Le donne sempre le più odiate. Politiche e giornaliste le più attaccate

La sesta "Mappa" di Vox diritti, a cui ha collaborato anche GiULiA, racconta che percentualmente si odia meno, ma in modo più feroce. Nel 2021 monitorate anche scienziate, mediche, imprenditrici.

Le donne sempre le più odiate. Politiche e giornaliste le più attaccate
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Paola Rizzi Modifica articolo

22 Novembre 2021 - 23.02


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Si odia un po’ meno, ma in modo più feroce. Si odiano un po’ meno le donne, ma  sempre molto più di tutte le altre categorie, soprattutto se osano prendersi i loro spazi sulla scena pubblica, come le politiche, odiatissime, e le giornaliste. La sesta Mappa dell’Intolleranza presentata lunedì 22 novembre da VoxDiritti, che ha monitorato twitter con criteri scientifici assieme all’Università Statale di Milano, all’Università di Bari Aldo Moro, alla Sapienza e a IT’STIME della Cattolica di Milano e a cui ha collaborato anche GiULiA, è una conferma della misoginia e del sessismo radicale che attraversano la società italiana e riemergono potenti grazie alla ribalta dei social network. 

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L’anno scorso GiULiA aveva collaborato con Vox ad un focus sull’odio nei confronti delle giornaliste. Quest’anno però abbiamo voluto capire un po’ più a fondo le radici di tanta intolleranza aggressiva e violenta, quindi oltre a mantenere l’attenzione sullo hate speech contro le donne che fanno informazione, abbiamo allargato il campo di indagine per vedere quanto più in generale siano sotto attacco le donne che fanno professioni percepite in una parte della società ancora come “maschili”: politiche, imprenditrici, scienziate, giuriste, sportive, cantanti.

Nell’indagine di Vox i gruppi bersaglio esaminati sono sei: donne, persone omosessuali, migranti, persone con disabilità, ebrei e musulmani.  Da metà gennaio a metà ottobre del 2021 sono stati raccolti 797.326 tweet, dei quali ben 550.277 negativi (il 69% circa vs. 31% positivi). Nel 2020 (in un periodo più breve, marzo-settembre) erano stati raccolti più tweet( 1.304.537) dei quali 565.526 negativi (il 43% circa vs. 57% positivi). Un capovolgimento  del “sentiment” sempre più avvelenato nel pieno delle seconda e terza ondata pandemica. 

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La classifica dell’odio quindi mette in testa le donne (43,70% di tweet negativi), seguite dagli islamici (19,57%), poi le persone con disabilità (16,43%),  le persone omosessuali (7,09%), gli ebrei (7,60%), i migranti (5,61%).   
In 5 gruppi su 6 la percentuale di tweet negativi è più alta rispetto alla percentuale di tweet positivi (persone con disabilità: 76,1% negativi sul totale delle menzioni; persone omosessuali: 74,2% negativi; ebrei: 72,6% negativi; donne: 70,7% negativi; islamici: 65,2% negativi) mentre per gli immigrati i tweet negativi sono meno (49,1% negativi). Vale la pena ricordare come all’epoca di Salvini Ministro degli Interni,gli immigrati avessero scalzato le donne dal podio, segno, se ci fosse bisogno di sottolinearlo, di quanto pesa il discorso politico nella propagazione dell’odio. Questo balzo di attivismo degli hater nei confronti dei diversamente abili secondo le analisi semantiche ha molto a che vedere con un uso rozzo di insulti e stigmatizzazioni, come “demente”.

Ma da tempo le donne sono tornate in vetta a queste classifiche.  Dalla rilevazione di quest’anno appare chiaro come le categorie in assoluto più colpite siano le politiche e le giornaliste. Per quanto riguarda le politiche, il dato conferma una generale tensione contro la politica, espressione della fase di gestione della pandemia. Nello specifico della misoginia, la  tensione prende le forme di una costante derisione e svilimento delle qualità professionali delle donne, considerate incapaci e inette. Stesso andamento viene riscontrato per quanto riguarda le giornaliste. Così, la frequentazione del profilo di una giornalista appare meno centrata sul merito e più concentrata sull’attacco personale. Elemento questo, avvalorato anche dalla tipologia di discorso d’odio e discriminatorio rivolto verso le stesse giornaliste, che si conferma, come lo scorso anno, concentrato sulla presunta incompetenza o inadeguatezza della professionista.

 

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Che la statistica fosse “vinta” dalle donne impegnate in politica era, forse, scontato: ce lo hanno detto le tante ricerche fatte in questi anni (una per tutte il “barometro dell’odio” di Amnesty). Lo conferma l’indagine di Vox Diritti. Non così scontato che il secondo posto fosse occupato da chi fa informazione. Dopotutto è stato l’anno delle scienziate che si sono occupate di Covid (e sappiamo quali violente reazioni hanno suscitato), l’anno in cui giuriste e imprenditrici si sono fatte sentire. Niente da fare: è l’informazione a restare violentemente sotto attacco. Tanto che, a leggere bene i dati oltre alle percentuali, le più “odiate” nei diversi settori indagati sono donne come la giurista Vitalba Azzollini, autrice di numerosi articoli e editoriali, o tra le donne di spettacolo Barbara D’Urso, volentieri scambiata per giornalista.

È dunque utile continuare a tenere alta l’attenzione sulla voglia di censura e di bavagli contro ledonne che fanno informazione, secondo modalità già rilevate nella mappa del 2020 che confermanouno schema preciso: oltre agli insulti sessisti, prevale l’invito a starsene a casa, a tornare a fare la calza, insomma a togliersi dallo spazio pubblico, indebitamente occupato.
Un meccanismo che colpisce tutte le donne che si permettono di stare in ruoli non “tradizionali”, che pretendono una visibilità per le loro professioni, con uno sconcertante riemergere di cliché patriarcali che la rete e isocial network sembrano addirittura amplificare.
Abbiamo scelto di monitorare soprattutto le colleghe più esposte, e la “classifica”, guidata da Myrta Merlino, mostra come l’esposizione televisiva trascini in modo particolare l’aggressione social contro le giornaliste, quasi mai contestate per quel che dicono, ma insultate e denigrate per quel che sono: donne. Tuttavia, ancora una volta, anche le giornaliste della carta stampata che seguono i temi socialmente più sensibili (migranti, Africa, mafie) non sfuggono all’odio generato dai tweet.

La vera novità, rispetto all’anno passato, è l’attenzione che a questo bavaglio all’informazione – che si manifesta anche come vera e propria censura psicologica – hanno finalmente riservato nell’arco del 2021 Parlamento e ministeri, attraverso il lavoro delle varie commissioni (Antimafia, Segre) e degli osservatori istituiti presso il Ministero degli Interni. Non basta più soltanto monitorare questi fenomeni, non basta l’impegno dei singoli e delle associazioni, serve un intervento deciso – prima di ogni altra cosa a livello culturale e poi legislativo – per far uscire il nostro Paese da questo pozzooscuro di sottocultura misogina e sessista, che inquina le radici della democrazia

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