Su mafia e stampa

Sono 3645 i giornalisti minacciati in Italia dal 2006, secondo l’Osservatorio di Ossigeno per l’Informazione, per aver svolto il proprio lavoro [di Maria Teresa Manuelli]

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3 Agosto 2018 - 16.30


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La mafia vive nell’ombra, si nutre dell’ombra e del silenzio. Il silenzio di chi giace sotto il suo manto scuro e il silenzio di chi quel manto dovrebbe alzarlo e far venire alla luce i fatti. Per togliere terreno a questo giogo che si nutre di silenzio e omertà il ruolo – il dovere – della stampa diventa sempre più indispensabile e importante.

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Le vittime di mafia non possono e non devono essere lasciate sole. Tutti devono sapere. Già qualche anno fa Claudio Fava, allora vicepresidente della commissione antimafia e figlio di Pippo Fava, faceva notare come “Il giornalismo oggi dà molto fastidio. E non solo alla mafia”. E’ vero, c’è un fastidio crescente nei confronti dell’informazione. Un fastidio che nasce non solo in ambienti criminali in senso stretto. Sempre più si sta consolidando l’idea che chi fa bene il proprio mestiere di cronista sia un rompiscatole. Non si vogliono voci fuori dal coro. 
Sono 3645 i giornalisti minacciati in Italia dal 2006, secondo l’Osservatorio di Ossigeno per l’Informazione, per aver svolto il proprio lavoro: quello di alzare il velo del silenzio. E i metodi per far tacere i giornalisti sono tanti e vari: dalle intimidazioni, alle querele e diffamazioni pretestuose. E non mancano le minacce di morte a giornalisti che vivono sotto scorta, che rischiano la vita per aver narrato correttamente e con scrupolo fatti veri e di interesse generale. Altri giornalisti, blogger, autori di articoli hanno subito minacce e intimidazioni per aver espresso le opinioni che qualcuno giudica intollerabili. Redattori di piccole testate locali hanno svelato scandali clamorosi dei quali nessuno parlava, fatti che dopo quegli articoli hanno spinto il governo e la magistratura ad adottare provvedimenti eclatanti: eppure questi stessi giornalisti devono difendersi in tribunale da accuse strumentali. Ci sono condanne per diffamazione che determinano la cessazione delle pubblicazioni di testate storiche e cronisti che hanno subito danneggiamenti, minacce e ritorsioni personali. 
Alcuni resistono e continuano a fare il proprio lavoro, altri sono costretti a ridimensionare la propria attività, per proteggere loro stessi e i propri familiari e perciò per sbarcare il lunario devono fare altri mestieri. Ci sono fari che accendono la luce nelle tenebre, come la nostra Marilù Mastrogiovanni, direttrice del giornale online Il Tacco d’Italia, di Casarano, comune di ventimila abitanti in provincia di Lecce, che ha subito numerose intimidazioni in seguito alla pubblicazione di articoli e inchieste esclusive sulle collusioni di imprenditori collegabili alla Sacra Corona Unita e su discutibili comportamenti di amministratori locali. O come la nostra Anna Scalfati, giornalista Rai, che non ha ceduto alle pressioni e minacce e ha portato all’attenzione dell’Antimafia la battaglia da lei condotta per non far finire l’oasi naturalistica del lago di Paola nelle mani delle cosche. Lottando anche contro i suoi stessi familiari. 

Perché raccontare le trame di potere e gli affari porta a reazioni violente. Anche questo è il ruolo – il dovere – della stampa.

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