La pandemia ci ha reso più feroci

Amnesty International Italia ha lanciato la quarta edizione del Barometro dell'odio che misura il tasso di hate speech sui social, con un contributo di GiULiA [di Paola Rizzi]

La pandemia ci ha reso più feroci
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Paola Rizzi Modifica articolo

14 Aprile 2021 - 11.37


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La pandemia ci ha reso più intolleranti, abbiamo odiato forse un po’ meno ma in modo più viscerale e violento, accumulando frustrazione e rancore nei confronti dell’untore del momento: l’immigrato che diffonde il contagio o che ci sottrae quelle poche risorse per lenire la pandemia economica, perchè l’odio online è più radicalizzato quando incrocia i temi legati ai diritti economici, sociali e culturali. E’ il rancore che Amnesty Italia ha misurato nella quarta edizione del Barometro dell’odio, mettendo in campo 80 attivisti, che da giugno a settembre hanno analizzato 36.269 tra tweet e post di facebook su 38 pagine/profili pubblici tra politici, organizzazioni sindacali o rappresentanti del mondo dei lavoratori, testate giornalistiche, enti legati al welfare e relativi commenti e risposte degli utenti. Risultato: il 10,5% dei contenuti è offensivo e/o discriminatorio e l’1,2% è hate speech. Uno su 100 sembra un numero modesto ma moltiplicato per il numero di tweet e interazioni, milioni, si traduce in carico monumentale di istigazione all’odio, raddoppiato rispetto alla rilevazione precedente. In testa come bersagli di hate speech  i musulmani seguiti dalle donne, che in tutte le rilevazioni del genere non mollano mai la testa della classifica. Anche GiULiA ha dato un contributo nella sezione dedicata agli approfondimenti degli esperti richiamando l’allarme sull’hate speech e il lavoro delle giornaliste durante i mesi dell’emergenza sanitaria.

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Tra gli odiati anche  gli operatori sanitari, i runner e coloro che godono di presunti ed esclusivi benefici. Come spiega il presidente di Amnesty Italia Riccardo Noury «dopo l’estate del 2020 il panico collettivo di marzo si è trasformato in un rancore diffuso. Che ha avuto come bersagli nuovi coloro che ammonivano sulla seconda ondata, coloro che rimproveravano i comportamenti irresponsabili del “Non c’è piùCoviddi”, coloro che ammonivano sulla necessità di ulteriori limitazioni alla libertà di movimento. Poi, come se fosse uno sforzo eccessivo prendersela col “governo” e coi “vaccini”, il livore è rientrato nella sua zona di conforto. Ai vecchi bersagli. Ai soliti nemici: migranti, donne, persone lgbti. Secondo la narrazione rancorosa, è inaccettabile e incomprensibileche in un periodo di emergenza sanitaria e di conseguenti restrizioni, si parli di rivendicazione di diritti».
Nel rapporto si segnala come «sia nel caso dei post/tweet che dei commenti problematici, la sfera più presente è quella del razzismo e della xenofobia. Guardando ai soli discorsi d’odio, nel caso dei post/tweet l’odio resta circoscritto entro alcune sfere. Prevale l’islamofobia (46%), seguita da sessismo (31,3%), antiziganismo (23,1%), antisemitismo (20,1%), razzismo (7,9%). Nel caso dei commenti l’odio, invece, è più trasversale: è islamofobo (21%), razzista (19,6%), antiziganista (19%), antisemita (16,6%), omobitransfobico (14,5%). Andando oltre le prime cinque sfere dell’odio più diffuse tra i commenti, troviamo quella classista (11,2%)». Da notare che i post che hanno generato i comenti più problematici sono quelli postati da donne, tutte politiche del centrodestra.

Un’avvertenza particolare è data anche al ruolo dell’informazione, sia quella istituzionale, che scegliendo il registro emergenziale che non sempre ha raggiunto l’obiettivo di una comunicazione chiara e comprensibile per tutte le fasce di cittadini. L’altro aspetto è la tendenza dei media ha privilegiare ancora l’informazione sensazionalista che sollecita i click, contribuendo alla polarizzazione del linguaggio e alle reazioni emotive e viscerali.  

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