente sbarcano sulle coste sarde. Sono segnali inquietanti, respinti al mittente che non riescono ad intimorirla, ma che hanno fatto scattare le misure di protezione: “Muoversi sottoscorta rappresenta un forte limite, anche perché, per non mettere in difficoltà chi mi protegge, cerco di essere sempre molto diligente”.

In che modo queste vicende che la coinvolgono sul piano personale, creando condizionamenti anche ai suoi familiari, sono state trattate dalla stampa?

“La cronaca fa audience, quindi c’è stato un resoconto puntuale dei fatti, i giornalisti hanno registrato le mie dichiarazioni, ma in generale i rapporti con la stampa sono complessi, sia perché non abbiamo in Prefettura professionalità specifiche per gestire la comunicazione istituzionale e quindi non è facile veicolare le notizie , nella maniera più chiara e semplice perché possano essere riprese dai mass media, sia perché in alcuni casi dobbiamo consultarci con l’Amministrazione Centrale”.

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Ma in Sardegna, porta aperta sul Mediterraneo, l’emergenza non è legata solo ai flussi in entrata dei migranti, e alle difficoltà di organizzare un efficace piano di accoglienza, la Regione è al centro di un dibattito nazionale per la recrudescenza degli attentati agli amministratori locali. Un libro, Gli attentati in Sardegna scena e retroscena della violenza di Antonietta Mazzette e Daniele Pulino, dell’Università di Sassari, ha fornito dati degli ultimi 30 anni e analisi aggiornate, ed è stato presentato il 7 novembre a Cagliari , con la partecipazione come relatrice anche di Giuliana Perrotta. Pochi giorni dopo, l’11 novembre nella sede della Prefettura, veniva recapitata la busta contenente i due proiettili e un breve testo minaccioso: ”Se non cambia programma sulla scuola di Monastir lo faremo saltare, e si ricordi che sappiamo dove trovarla”, un caso, una coincidenza, o qualcosa di più? La Sardegna indossa la maglia nera tra le regioni italiane per gli attentati sia contro gli amministratori, sia contro la popolazione, secondo lo studio dell’Osservatorio sulla criminalità svolto dai ricercatori dell’ateneo sassarese. L’emergenza è da tempo segnata nell’agenda del Governo, che ha istituito, negli anni, Osservatori e Commissioni di indagine, senza risultati. Ma ultimamente, il 22 febbraio scorso, proprio su iniziativa della Prefetta di Cagliari, la Regione, l’Anci Sardegna e tutte le Prefetture dell’Isola hanno siglato un atto aggiuntivo al protocollo “Sicurezza integrata” in materia di videosorveglianza. Con circa 8 milioni di fondi regionali saranno installate 100 telecamere in 80 comuni della Sardegna per un migliore controllo del territorio e per poter prevenire anche gli attentati contro sindaci, amministratori, rappresentanti della giustizia, delle forze dell’ordine e dello Stato.

La Prefetta è donna colta, intelligente, capace di stabilire grandi e buone relazioni intorno a sé, ma non sempre queste caratteristiche immunizzano i rapporti personali da ostacoli e diffidenze che emergono soprattutto nei confronti di una donna che esercita un ruolo direttivo tradizionalmente maschile: “Un po’ tutti hanno bisogno di tempo per metabolizzare una situazione di novità, e c’è anche chi spera di coglierti in castagna per poter affermare che certi ruoli non sono adatti alle donne. Ma credo che con il tempo abbiamo imparato a conoscerci a vicenda, così l’iniziale sensazione di distacco e di indifferenza è andata via via affievolendosi fino a lasciare il posto, nella maggioranza dei casi, alla comprensione reciproca e alla vicinanza”. Non è stato comunque facile, per una donna continentale arrivata da fuori, per una donna pronta a rompere gli schemi e a inaugurare un nuovo corso nella gestione di una carica istituzionale da sempre relegata ad ambiti quasi secondari e sconosciuti ai cittadini.

Quanto ha infastidito questa sua nuova visione del lavoro?

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“Il bilancio per ora è positivo, il Prefetto è una figura generalista e per questo deve interloquire con tutti. Succede che a volte, davanti a situazioni che sembrano irrisolvibili, si pensi come ultima possibilità di chiedere un incontro davanti al Prefetto. Il mio modo di interpretare questa delicata funzione mi porta tra la gente, a conoscere i singoli territori, a confrontarmi direttamente con i lavoratori; per me è fondamentale prima di essere il Prefetto, essere una cittadina tra tutti gli altri, per questo ho sempre preso la residenza nei luoghi nei quali esercito le mie funzioni, pur sapendo di essere per così dire provvisoria”.

Roma, Trieste, Bari, Caserta, Cosenza, Catanzaro, Enna, Lecce, valigie sempre pronte, parte della famiglia al seguito nei trasferimenti continui, una vita itinerante che aggiunge il capoluogo sardo alle tante altre città d’approdo e lo segna come ulteriore tappa di passaggio: ”L”essere il Prefetto, in genere, non radicato nel contesto in cui opera di volta in volta, dovrebbe  rendere non troppo difficoltoso o sofferto il suo spostamento da una provincia all”altra. Non così quando si mette in questo lavoro, spesso così difficile e ingrato, a volte così gratificante ed esaltante, cuore, mente, spirito. Allora il posto dove lavori diventa la tua terra. E i problemi, le difficoltà, le sofferenze di quella terra diventano i tuoi problemi, le tue difficoltà le tue sofferenze perché sono avvertiti da quella gente che diventa un po’ la tua gente”.

Di recente Giuliana Perrotta ha ottenuto un nuovo riconoscimento, il premio alla carriera, dalla Fondazione Alziator, nelle motivazioni anche alcuni riferimenti proprio alla sua moderna interpretazione del ruolo del Prefetto , personale, originale e coinvolgente, al suo impegno per la promozione della personalità umana e per l’elevazione della collettività, omaggio che le ha riservato la grande psichiatra sarda Nereide Rudas, presidente onoraria del Premio, scomparsa lo scorso gennaio: “ Nella nostra città ha caratterizzato il suo ruolo promuovendo numerose iniziative che hanno coinvolto l’intera comunità. Esemplare interprete dell’identità dello Stato, non si è rinchiusa nel suo alto magistero, rifiutando di essere la signora del Palazzo, ha invece preferito essere un’autentica abitante della città che le è stata affidata”.

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Il lavoro occupa gran parte della giornata, ma tre uomini intorno richiedono impegno e attenzioni e temere di non dar loro abbastanza scatena nella mamma/moglie in carriera tanti sensi di colpa: “Sono fortunata, ho incontrato l’uomo giusto perché so che non tutti i mariti possono accettare di avere accanto una donna con un ruolo così pregnante. È un architetto, calabrese, l’ho conosciuto negli anni dell’Università, siamo cresciuti insieme. Poi i due figli, Pierfrancesco e Federico; dei due il maggiore è quello che ha sofferto di più per le mie assenze e per il mio impegno professionale, ma è anche quello che riesce a rassicurarmi, è innamorato della sua mamma, è il mio principale supporter”.

La Prefetta ha acquistato una grande visibilità a Cagliari e in Sardegna, partecipa quasi quotidianamente a iniziative sul territorio, fa conoscere il suo lavoro e lo mette a disposizione

“Spesso mi invitano a portare i saluti, io accetto ma oltre i saluti intervengo sul tema, dico la mia e spiego cosa ho fatto e cosa intendo fare, il Prefetto deve comunicare con la gente, e far sentire la sua vicinanza. Poi ho voluto resuscitare il Comitato per la valorizzazione della Cultura della Repubblica, un vecchio istituto caduto nel dimenticatoio, per coinvolgere tutte le istituzioni pubbliche e private nel diffondere un’autentica cultura dei valori civili. Le prime volte che ci riunivamo, le mie proposte inizialmente erano accolte con perplessità, ma dopo il successo delle nostre iniziative ora si respira un bel clima di collaborazione e di entusiasmo…. Come in occasione della manifestazione che abbiamo organizzato per il 17 marzo, anniversario dell’Unità d’ Italia”.

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Quando finirà questa esperienza in Sardegna, quale sarà la prossima sede?

“Ho girato l’Italia e completato la rosa dei venti toccando i 4 punti cardinali dell’Italia (Enna, Trieste, Lecce, Cagliari), chissà quale sarà la mia prossima destinazione…”

La risposta resta a metà, i sogni non si raccontano se non si ha ancora qualche prospettiva concreta, se non si hanno reali ragioni per sperare.

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“Del resto è il Consiglio dei Ministri che decide sulla destinazione dei Prefetti. Ma qualunque sarà il mio prossimo incarico, cercherò ovunque di impostare il mio lavoro sulla base di due principi-cardine: interazione e condivisione“.

Un’ultima domanda: dopo essere stata in tanti posti a chi le chiede di dov’è cosa risponde?

“Semplicemente…italiana”

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