Parigi, 25 gen – Il 2011 e´ stato un anno grigio per la liberta´ di stampa e per il lavoro delle giornaliste e dei giornalisti nei 179 Paesi del mondo, secondo l´ultimo rapporto di Reporter senza Frontiere, rese noto oggi. L´organismo internazionale bacchetta in particolare le grandi democrazie, dove la situazione e´ peggiorata nel corso dell´ultimo anno, come negli Stati Uniti, che dal 20/o posto della classifica 2010 precipitano al 47/o nel 2011. L´Italia e´ 61/a, la Francia e´ al 38/o posto. Mentre Finlandia e Norvegia confermano il loro primo posto ex aequo, in Europa sono la Bulgaria (80/a) e la Grecia (70/o) ad occupare le peggiori posizioni. Comincia a migliorare la situazione in Tunisia (134/a), mentre l´Egitto, che ha conosciuto numerose violenze ai danni di giornaliste e giornalisti, perde 39 punti nel 2011 (166/o). Il ´´trio infernale´´ resta composto da Eritrea, Turkmenistan e Corea del Nord.
Nei primi 10, dopo Finlandia e Norvegia, risultano in ordine: l´Estonia e l´Olanda, L´Austria, l´Islanda e il Lussemburgo, la Svizzera, per la prima volta il Capo Verde, il Canada. Negli ultimi dieci posti della classifica figurano invece: il Sudan, lo Yemen, il Vietnam, il Barhein, la Cina, l´Iran, la Siria, il Turkmenistan, la Corea del Nord, e ancora l´Eritrea all´ultimo posto. Per quanto riguarda l´Italia ´´che ha ancora circa una dozzina di giornalisti sotto protezione – si legge nel testo di RSF -, con le dimissioni di Silvio Berlusconi ha da poco voltato la pagina del conflitto di interesse. Cio´ nonostante – prosegue l´organismo internazionale per la liberta´ di stampa – il basso posizionamento in classifica porta ancora i segni del vecchio governo, soprattutto per il nuovo tentativo di introdurre una legge bavaglio e per l´intenzione di filtrare arbitrariamente i contenuti della Rete´´.
La parola-chiave del 2011 è stata repressione. La libertà d’informazione non è mai stata così tanto associata alla democrazia. Le giornaliste e i giornalisti, con le loro cronache, non hanno mai infastidito così tanto i nemici della libertà. E nemmeno gli atti di censura e gli attacchi fisici ai giornalisti sono mai stati così numerosi. L’equazione è semplice: l’assenza o la soppressione delle libertà civili porta necessariamente alla soppressione della libertà d’informazione. Le dittature temono e censurano le informazioni, soprattutto quando queste possono minarne la stabilità”. Non sorprende infatti che il trio di paesi composto da Eritrea, Turkmenistan e Corea del Nord – dittature assolute che non consentono libertà civili – occupi nuovamente gli ultimi tre posti della classifica”. Questi ultimi sono immediatamente preceduti da Siria, Iran e Cina, tre Paesi che, risucchiati da una folle spirale di terrore, sembrano aver perso il contatto con la realtà. Proseguendo verso l’alto, troviamo il Bahrain e il Vietnam, regimi oppressivi per eccellenza. Anche altri paesi come l’Uganda e la Bielorussia sono diventati molto più repressivi. “La classifica di quest’anno – conclude RSF – ritrova ai primi posti lo stesso gruppo di paesi che continuano a rispettare le libertà fondamentali: Finlandia, Norvegia e Paesi Bassi. Questo ci dimostra che l’indipendenza dei media può preservarsi solamente nelle democrazie forti e che la democrazia stessa ha bisogno di libertà d’informazione. Vale infine la pena di notare l’ingresso nella top-20 di Capo Verde e della Namibia, due Paesi africani dove non sono stati registrati tentativi di ostacolare il lavoro dei media”.
Movimenti di protestaNel 2011 il mondo arabo ha rappresentato il motore della storia. Le rivolte arabe, tuttavia, hanno finora sortito esiti politici contrastanti, con la Tunisia e il Bahrain ai due estremi opposti. La Tunisia (134° posto) è salita di 30 posizioni in classifica e, con molta fatica, ha dato vita a un regime democratico che non ha ancora pienamente accettato la presenza di una stampa libera e indipendente. Il Bahrain (173°), invece, è sceso di 29 posizioni a causa dell’inarrestabile giro di vite sui movimenti di protesta, dei continui processi contro i difensori dei diritti umani e della soppressione di ogni spazio di libertà. Mentre la Libia (154°) ha voltato pagina dopo l’era Gheddafi, lo Yemen è stato colpito dai violenti scontri tra i sostenitori e gli avversari del Presidente Ali Abdallah Saleh, scivolando così al 171° posto. Il futuro di entrambi questi Paesi resta incerto, così come non sappiamo quale ruolo sarà permesso di ricoprire ai media. Lo stesso vale per l’Egitto (166°), sceso di 39 posizioni perché il Consiglio Supremo delle Forze Armate (CSFA), al potere dallo scorso febbraio, ha vanificato le speranze dei democratici portando avanti le stesse condotte della dittatura di Mubarak. I giornalisti, inoltre, hanno vissuto tre episodi di rara violenza a febbraio, marzo e dicembre. Già posizionata male nel 2010, la Siria (176°) è ulteriormente scesa in classifica a causa di una censura totale, sorveglianza diffusa, violenza indiscriminata e manipolazione del governo, motivi che hanno reso impossibile alle croniste e ai cronisti di compiere il proprio lavoro. In ogni altra parte del mondo, i movimenti prodemocrazia che hanno provato a seguire l’esempio del mondo arabo sono stati brutalmente messi a tacere. Molti, ad esempio, gli arresti condotti in Vietnam (172°). In Cina (174°), il governo ha risposto alle proteste regionali e locali e all’insofferenza popolare – dovuta a scandali e ad atti di ingiustizia – rinforzando febbrilmente il suo sistema di controllo sulle notizie e sulle informazioni, portando avanti arresti arbitrari e aumentando la censura su Internet. In Azerbaigian (162°), si è verificata una drammatica crescita del numero di arresti, dove il governo autocratico di Ilham Aliyev non ha esitato ad arrestare internauti, rapire giornalisti di opposizione al regime e bloccare corrispondenti stranieri al fine di imporre un blackout di notizie sulle proteste. Guidata dal Presidente Yoweri Museveni, l’Uganda (139°) ha lanciato un giro di vite senza precedenti sui movimenti di opposizione e sui media indipendenti dopo le elezioni del febbraio 2011. Analogamente, il Cile (80°) ha perso 47 posizioni a causa delle tante violazioni della libertà d’informazione, molto spesso commesse dalle forze dell’ordine durante le proteste degli studenti. Anche gli Stati Uniti (47°) devono la loro discesa di 27 posizioni ai molti arresti di reporter, avvenuti in occasione delle proteste del movimento Occupy Wall Street.
Molti Paesi europei ben lontani dal resto del continente [/b]
La classifica ha messo in evidenza la divergenza di diversi Paesi europei dal resto del continente. Il giro di vite sulle proteste dopo la rielezione del Presidente Lukashenko, ad esempio, ha causato alla Bielorussia (168°) una perdita di 14 posizioni. In un momento in cui dipinge se stessa come un modello regionale, la Turchia (148°) ha fatto grandi passi indietro e ha perso 10 posizioni. Lontano dal mettere in pratica le riforme promesse, il sistema giudiziario turco ha lanciato un’ondata di arresti contro i giornalisti di una portata tale che non si vedeva dall’epoca della dittatura militare. All’interno dell’Unione Europea, la classifica riflette una continuazione della già marcata distinzione tra Paesi come la Finlandia e i Paesi Bassi, che hanno sempre ottenuto una valutazione molto positiva, e Paesi come la Bulgaria (80°), la Grecia (70°) e l’Italia (61°) che non sono riusciti ad affrontare la questione delle violazioni delle libertà dei media, soprattutto a causa della mancanza di volontà politica. Vanno invece segnalati piccoli progressi da parte della Francia (dalla posizione 44 alla 38), della Spagna (39°) e della Romania (47°). La libertà dei media è una sfida che ha bisogno di essere affrontata più che mai nei Balcani, stretti tra il desiderio di entrare nell’Unione Europea e gli effetti negativi della crisi economica.
Violenza endemicaMolti Paesi sono contraddistinti da una cultura di violenza nei confronti dei media, cultura che ormai influenza profondamente le azioni intraprese. Sarà difficile invertire la tendenza in questi paesi senza una vera e concreta lotta contro l’impunità. Il Messico (149°) e l’Honduras (135°) sono due casi emblematici in tal senso. Il Pakistan (151°) è stato per il secondo anno consecutivo il Paese con il maggio numero di giornaliste e giornalisti uccisi. In Somalia (164°), paese in guerra da venti anni, è difficile intravedere una d’uscita dal caos in cui i giornalisti stanno pagando un alto prezzo. In Iran (175°), reporter perseguitati e umiliati sono stati per anni parte della cultura politico-burocratica; il regime si nutre infatti della persecuzione dei media. L’Iraq (152°) è sceso di 22 posizioni e sta adesso avvicinandosi in maniera preoccupante alla sua posizione del 2008 (158°).
Cambiamenti rilevantiIl Sudan del Sud (111°), una nuova nazione che sta affrontando molte sfide, ha fatto il suo ingresso in classifica in una posizione apprezzabile, se consideriamo che è appena terminata una separazione da uno dei paesi peggio classificati, il Sudan (170°). La Birmania (169°) ha una posizione lievemente migliorata rispetto agli anni precedenti, grazie ai cambiamenti politici degli ultimi mesi che hanno aumentato le speranze ma che hanno ancora bisogno di essere confermati. La Nigeria (29°) ha raggiunto in un solo anno la più grande crescita verificatasi in questa classifica, salendo di 75 posizioni, grazie a una transizione politica di successo. L’Africa ha invece registrato la più grande caduta in classifica. Gibuti, una piccola dittatura del Corno d’Africa, è sceso di 49 posizioni fino ad arrivare alla 159. Il Malawi (146°) ha perso 67 posizioni a causa dei comportamenti totalitari del suo presidente, Bingu Wa Mutharika. La già citata Uganda (139°) ha perso 43 posizioni. La Costa d’Avorio, infine, ha perso 41 posti posizionandosi al 159°, poiché i media sono stati duramente colpiti dalla lotta tra i due presidenti rivali: Laurent Gbagbo e Alassane Ouattara. ll peggioramento maggiore avvenuto in America Latina riguarda il Brasile (99°), che ha perso 41 posizioni a causa di un elevato livello di violenza e insicurezza, sfociate nelle tragiche morti di tre giornalisti e blogger.