Rassegna sui generis: la settimana di notizie sulle donne (dal 29 gennaio al 3 febbraio 2024)

Una settimana di notizie sui nostri media: come e quanto si parla di donne? E quante sono le donne a scrivere del mondo. GiULiA prosegue con il suo osservatorio sui giornali in ottica di genere.

Rassegna sui generis: la settimana di notizie sulle donne (dal 29 gennaio al 3 febbraio 2024)
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Barbara Consarino Modifica articolo

4 Febbraio 2024 - 17.32


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Il Corriere della Sera, La Repubblica, La Stampa, Il Giornale, Il Messaggero, Avvenire, Domani, Il Fatto quotidiano, Il Sole 24 ore, Il Manifesto, Libero, La Verità, QN, La Gazzetta dello Sport, Tuttosport e uno sguardo al web

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Settimana dal 29 gennaio al 3 febbraio
Firme in prima pagina: 904 uomini, 276 donne
Editoriali e commenti in prima pagina: 174 uomini e 26 donne
Interviste:  236 uomini e 53 donne

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Due parole sui numeri

Nella solita miseria di presenze femminili, nella settimana ci sono piaciute assai le interviste a Franca Caffa, indomita novantenne milanese che ha dato una lezione di educazione civica, in una piazza per la Palestina, a un carabiniere che negava di riconoscere Mattarella come suo presidente. Il mondo alla rovescia ma non quello di Vannacci. Così come ci è piaciuta la fermezza di Liliana Segre nel rivendicare il suo essere ebrea che non deve rispondere di quel che sta facendo Israele a Gaza.

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Su un altro piano l’intervista su Repubblica all’autrice e discografica Mara Maionchi che ricorda con tenerezza e verità Sandra Milo, scomparsa in questi giorni, sulla quale non sono mancati ritratti pieni di stereotipi: la musa, l’amante di, la svampita, negandone intelligenza, libertà e autonomia. 

Noi però iniziamo con una buona notizia: una volta tanto, da lunedì a sabato, non abbiamo registrato femminicidi. Ma a monopolizzare la settimana, tenendo le prime pagine per quattro giorni è stata ugualmente  la vicenda di una donna, Ilaria Salis, la ragazza italiana da 11 mesi detenuta in un carcere ungherese, accusata di avere ferito alla testa un neonazista durante una manifestazione in Ungheria. Il giovane non l’ha nemmeno denunciata, ma Ilaria è stata arrestata e dopo quasi un anno di carcere trascorso in condizioni spaventose, è stata condotta in tribunale in catene, mani e piedi legati e una specie di guinzaglio trattenuto da una carceriera. “Trattata come un animale”, hanno titolato i nostri giornali e quella foto di Ilaria in ceppi, come ha scritto Flavia Perina sulla Stampa di sabato è di quelle destinate a passare alla storia. Come fu la foto di Enzo Tortora in manette, quella di Mahsa Amini uccisa in Iran perché le sfuggì una ciocca di capelli dal velo, o, ancora, l’immagine di Aylan Kurdi, piccolo naufrago di 3 anni, finito dalla Siria sulle sponde del Mediterraneo. Di fronte alla forza di un corpo prigioniero esibito in aula con violenza dalle autorità ungheresi poco importa che i quotidiani italiani si siano divisi prevedibilmente in due: da una parte quelli che, indipendentemente dal merito delle accuse, si sono schierati dalla parte della giovane insegnante, reclamando per lei condizioni di detenzione umane e dall’altra quelli che invece hanno scavato nel passato della ragazza (e anche di suo padre) tentando di trovare giustificazioni a quanto le sta accadendo.  

Domani fa un passo avanti e ci offre un approfondimento firmato da Riccardo Noury, portavoce di Amnesty, che elenca i diritti violati nell’Ungheria di Orban.  Tra i tanti la diffusione di informazioni su omosessualità o cambiamento di genere nelle scuole, le multe alle librerie che espongono libri sull’ omosessualità negli scaffali per ragazzi (vanno esposti comunque in busta chiusa). Per quanto riguarda la libertà di stampa si registra una grave situazione legata all’ingerenza del governo nell’informazione pubblica e il numero elevato di media filogovernativi che promuovono campagne denigratorie contro gli oppositori. Per quanto riguarda la parità di genere, l’Ungheria si colloca complessivamente al penultimo posto tra gli stati membri della UE e all’ ultimo posto per quanto riguarda la parità di genere nell’ambito delle posizioni di potere.
Il titolo migliore  sulla vicenda di Ilaria Salis è quello del Manifesto, in prima sotto il faccione di Orban: Angheria.

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Cattive e codarde

In mancanza di femminicidi abbiamo scoperto però che anche le donne, a volte, uccidono e come assassine sono scaltre e raramente colpiscono d’impeto, più facilmente persone inermi, come il proprio compagno mentre dorme. Uccidono per malvagità, anaffettività, desiderio di possesso. E in famiglia, tanto come gli uomini. Così scrive Barbara Benedettelli sulla prima pagina del Giornale a proposito dell’omicidio di Domenico Vellega avvenuto 2 anni fa ad Acerra e per il quale sono stati arrestati recentemente la moglie Maddalena Masi e Francesco Miranda, il compagno di lei. Benedettelli, attivista politica di centrodestra, scrittrice e autrice televisiva si è occupata dal 2016 anche degli uomini vittime di violenza domestica e ha partecipato alla stesura del Codice rosso 2019. Quale migliore occasione per sostenere che «occorre uscire da quel paradigma ideologico che ha imposto interventi e azioni esclusivamente a tutela delle vittime femminili», scrive l’autrice che però, con tutti gli sforzi, mette insieme a malapena un pugno di omicidi di mariti e compagni.

E allora, a proposito di violenze, leggiamo sulla Stampa, in cronaca locale, l’intervista alla procuratrice del tribunale dei minori di Torino, Emma Avezzù, che ci parla del coraggio di bambini e bambine nel denunciare i maltrattamenti dei padri sulle madri, cosa di cui si fanno carico con grande dolore e conseguenze sulla loro vita futura: un centinaio di denunce lo scorso anno e parliamo solo di Torino. Il quotidiano piemontese venerdì porta questa storia in prima pagina, spiegando che sempre più spesso sono i più piccoli a prendere in mano la situazione quando le madri non riescono e cita un bimbo di 11 anni che ha denunciato il padre, condannato poi a 5 anni e mezzo per le violenze sulla mamma, costretta pure a dormire nella cuccia del cane. Di coraggio dei ragazzini aveva scritto il Corriere della Sera il 30 gennaio, una pagina intera sulle donne ospiti degli appartamenti rifugio della onlus Telefono donna, a Milano. Sono fuggite dalle violenze domestiche, una di loro ricorda quando si allontanò da casa il primo marzo del 2018, con il figlio di 4 anni, camminando nella neve per arrivare alla caserma dei carabinieri. Le altre hanno storie simili che stanno tentando di lasciarsi alle spalle e non c’è per loro solo ospitalità: mentre i figli possono tornare a scuola, le madri seguono percorsi di formazione per ritrovare un lavoro e rifarsi una vita. Come ha sottolineato anche Margherita Cassano, la presidente della Cassazione all’inaugurazione dell’anno giudiziario, uno dei fattori chiave per liberarsi dall’incubo delle violenze domestiche è l’indipendenza economica, senza la quale non può esserci libertà di denuncia. Per uscire dalle parole troviamo sul Messaggero di lunedì, un’apertura di pagina su un progetto di legge bipartisan (per ora Pd, 5 stelle e FdI), che dovrebbe favorire l’assunzione di donne vittime di violenze nel settore pubblico e in quello privato, con estensione delle agevolazioni sui contributi per i datori di lavori e creazione di quote riservate. Nel taglio l’intervista a Barbara Bartolotti, la donna che nel 2003 fu quasi uccisa da un collega che l’aveva colpita con martellate e coltellate, tentando pure di darle fuoco. Lui ora lavora in banca, lei il lavoro l’ha perso e quando ha tentato di ritrovarlo le è stato detto a chiare lettere che il suo aspetto, dopo l’aggressione impediva di trovarle un’occupazione. Queste cose Barbara Bartolotti le ha raccontate, ancor prima che al Messaggero, alla Commissione Lavoro del Senato che si sta occupando del progetto di legge.

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Giustizia

Alla fine le 1.400 domande degli avvocati sono diventate almeno 2mila (così nota Giusi Fasano sul Corriere di venerdì) e si registra quasi con sollievo la fine dell’interrogatorio di Silvia, la ragazza che al tribunale di Tempio Pausania accusa Ciro Grillo e tre suoi amici di averla violentata nella lontana estate del 2019. Ha cominciato il Fatto quotidiano pubblicando i verbali di aula e tutti gli altri si sono accodati, alcuni purtroppo con accanimento nei confronti della presunta vittima. Perché se è vero che i processi servono ad accertare la verità, scrive Viola Ardone sulla Stampa «c’è qualcosa di tragico in queste domande, una violenza persecutoria, un macigno che pesa su quella ragazza in particolare ma allo stesso tempo su tante altre donne che sapendo quello a cui andrebbero incontro magari preferiranno non denunciare, non finire in quel tritacarne di interrogativi sempre più incalzanti, sempre più offensivi sempre più destabilizzanti». E certamente a Silvia, in questi 5 anni trascorsi dalla sua denuncia, non è stato risparmiato nulla, dagli avvocati e dai giornali.

Speriamo che sia diverso e giusto il destino per la ragazzina di 13 anni che ha denunciato di essere stata vittima di una violenza di gruppo a Catania, mentre passeggiava col fidanzato nella centralissima villa Bellini. Per ora sono stati fermati sette giovani egiziani, alcuni minorenni.   

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E a tal proposito richiamo in prima su Domani per la direttiva Ue sulla violenza contro le donne a firma della magistrata Maria Grazia Giammarinaro: il parlamento europeo ha cancellato lo stupro dalla bozza, in contraddizione con la Convenzione di Istanbul che invece definisce la violenza sessuale come penetrazione non consensuale o altri atti sessuali commessi contro una persona senza il suo consenso. Si tratta di un enorme passo indietro. La scusa per lo stralcio è che il parlamento non avrebbe competenza legislativa in merito. In realtà molti paesi avevano già avversato l’approvazione della Convenzione di Istanbul. E il fatto che lo stesso parlamento abbia approvato la revisione della direttiva sulla tratta di esseri umani evidenza l’ampliamento della giurisdizione su temi scottanti. L’ Italia deve impegnarsi per evitare questo sfregio, che tra l’altro vanifica il grande lavoro fatto da europarlamentari come Pina Picierno, la parlamentare europea del Pd, relatrice al Parlamento Ue sulla direttiva violenza sulle donne. Picierno in una intervista a Repubblica del 2 febbraio riprende l’allarme lanciato da Linda Laura Sabbadini e rende bene l’indifferenza del Parlamento europeo, unita al timore di muoversi in modo netto su tema molto divisivo.

Emozione all’università di Padova per la laurea postuma in Ingegneria biomedica conferita a Giulia Cecchettin. Gioia e tristezza della famiglia nel discorso del papà e della sorella Elena. Per tutti noi c’è la piccola consolazione di quanto avvenuto in provincia di Latina, dove una ragazza di 16 anni, svolgendo il tema in classe su Giulia ha svelato le violenze subite da quello che ci si ostina a definire “fidanzatino” consentendo alle insegnanti di aiutarla, insieme alla sua famiglia, a denunciare il ragazzo. La laurea postuma a Giulia offre lo spunto per altre riflessioni. Su Avvenire Elena Beccalli riflette sull’importanza dell’istruzione per le donne. La vera parità si ottiene con le vere opportunità. Ancora oggi nel mondo ci sono 130 milioni di ragazze che non vanno a scuola. Un tema caro anche a Papa Francesco che scrive nella prefazione al volume “Più leadership femminile per un mondo migliore”: «l’educazione è la strada maestra da un lato per fornire alle donne le competenze e le conoscenze necessarie per affrontare le nuove sfide nel mondo del lavoro, e dall’altro per facilitare il cambiamento della cultura patriarcale, ancora prevalente». Seguono una serie di dati interessanti sulla disparità di genere in ambito educativo ed economico.  Le conclusioni  sono ancora affidate a Francesco: «la parità va raggiunta nella diversità». Parità appunto nelle opportunità.

Segnaliamo anche il dossier sul femminicidio pubblicato sul sito di Repubblica (solo per abbonati) in cui vengono anche interpellate la presidente di GiULiA Serena Bersani e Monia Azzalini dell’Osservatorio di Pavia, per parlare di come cambia la narrazione della violenza di genere sui media: qualcosina cambia, ma non abbastanza.

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Salute, culle vuote e altre storie

Su Domani del 29 gennaio Micol Maccari, a proposito di Medicina di genere sottolinea l’importanza di studi scientifici che non ignorino le donne. Lo spunto viene dal rapporto di fondazione Onda e Farmindustria “Verso un ‘equità di genere nella salute e nella ricerca”. Per secoli si è pensato che gli uomini fossero l’umanità, cosa non vera come per secoli si è pensato studiando il loro corpo e applicando le conclusioni anche alle donne. Nell’articolo ci sono alcuni esempi: i medicinali contro l’ipertensione possono ridurre la probabilità di infarto negli uomini, ma aumentano il rischio di morte nelle donne e così i farmaci usati per l’infarto possono causare importanti emorragie nelle donne. Più difficili da valutare nella ricerca, a causa delle variazioni ormonali e della sensibilità verso gli effetti collaterali dei farmaci. Molto meglio allora escluderle. Per fortuna le cose stanno cambiando anche da noi e la medicina di genere già dal 2018 può essere applicata nel Servizio sanitario nazionale.

Un altro forte argomento della settimana è l’inverno demografico: “Cambiare politica verso l’immigrazione” titola il Sole24ore a firma della sociologa Laura Zanfrin che sottolinea l’enorme gap tra numero di quote decretato e domande presentate e poi ancora numero di contratti sottoscritti. Il Sole torna sul tema dell’inverno anzi della glaciazione demografica e indica l’immigrazione come leva, si cita un libro del rettore della Bocconi Francesco Billari, demografo, che indica nell’immigrazione regolata l’unica opzione possibile per affrontare il problema, a beneficio di tutti : «Gli scenari Istat parlando di un calo di popolazione di circa un milione in 10 anni, quindi dobbiamo aggiungere a questi scenari 100-110mila immigrati al netto delle emigrazioni. Un numero adeguato quindi per il prossimo decennio sarebbe di 450mila ingressi all’anno, se ipotizziamo che continuino a lasciare il nostro territorio 150 mila persone all’anno. È un numero triplo rispetto al decreto flussi del 2023-25»

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Anche il Qn dedica due pagine alle culle vuote, un problema non solo italiano. In quest’ambito c’è l’intervista a Lorenzo Conci, sindaco di Calliano, provincia di Trento, comune di poco più di 2000 abitanti, ma con molti servizi per le famiglie, così le nascite sono raddoppiate.

Intanto dopo qualche incertezza, via libera dall’Inps all’esonero contributivo in favore delle lavoratrici con figli. Sul Sole24ore la  circolare 27/2024, l’istituto illustra le regole cui devono attenersi i datori di lavoro per riconoscere, alle aventi diritto, il beneficio introdotto dall’articolo 1, commi 180-182 della legge 213/2023 (legge di Bilancio 2024). Per effetto di tale disposizione, le lavoratrici non pagheranno in busta paga i contributi previdenziali, pur non intaccando la loro posizione pensionistica. L’agevolazione determinerà un maggior netto della retribuzione.
L’esonero vale per tre anni: dal 1° gennaio 2024 al 31 dicembre 2026 e, in genere, spetta a chi ha almeno tre figli, fino a quando quello più piccolo compie 18 anni (17 anni e 364 giorni). Solo per il 2024 hanno diritto all’esonero anche le lavoratrici con almeno due figli, se quello più piccolo ha meno di 10 anni (9 anni e 364 giorni). Per poter accedere all’esonero contributivo, il rapporto di lavoro deve essere a tempo indeterminato, ma rilevano anche le stabilizzazioni.

Sul Fatto un ampio resoconto sull’attività del centro dell’ospedale Careggi di Firenze, punto di riferimento per giovanissimi e adolescenti transgenere, messo sotto accusa da un’interrogazione parlamentare di Maurizio Gasparri cui hanno fatto seguito denunce da parte dell’associazione Pro Vita e di molti quotidiani di destra. Su Careggi e soprattutto sull’uso della triptorelina, un farmaco che blocca la pubertà nei bambini e bambine di 10-12 anni, c’è stato in questa settimana uno scambio di accuse a distanza fra il Fatto e il  Giornale, Libero e la Verità: i tre giornali di centrodestra denunciano l’uso non corretto del farmaco, che dovrebbe essere somministrato successivamente ad una adeguata psicoterapia.

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Dal mondo

Su Repubblica e Avvenire il ritratto di Kemi Badenoch, 44 anni, ministra del Commercio inglese, indicata come la prossima e prima leader nera del partito conservatore. Le elezioni di quest’anno vedono strafavorito il partito laburista mentre il premier Rishi Sunak scivola pericolosamente verso il fondo dei sondaggi: per questo una parte dei conservatori vorrebbe Kemi al comando subito, per arginare la falla a destra. Del resto lei è il politico conservatore più amato con il 65 per cento del consenso degli iscritti che ne apprezza le posizioni integraliste su deportazioni in Ruanda, discriminazioni delle donne, questioni Lgbt. Lei nega di essere in corsa, ma la sua scalata tra i tories pare sia solo questione di tempo.

E c’è un’altra donna, secondo il Corriere della sera, che pian piano sta scalando il tempio del potere maschile. Dall’altra parte del mondo, in Giappone, Yoko Kamikawa, 71 anni, ministra degli Esteri da qualche mese, è indicata come la stella in ascesa che potrebbe diventare addirittura la prima donna a capo del governo ora che è in scadenza il mandato del premier Kishida. E Yoko Kamikawa potrebbe davvero salvare il partito conservatore devastato dagli scandali: già ministra della Giustizia, è entrata nell’ultimo rimpasto che doveva servire ad attenuare il gender gap dove, secondo il World economic forum, il Giappone  si trova al 138° posto tra i Paesi nella rappresentanza politica femminile, tanto da aver inviato un uomo al G7 di giugno proprio su questi argomenti. Nel frattempo lei sta sopportando anche battute pesanti non dall’opposizione, ma da qualche esponente del suo partito.
Novità anche dall’Irlanda dove Michelle O’Neil sarà la prima presidente della Repubblica.

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Su Avvenire intervista a Abby Avelino, suora filippina, chiamata a Roma a guidare come coordinatrice internazionale la rete di religiose Thalita Kum (6 mila suore nel mondo) che si batte contro sfruttamento e tratta.  Abby Avelino è “ingegnere meccanico”, lavoro che ha svolto a Los Angeles dove la sua famiglia era emigrata. Ha preso i voti nel 2008 e da missionaria ha viaggiato in tutto il mondo. «Le aree più a rischio oggi sono Africa settentrionale e Asia meridionale ma soprattutto il fenomeno di sfruttamento e tratta sta esplodendo on line con i social network. È in rete che dobbiamo mettere nuove radici come missione. Per questo stiamo coinvolgendo giovani ambasciatori dai 18 anni nei propri paesi con corsi di formazione nei villaggi e nelle zone più remote e povere da dove i giovani sognano di partire cadendo spesso nella rete degli sfruttatori».

Lo Sport

La settimana ha visto protagonista assoluto Jannik Sinner. Malgrado questo, sempre abbastanza alta l’attenzione sul volley. C’è poi la storia su Qn e Corriere della medica afghana Nadia Nadim che ora gioca nel Milan femminile e nella nazionale danese: fuggita dal suo paese ha vissuto in un campo profughi con la mamma e quattro sorelle.

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La nostra Caterina Caparello ci propone anche alcune notizie che non troverete sui giornali: Assunta Scutto vince il bronzo di Judo al Grand Slam di Parigi nei -48kg; per la scherma Giulia Rizzi vince l’argento nel mondiale a Doha: nel tiro a volo Martina Maruzzo è seconda in coppa del mondo in Egitto; per l’atletica Roberta Bruni è terza nel salto con l’asta a Ostrava nel principale circuito mondiale.

Per finire qualcosa di più leggero: sono tempi duri anche per le emigrate alla rovescia. Malgrado la pioggia di denaro piovuta loro addosso, soffrono la nostalgia dell’Occidente mogli e fidanzate dei calciatori che hanno accettato i ricchi ingaggi in Arabia Saudita. Cacciate da centri commerciali e ristoranti perché troppo svestite, costrette a tenere spalle e gambe coperte, niente pantaloncini corti neppure al mare. I giornali italiani cominciano a dedicare paginate alla rivolta delle signore, aveva iniziato il Daily mail e questa settimana abbiamo contato almeno tre servizi su questo argomento.

Grazie alle colleghe che hanno collaborato a questa Rassegna. Caterina Caparello, Gegia Celotti, Laura Fasano, Luisella Seveso, Paola Rizzi e Maria Luisa Villa.

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