Rassegna sui generis: la settimana di notizie sulle donne (6 giugno-11 giugno)

Una settimana di notizie sui media: come e quando si parla di donne? GiULiA prosegue con il suo osservatorio su giornali e web in ottica di genere.

Rassegna sui generis: la settimana di notizie sulle donne (6 giugno-11 giugno)
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Paola Rizzi Modifica articolo

12 Giugno 2022 - 11.09


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Il Corriere della Sera, La Repubblica, La Stampa, Domani, Il Giornale, Il Messaggero, Il Fatto quotidiano, Avvenire, Il Sole24ore, La Verità, Il Qn, La Gazzetta dello Sport, Tuttosport e uno sguardo al web

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Settimana dal 6 giugno all’11 giugno
Firme in prima pagina: 731 uomini, 200 donne
Editoriali e commenti: 121 uomini e 17 donne
Interviste: 218 uomini e 52 donne

Foto 374 maschi 75 femmine

Premessa metodologica: questa rassegna è fatta con un lavoro empirico di raccolta dati grazie ad un team di volontarie di GiULiA giornaliste. Quindi è soggetta ad un margine di errore umano, naturalmente. Speriamo quindi che sia dovuto ad una nostra svista il dato altrimenti significativo che il 9 giugno, in nessuna delle prime pagine dei 13 quotidiani che abbiamo esaminato questa settimana comparisse un editoriale, un commento, un punto di vista firmato da una donna. Zero. E’ invece una certezza che ancora una volta il principale quotidiano sportivo, la Gazzetta dello sport, il 6 giugno in 32 pagine non abbia trovato modo di dedicare nemmeno un pezzo allo sport femminile. Questo mese abbiamo anche contato le foto con nome e cognome.

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Rubrica fissa violenza di genere.
Una settimana ricca, purtroppo. In primo piano le violenze alle cinque adolescenti di ritorno dal treno da Peschiera, aggredite da una banda di giovani probabilmente di origine nordafricana, i due duplici femminicidi di Vicenza e Sarzana , più notizie di contorno come il medico infettivologo di Milano che struprava le pazienti, a Cologno Monzese un uomo che ha colpito al collo la compagna con una bottiglia rotta, l’omicidio suicidio a Portogruaro e il femminicidio di una professoressa Italiana in Gran Bretagna da parte del marito


La notizia sulle violenze di Peschiera ha innescato la ormai ricorrente polemica della destra contro femministe e sinistra, quando ci sono di mezzo aggressori con ascendenze migratorie. Come sintetizza sul Giornale Giannino della Frattina La sinistra ipocrita crocifigge gli alpini e assolve stupratori perché immigrati” e il giorno dopo sempre sul Giornale Antonio Ruzzo propone “Gli alpini sui treni per fermare i violenti”. La Verità sulla stessa linea con un titolo criptico “Due pesi e due misure. Se lo stupratore è nero, la femminista è ‘para’”. In un editoriale la filosofa Michela Marzano su Repubblica denuncia la violenza inaccettabile e insieme la strumentalizzazione contro la sinistra e le femministe, ricordando comunque che la violenza maschile non ha colore. Esplicita anche Elena Stancanelli sulla Stampa che al ritornello, le femministe dove sono? Risponde così: «A spingere macigni, rimuovere incrostazioni secolari e dove si tentano sillogismi impossibili pur di vanificare la lotta ai soprusi». E ricorda con parole dure anche la «gang di militari in gita che molesta giovani cameriere che lavorano mettendo loro le mani addosso». I fatti di Peschiera hanno prodotto sui giornali molti reportage e commenti sulle nostre banlieu (di Karima Moual e Brunella Giovara su Repubblica, Monica Serra sulla Stampa, Maria Latella sul Messaggero) tra ragazzi di seconda generazione che si sentono feccia, esclusi da tutto, né italiani né stranieri. Uno dei temi è anche il tipo di reato da contestare, violenza sessuale o molestia, e l’età e quindi la punibilità dei rei, quasi tutti molto giovani e quindi la Lega rilancia sui giornali della destra la proposta di legge di abbassare l’imputabilità a 12 anni. Quasi tutti i giornali hanno pubblicato la foto pixelata ma non troppo delle cinque adolescenti scattatata mentre sono in attesa di sporgere denuncia alla Polfer di Milano, un’immagine che come hanno denunciato GiULiA, Cpo Fnsi, Usigrai, Ordine dei giornalisti viola varie carte deontologiche, dal Manifesto di Venezia alla Carta di Treviso.

A destare grande impressione l’altro fatto, l’uomo che ha ucciso l’ex moglie e la compagna che lo stava lasciando e poi si è ucciso a Vicenza dopo aver lanciato un paio di granate. A parte un paio di titoli che hanno parlato di follia, si è presto capito che qui follia e raptus non c’entravano nulla ma si trattava di anni di violenze con tanto di condanne e di allarmi sottovalutati. Sconvolgente la testimonianza del nuovo compagno della vittima, raccolta da Repubblica: la sentenza di separazione aveva interrotto l’affido esclusivo dei figli nonostante lui fosse stato in galera per violenze, i servizi sociali le avevano consigliato di cambiare città; l’unico problema per i servizi sociali era quello di riavvicinare i figli al padre, anche se lui non li voleva. Come ben riassume Giulia Merlo su Domani riprendendo le conclusioni del rapporto della commissione parlamentare sul femmincidio questo evento mostra come il cortocircuito tra giustizia civile e penale cancella la violenza sulle donne. All’uomo, violento e maltrattante, è stato comunque concesso in sede di separazione l’affido condiviso dei figli minori, anche perché nel 96 % dei casi anche se in presenza di maltrattamenti i tribunali ordinari non acquisiscono gli atti penali e non ne tengono conto per decidere sull’ affido, solo nel 15 per cento dei casi i giudici hanno approfondito le allegazioni di violenza.

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I dati raccolti nel rapporto della commissione femminicidio

 L’altro aspetto è il fatto che l’omicida era stato considerato riabilitato e non pericoloso dopo un percorso per uomini maltrattanti, che quindi, come molti sottolineano, non garantiscono risultati. Questo e il caso di Sarzana, dove si è scoperto che l’assassino doveva stare in carcere ma non c’era per un difetto burocratico, hanno spinto la ministra della Giustizia Marta Cartabia a mandare gli ispettori e hanno intrecciato il tema con la polemica politica sui referendum della Giustizia, tra responsabilità dei magistrati e riduzione delle misure cautelari.

Sulla violenza di genere ci sono gli strascichi gossip del caso Depp-Heard. Un processo altamente mediatico diviso in due fazioni le cui fondamentali ragioni erano: Depp è il baluardo degli uomini contro le donne che fingono di essere menate e Amber ha ragione perché gli uomini menano. Come sintetizza Federica Cacciola su Domani: «Se sei una donna rappresenti sempre tutte le donne, qualunque cosa tu faccia. La donna non esiste come essere umano a sé stante capace di fare grandi cose o cazzate immense, senza condizionare la reputazione di tutte le altre. Una donna viene sempre giudicata come donna. Però quando al contrario fai cose ammirevoli sei una eccezione». Sul tema MeToo e annessi in un’intervista sul Giornale Gabriele Muccino tra le molte cose di cui si lamenta anche il clima di caccia alle streghe negli Usa per tutte le regole antimolestie. Alla domanda se il MeToo seppure tra eccessi ha dato una scossa lui parla di pulsioni umane che sono sempre quelle, di abominio del maccartismo e se la piglia con Asia Argento : “Se non vuoi mangiare in un piatto non lo fai”. Ecco.

Diritti riproduttivi.
Finito questo drammatico capitolo cambiamo registro ma non troppo, con una notizia grottesca che ha dato la Stampa l’11 giugno: un bando in due comuni del Torinese per un posto da comandante dei vigili che prevede per le donne di consegnare tra i documenti un test di gravidanza fatto entro 5 giorni per eventualmente sospendere la prova di idoneità fisica ( correre 1000 metri in 6 minuti) e spostarla a ridosso dell’orale, cioè circa tre mesi dopo. Come ha fatto notare una sindacalista le donne non sono criceti e una gravidanza dura di solito 9 mesi. Un pastrocchio di cui tutti (sindaci, funzionari) disconoscono la paternità. Di gravidanze registrate si parla invece in un contesto molto più drammatico in Polonia, dove oltre ad avere una delle leggi sull’aborto più restrittive del mondo, ora i medici dovranno registrare le donne in gravidanza, si sospetta per controllare che non vadano ad abortire all’estero o clandestinamente. Uno scenario distopico da Il racconto dell’ancella. Nel frattempo il Parlamento Europeo ha approvato una risoluzione nella quale condanna il deterioramento dei diritti e della salute sessuale e riproduttiva delle donne nel mondo, compresi gli Stati Uniti e alcuni Paesi UE, e chiede un accesso sicuro all’aborto. Una risoluzione poco ripresa dai giornali salvo Avvenire che ci apre il giornale del 10 giugno con un titolo eloquente“Il parlamento UE sbanda e va fuori strada sull’aborto. Non è un diritto», A proposito di Chiesa segnaliamo qui il pezzo di Lucetta Scaraffia tratto dal libro Agnus dei scritto con Anna Foa e Franca Giansoldati sull’incapacità del Vaticano di affrontare come si deve la questione degli abusi sessuali nella Chiesa, con il caso allucinante di don Seppia, condannato per abusi atroci, sospeso ma ora accolto in una casa per sacerdoti bisognosi di sostegno.

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Politicamente corretto
Anche questa è ormai è una rubrica fissa. Il caso più clamoroso è quello su cui si è impantanato il partito laburista inglese. Come racconta Antonello Guerrera su Repubblica il leader laburista Keir Starmer si è incagliato sull’interrogativo se le donne possano avere il pene o no. La sua risposta dopo vari tentennamenti è sì ma due donne del partito non sono d’accordo tra di loro: per Stella Creasy le donne possono avere un pene, per Anneliese Dodds assolutamente no. Sulla vicenda torna Marzano per dire che la sinistra deve prendere atto del fatto che la differenza sessuale non spiega tutte le differenze con le varie sfumature. Anche Mattia Feltri nella sua rubrica Buongiorno sulla Stampa ne parla, in modo divertente e leggero, ricordando la rivolta che ci fu nel bagno delle donne in parlamento per Vladimir Luxuria. Nel frattempo la Bbc, segnala Domani, sarebbe incorsa nel delitto di misgendering, quando ha raccontato lo stupro di una lesbica da parte di una trans indicando la trans come they, mentre la vittima la indicava come him.

Donne e sport
Pochissimo da segnalare, i giornali generalisti non ne parlano quasi se non per pubblicare le foto della festa di addio al nubilato di Federica Pellegrini. Il Giornale dedica due pagine ad un’intervista di Eleonora Barbieri a Silvia Salis, ex olimpionica di lancio del martello, vice presidente del Coni, moglie del regista Brizzi e ora scrittrice. Quando lei ha iniziato il martello per le donne non era ancora disciplina olimpica, lo è diventato nel 2000. La forza fisica, dice, è femminile. A proposito di forza femminile sulla Gazzetta la pugile Alessia Mesiano sottolinea come le donne nella sofferenza siano capaci di aiutarsi. Lei si descrive come una leonessa che tolti i guantoni si mette i tacchi e che nella vita privata fa campagne contro il bullismo e la violenza sulle donne.

Donne protagoniste e tetti di cristallo vari
Non lo sono nella politica nostrana, a parte Giorgia Meloni. Caso clamoroso quello di Parma dove in un pezzo del Corriere si racconta come su 10 candidati sindaci non ci sia nemmeno una donna, ma del resto openpolis ricorda che nei 978 comuni che vanno al voto le sindache sono solo il 12%. Faranno forse un po’ meno fatica nelle aziende. La Ue ha approvato la direttiva Women on board che impone il 40% degli incarichi nelle società quotate al genere sotto rappresentato. Surreale pezzo di Francesco Giubilei sul Giornale dal titolo “Quote rosa l’Ue penalizza la meritocrazia che si scaglia contro l’Ue che ci impone obblighi, senza sapere evidentemente che in Italia dal 2011 la legge Golfo Mosca prevede già la stessa cosa e le donne sono passate dal 7 al 40 % senza che nessuno si lamentasse, tanto meno in Confindustria. Tra l’altro, come ricorda Paola Severino sul Messaggero, dove le donne occupano i vertici delle aziende ci sono meno episodi di corruzione sia nel pubblico come nel privato. Il sito Alleyoop dà conto di come il Pnrr riservi all’impresa femminile solo briciole, tema ripreso anche da Laura Linda Sabbadini, direttora dell’Istat su Repubblica, dove in un altro commento Elisabetta Camussi ironizza sullo strano caso di una maggioranza, le donne, da sempre trattate come una minoranza e per la quale si deve parlare di inclusione, a cominciare dal Pnrr.

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Guerra
Questa settimana parliamo poco di guerra se non per segnalare sulla prima pagina di Domani Futura D’Aprile che intervista Amineh Kakabaveh, parlamentare indipendente svedese  originaria del Kurdistan iraniano, ex combattente peshmerga. L’ apporto della parlamentare è stato decisivo per salvare l’esecutivo svedese, e ora il fatto che Kakabaveh non voglia cedere al ricatto di Erdogan che chiede di estradare i combattenti curdi rifugiati in Svezia in cambio del sì della Turchia all’entrata svedese nella Nato rischia di complicare il processo. L’altra notizia è di come anche in Ucraina le violenze sulle donne possano essere strumentalizzate per ragioni di propaganda e danneggiare la causa: l’ex commissaria per i diritti umani, Lyudmila Denisova, licenziata per aver gonfiato i casi di stupri, in un’intervista alla testata ucraina LB, citata dal Fatto, ammette di aver calcato un po’ la mano per spingere sugli aiuti militari.

Porno e crinoline
Arianna Finos su Repubblica dedica una pagina al cinema porno a partire dal fim Pleasure di Ninja Thyberg che indaga sul mondo dell’hard: «il 99% dei film porno eterosessuali adotta un punto di vista univoco: incarnano una fantasia maschile legata all’oggettivazione della donna. Questo influenza la nostra vita sessuale». Un tema che ritorna sul Quotidiano Nazionale nel servizio di Viviana Ponchia su OnlyFan, la piattaforma ultima frontiera dell’hot: l’autrice si domanda se rappresenti la presa di potere delle donne o l’ennesima mercificazione del corpo. Di corpi normati parla il libro di Maura Gancitano sulla dittatura della bellezza recensito da Nadia Terranova sulla Stampa dove si sostiene che i canoni estetici sono diventati un forma di controllo sociale a partire dall’800, facendo passare ogni volta un modello unico, mentre prima la bellezza era più plurale. Ma la dittatura della bellezza ha fatto comunque molte vittime: come le due sorellastre di Oscar Wilde bruciate nel rogo delle loro crinoline perché si erano avvicinate troppo al camino, un incidente domestico diffusissimo ai tempi, come racconta in un divertente pezzo Giulia Caminito sempre sulla Stampa.

Influencer
Infine le regine della settimana riprese da tutti i giornali, tranne la Verità, a cui dedichiamo la fotografia: Chiara Ferragni e Liliana Segre che si sono incontrate a casa della senatrice per pianificare una visita al Memoriale della Shoah di Milano. Il perché lo spiega quel genio della comunicazione che è Segre a Zita Dazzi su Repubblica: «Gli studenti arrivano perché li portano i professori in gita scolastica. A me piacerebbe che venissero spontaneamente. Chiara Ferragni serve alla causa».

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A questa rassegna stampa hanno collaborato Barbara Consarino, Luisella Seveso, Maria Luisa Villa, Caterina Caparello, Laura Fasano

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