Stupri di serie A e di serie B

La sensazione è che il corpo delle donne venga utilizzato con finalità "altre" mentre la vittima scivola in secondo piano, diventando quasi invisibile [di Alessandra Mancuso*]

Stupri di serie A e di serie B
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12 Settembre 2017 - 01.27


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Stupri di serie A e di serie B. Per cui ci si indigna urlando. O che si trattano alzando il sopracciglio, cercando attenuanti e instillando sospetti sull’attendibilità delle vittime (ancora, nel 2017!). Le “nostre donne da difendere” da orde di migranti, da una parte, e “donne che se la sono cercata” se lo stupratore è un bravo ragazzo italiano. Clamore diverso per le violenze consumate in famiglia e quelle commesse da sconosciuti. Stupri ignorati. Quelli delle donne anziane. Sempre più frequenti. O quelli che denuncia su Avvenire, con una riflessione toccante che scuote le coscienze, suor Eugenia Bonetti: “gli ordinari misfatti che ogni notte avvengono sulle nostre strade, con ragazzine straniere che subiscono stupri “a pagamento” di clienti”. In maggioranza italiani, e al 90% battezzati, molte volte con mogli e figli, scrive la missionaria.

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Perché, si chiede suor Eugenia, non fanno notizia quelle minorenni vittime di tratta, comprate e vendute, schiavizzate e violentate da cinici sfruttatori e da migliaia di “clienti”? Perché questi stupri, ignorati, non suscitano scalpore?

La sensazione, che fa arrabbiare e indigna, è che il  corpo delle donne venga sempre usato, con finalità  “altre”, anche quando la compassione per chi è sopravvissuta a una violenza dovrebbe prevalere su tutto. La vittima scivola in secondo piano, diventa quasi invisibile. Se lo stupro è compiuto da due carabinieri a preoccupare è l’onore dell’Arma, non il dramma delle due studentesse. La sensazione è che sul corpo delle donne si faccia politica sempre e comunque. Ci si indigna, a corrente alternata e con gradazioni diverse, ma della vittima non importa affatto. Dipende da chi è la vittima, certo. E da chi il carnefice. 

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E l’informazione, vuole farsi strumento di questo “uso” del corpo delle donne? Anche per l’informazione a stesso reato non corrisponde stesso trattamento. Una violenza va in prima pagina, un’altra si relega all’interno, o si ignora del tutto.  

Che risposta diamo a suor Eugenia che assiste sconvolta alla grande enfasi che i tg hanno dedicato per giorni, con ampio spazio, agli efferati stupri del branco, a Rimini? Vorrei dire a suor Eugenia che lo sconcerto, il dolore per le vittime, suscitato dalla brutale violenza di Rimini, produce un’eco che l’informazione ha il dovere di registrare.

Il problema si pone quando l’informazione si fa strumento di propaganda e orientamento dell’opinione pubblica per interessi politici.  Ma questo riguarda una minoranza dei media.  Che quando travalica i limiti va denunciata e se commette violazioni  deontologiche, va sanzionata. Come abbiamo chiesto con un esposto nei confronti di Libero, come commissioni pari opportunità del sindacato e dell’Ordine e giornaliste di GiULiA, di fronte a un articolo che pubblicava i dettagli degli stupri, violando il divieto che ne fa la nostra carta deontologica.

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E il problema si pone anche quando l’informazione si fa portare al traino dell’emotività, delle chiacchiere del bar dello sport, degli stereotipi e dei pregiudizi. Quando adotta due pesi e due misure a seconda di chi siano vittime e carnefici. E questo problema riguarda invece quasi tutti i mezzi di informazione. 

E intanto il fenomeno, strutturale e devastante, della violenza maschile contro le donne, resta ancora, incredibilmente, fuori dall’agenda politica, fuori dai radar de programmi politici e delle politiche pubbliche. Come lo si vuole e come si deve eradicare? Silenzio assoluto. E trascuratezza da parte dell’informazione che non illumina abbastanza la violenza che le donne subiscono e la solitudine in cui sono lasciate, le risorse lesinate, i servizi carenti, la protezione insufficiente. La realtà di una società, come scrive suor Eugenia, “che consuma tutto, e tutto, anche le donne, riduce all’usa e getta”. 

L’informazione può avere un ruolo, importante, nella definizione dell’agenda politica. E nel migliorare  la qualità e i livello del discorso pubblico, contrastando stereotipi e pregiudizi, contribuendo a costruire una società a misura di donna e di uomo, paritaria, basata sul reciproco rispetto. Un ruolo che dobbiamo assumere con convinzione e coraggio.

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Di fronte al montare di una cultura retriva, per certi versi reazionaria e razzista,  che fabbrica paure, semina parole d’odio, abbiamo tutti bisogno, più che mai, di un’informazione razionale e responsabile. Corretta nel linguaggio. Bisogna lanciare a tutti i giornalisti la sfida di un grande cambiamento culturale da compiere, nelle redazioni, per non essere più “portatori sani” di visioni stereotipate, vettori inconsapevoli di pregiudizi tipici della sottocultura maschilista. Non siamo all’anno zero, fortunatamente, ma siamo ancora molto lontani. dall’obiettivo.

 

[*presidente Commissione pari opportunità Fnsi]

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