Sudan: Amnesty, salviamo Intisar dalla lapidazione

Intisar Sharif Abdallah, in cella con il figlio di 4 mesi, è accusata di adulterio. Il "processo" è stato celebrato senza avvocato né interprete

Sudan: Amnesty, salviamo Intisar dalla lapidazione
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Redazione Modifica articolo

4 Giugno 2012 - 09.22


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‘Khartoum, 1 giu – In Sudan una giovane di 20 anni è stata condannata a morte mediante lapidazione per adulterio, e attualmente e” rinchiusa in carcere insieme al suo bambino: lo denunciano Amnesty International, Human Rights Watch e la presidente di Italians for Darfur, Antonella Napoli, sottolineando come la sentenza capitale – emessa il 13 maggio dal tribunale penale di Ombada, nello stato di Khartoum, che ha giudicato Intisar colpevole di “adulterio durante il matrimonio”, in violazione dell’articolo 146 del codice penale del 1991 – sia stata pronunciata “in violazione degli standard africani e internazionali”, presenti “numerose trasgressioni delle leggi interne e del diritto internazionale”, e altrettanto dicasi per una sua eventuale esecuzione.

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In quanto sposata la vittima, identificata come Intisar Sharif Abdallah, secondo il codice penale sudanese va lapidata, mentre se fosse stata nubile se la sarebbe cavata con un numero variabile di frustate. La vicenda, notano le due organizzazioni umanitarie non governative, in patria e” passata praticamente sotto silenzio ne” i mass media le hanno dato il benche” minimo risalto. Intisar, che ha tre figli – i più grandi sono stati affidati alla famiglia, l’ultimo di quattro mesi è in carcere con lei – e” stata riconosciuta colpevole sulla base della sua sola confessione, peraltro rilasciata dopo che un congiunto l”aveva picchiata selvaggiamente. Durante il processo, celebrato nel circondario della capitale Khartoum, non ha avuto alcuna assistenza legale ne” quella di un interprete, pur esprimendosi il giudice in arabo che non e” la sua lingua madre. I familiari hanno preannunciato ricorso.

Malgrado in sede di appello siano generalmente modificate, nel Paese africano le sentenze che condannano per adulterio o applicano la pena della lapidazione sono nella stragrande maggioranza dei casi emesse a carico di donne, e dunque risultano discriminatorie nella misura in cui l”applicazione delle norme pertinenti “appare sproporzionata e diseguale”, come pure lesiva dei divieti giuridici internazionali riguardanti la tortura e le punizioni crudeli e insolite. Per di piu”, sottolineano ancora Human Rights Watch e Amnesty International, al mondo rimangono soltanto sette Paesi, Sudan compreso, il cui ordinamento prevede ancora una pena anacronistica come la lapidazione. Nel 2009 fece scalpore il caso della giornalista e attivista Lubna Hussein, finita in cella per il semplice fatto di aver indossato “pantaloni indecenti” ed essersi rifiutata di pagare una multa. Fu rilasciata dopo 24 ore, ma altre donne arrestate insieme a lei in un ristorante furono invece frustate.

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Considerata la più antica e barbara modalità di esecuzione, non prescritta dal Corano ma dagli hadit della tradizione islamica, la lapidazione per adulterio è prevista in alcuni paesi ove vige la shari’a (la legge islamica) tra cui il Sudan, l’Iran e alcuni stati settentrionali della Nigeria. La procedura prevede che la persona condannata venga legata o sepolta fino alla vita (come ricostruito nella foto) o al collo e colpita numerose volte da pietre che, secondo la legge, non dovranno essere né troppo grandi da causare la morte immediata né troppo piccole da non avere alcun effetto. Spesso, la persona condannata rimane cosciente per quasi tutta la durata dell’esecuzione. Se riesce a liberarsi nel corso della lapidazione, o se comunque sopravvive, la sua vita verrà risparmiata. Nel 2011 non sono state ufficialmente registrate nel mondo esecuzioni di condanne a morte mediante lapidazione. In Sudan, quest’anno, già un’altra ragazza è stata salvata dalle pietre.’

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