Nel nuovo codice deontologico dei giornalisti approvato all’unanimità l’11 dicembre 2024 la parola “rispetto” scelta dalla Treccani come parola dell’anno ricorre 11 volte: rispetto della dignità della persona, rispetto della sfera privata, rispetto della privacy, rispetto della verità sostanziale dei fatti, rispetto delle differenze di genere. Il rispetto è quindi indicato come postura essenziale della deontologia di chi fa informazione, proprio per quella che la Treccani definisce la sua rilevanza sociale: «La sua mancanza è alla base della violenza esercitata quotidianamente nei confronti delle donne, delle minoranze, delle istituzioni, della natura e del mondo animale». Il rispetto che non troviamo spesso in chi fa dis(informazione) sui nuovi media dove i vincoli deontologici semplicemente non ci sono.
Il nuovo codice entrerà in vigore a partire dal primo giugno al posto del Testo Unico dei doveri del giornalista del 2016 integrato nel 2021. Si è passati da un documento di 16 articoli più gli allegati ad uno di 40 comprensivo di tutto. Dal punto di vista delle questioni che stanno a cuore a GiULiA, la prima novità che salta all’occhio è la definizione delle persone destinatarie del codice: mentre nel passato era “Il” giornalista, ora la formulazione prevede il/la giornalista. Viene così introdotta finalmente una declinazione di genere del linguaggio anche nella carta dei doveri di chi con le parole ci lavora tutti i giorni e che dovrebbe aver fatto proprie le istanze già elaborate nel 1987 da Alma Sabatini, nelle Raccomandazioni per un uso non sessista della lingua, ancora reperibili nel sito della Presidenza del Consiglio che allora le aveva commissionate. Si tratta quindi di una piccola grande rivoluzione che pone il codice dei giornalisti come avanguardia rispetto agli altri ordini professionali. Come nel vecchio codice deontologico la parola donna non c’è, mentre la parola “genere” ricorre, solo, due volte, a proposito dell’articolo intitolato Rispetto delle differenze di Genere. Nel vecchio codice era l’articolo 5-bis. Nella nuova articolazione è stato retrocesso all’articolo 13, ma senza più, per fortuna, quel bis, che lo collocava in subordine all’articolo 5 sui doveri nei confronti dei minori. La formulazione dell’articolo è rimasta quasi invariata se non per una più articolata definizioni delle fattispecie. Di seguito il testo integrale:
«Nei casi di femminicidio, violenza, molestie, discriminazioni e di fatti di cronaca che coinvolgono aspetti legati all’orientamento e all’identità sessuale, valutato l’interesse pubblico, la/il giornalista: a) evita stereotipi di genere, espressioni, immagini e comportamenti lesivi della dignità della persona;
b) non rende identificabili, neppure indirettamente, le vittime di atti di violenza, salvo esplicita e motivata richiesta delle vittime stesse, purché maggiorenni;
c) si attiene a un linguaggio rispettoso, corretto e consapevole;
d) si attiene all’essenzialità dell’informazione e alla continenza, evitando spettacolarizzazioni;
e) non usa espressioni, termini e immagini che sminuiscano la gravità del fatto o colpevolizzino la vittima;
f) assicura una cronaca rispettosa anche dei familiari e delle altre persone coinvolte nei fatti».
Rispetto al 5bis, al comma a) si è aggiunta la fattispecie dei “comportamenti lesivi” da evitare nella condotta del/della giornalista; il comma b) è completamente nuovo e fa proprie le indicazioni del garante della privacy, per altro riprese estesamente anche nell’articolo 25 intitolato Tutela dell’identità delle vittime, dei condannati e dei congiunti; nel comma e) compare la parola “colpevolizzazione”, accogliendo la sensibilità maturata negli ultimi anni, anche grazie a decine di prese di posizione di GiULiA e di altre associazioni e attiviste della rete delle donne, contro la tendenza della narrazione giornalistica sulla violenza di genere a cercare nel comportamento della vittima le cause del crimine dell’aggressore, in base all’assunto ancora largamente diffuso del “se l’è cercata”. Da notare che nel cappello dell’articolo 13 sono rimaste le diciture “orientamento sessuale e identità sessuale”, mentre non sono comprese le parole genere e identità di genere ormai ampiamente in uso anche nel linguaggio istituzionale, alla luce del dibattito degli ultimi anni sia linguistico che sui diritti umani.
La questione di genere, anche se non espressamente nominata, ritorna comunque anche in altri articoli, come per esempio l’articolo 20 sull’Uso delle immagini dove al comma c) si dice espressamente di evitare “stereotipi nella rappresentazione sia degli individui sia dei gruppi» e nel comma d) si parla astenersi “dalla diffusione di immagini che possano portare a forme di spettacolarizzazione della violenza”. Una questione cruciale proprio dal punto di vista della spettacolarizzazione della violenza di genere, che costituisce uno dei fattori di vittimizzazione terziaria più endemici e tossici del panorama dei nostri media.
Rispetto alla precedente versione del codice, è scomparsa la parola social network che prima veniva espressamente nominata all’articolo 2 sui fondamenti deontologici, a proposito dell’uso deontologico di tutti i mezzi di comunicazione, compresi i social network appunto. Ora probabilmente si dà per scontato nell’articolo 4 su Decoro e dignità professionale quando si dice che «la/il giornalista a) applica i principi deontologici nell’utilizzo, anche a livello personale, di qualsiasi strumento di comunicazione». Anche se la specificità e pervasività dei social network, soprattutto dal punto di vista della diffusione degli stereotipi e dell’hate speech, forse potevano essere compresi in una voce specifica più dettagliata, così come avviene nell’articolo dedicato all’Intelligenza Artificiale.
Di seguito il testo del nuovo codice.