Aborto: cosa non si fa per togliere i diritti alle donne

L’Umbria torna indietro. La Giunta a trazione leghista cambia le regole e con una delibera obbliga il ricovero per l’interruzione volontaria di gravidanza farmacologica. [Di Beatrice Curci]

Aborto: cosa non si fa per togliere i diritti alle donne
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Beatrice Curci Modifica articolo

14 Giugno 2020 - 23.56


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Qualcuno ce l’ha fatta a riportare indietro le lancette della Storia. Di quella storia di diritti negati alle donne, alla loro libertà e autodeterminazione. Accade in Umbria dove la Giunta regionale, e duole dirlo proprio con la firma di una donna, la presidente Donatella Tesei (Lega) ha abrogato la delibera del 2018 che autorizzava l’utilizzo della pillola abortiva (cosiddetta Ru486) in casa sotto stretto controllo medico per la interruzione volontaria della gravidanza farmacologica.

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L’esecutivo umbro ha infatti stabilito che tutti gli interventi abortivi dovranno essere effettuati esclusivamente in regime di ricovero con l’obbligo di ospedalizzazione forzosa di almeno tre giorni. Una scelta che colpisce duramente le donne perché le priva non solo del diritto di scegliere il metodo meno invasivo per interrompere una gravidanza, ma soprattutto di intervenire con immediatezza e accorciare i tempi in quello che per una donna rimane comunque un atto traumatizzante. E invece nella nuova delibera dell’attuale Giunta a trazione leghista ecco spuntare l’obbligo ospedaliero.

Un po’ come aggiungere trauma al trauma, senza tener conto che in questo modo aumentano i già lunghi tempi di attesa per l’IVG chirurgica nonché i costi a carico del Servizio sanitario nazionale. Figuriamoci in tempi di Covid.

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Anche in questo caso la pandemia da coronavirus ai governanti regionali dell’Umbria sembra proprio non aver insegnato nulla: i servizi sanitari territoriali andrebbero potenziati e non depotenziati in un’ottica ospedalo-centrica per garantire l’assistenza domiciliare e un’adeguata tutela della salute in tempi brevi.

Ma la scelta fatta dalla Giunta regionale altro non è che l’ennesimo attacco clerico-leghista alle conquiste delle donne per rendere la loro vita ancora più difficile. Non è un caso che il primo ad apprezzare la decisone presa a Palazzo Donini è il senatore del Carroccio, Simone Pillon che della Lega di Perugia ne è commissario.

In Italia solo il 18% di donne sceglie l’IVG farmacologica (dati Ministero della Salute aggiornati al 2018) mentre sono il 66% in Francia e il 95% in Svezia, un quadro non certo confortante per il nostro Paese perché da noi questa scelta è un percorso ad ostacoli per disformazione e mancanza di servizi.

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L’Ivg farmacologica è progresso scientifico e decisioni così marcano, qualora ci fosse bisogno di sottolinearlo, una grave arretratezza.
Prima ancor che scientifica, culturale.
Di una “cultura” contro le donne e la loro libertà di scelta. Questa delibera è l’ennesimo atto di quella retrocessione che vede l’Italia ancora una volta fanalino di coda in Europa per i diritti sessuali e riproduttivi. E l’Umbria ora sembra esserne lo specchio fedele.

 

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