Ammazzata di botte a Roma. Ma era una clochard. E il femminicidio si insabbia

Una giovane donna rumena ammazzata in un parco sulla Colombo. Sospettato numero uno è il compagno. L'ha trovata un ragazzo con un cane. E nessuno reclama quel corpo. [Di Daniela Amenta]

Ammazzata di botte a Roma. Ma era una clochard. E il femminicidio si insabbia
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28 Maggio 2020 - 01.48


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Di lei si sa solo che si chiamava Maria. E che è stata massacrata di botte, e che è morta lungo una delle strade più trafficate di Roma, la Colombo. Maria, trent’anni, rumena, una vita derelitta trascorsa in un piccolo parco quasi a ridosso dei palazzi, di un asilo nido, in un quartiere popoloso.

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Un piccolo insediamento abusivo – uomini e donne che di giorno lavano i vetri delle auto, fanno l’elemosina davanti ai supermercati – all’interno di un giardinetto intitolato alla memoria di Don Picchi, il prete dalla parte dei diseredati. Maria è stata uccisa qui, probabilmente dal suo compagno, un uomo che beveva e la picchiava. Dicono in giro, alla Montagnola, che la faceva prostituire, che spesso lei aveva il viso gonfio di lividi, che forse era incinta ma non era capace di chiedere aiuto. Parlava appena l’italiano. Picchiata così tanto, a mani nude, da morire.

Era la mattina del 12 maggio scorso quando un ragazzo in compagnia del suo cane ha notato un fagotto in terra, vicino a una tenda da campeggio, tra lattine di birre e qualche avanzo di cibo. Sembrava un ammasso di coperte, e invece c’era lei, in quel groviglio di vecchi plaid, pallidissima, il volto tumefatto.  C’erano altre persone in giro, quella mattina,  ma nessuno l’ha notata, nessuno si è fermato. I più indifferenti hanno bofonchiato: “Sarà ubriaca”. 

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Sembrava dormire ma il cane ha abbaiato più e più volte e lei non ha aperto gli occhi. Il ragazzo a quel punto ha chiamato l’ambulanza, l’hanno portata via, all’Ospedale San Giovanni. Le condizioni di Maria sono apparse subito gravissime.

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All’alba del 13 maggio questa giovane donna senza identità è morta.
Ci sono delle indagini in corso, ci sarà da capire ad esempio se dietro l’omicidio di Maria c’è un vero e proprio racket o se l’unico colpevole è il miserabile che l’ha ammazzata.

 

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L’ottavo Municipio si è subito attivato per rintracciare la famiglia della ragazza, per capire l’accaduto. Michela Cicculli, assessora alle politiche di genere, dice: “La storia di Maria non può rimanere senza voce e se non sarà la sua famiglia a farlo saremo noi a stringerci intorno a lei, una comunità solidale che non può tacere. Perché la sua vicenda personale è oggi un fatto pubblico che deve farci riflettere, lo dobbiamo a lei e a tutte le donne che nelle mura domestiche in questi mesi hanno gridato senza essere ascoltate. Porteremo al più presto dei fiori in suo ricordo e per tutte le donne che vivono la violenza”. Un gesto necessario, condiviso, perché è impensabile morire così, è atroce immaginare che nessuno piangerà per lei, nessuno chiederà giustizia. Una vita cancellata nel silenzio. Nessuno reclama, ora, il corpo di Maria. L’ultima violenza che subirà. 

Il Parco Don Picchi dove si è fermato per sempre, con violenza cieca, il respiro di questa giovane donna è a poca, pochissima distanza da un altro pezzo di verde dedicato a una ragazza uccisa tra il 29 e il 30 settembre del 1975. Si chiamava Rosaria Lopez, abitava qui, alla Montagnola. Massacrata dai fascisti del Circeo. Due esistenze distanti, la stessa fine tragica.

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