Vendola, la violenza sulle donne è un fatto politico

In vista del 25 novembre, giornata contro la violenza sulle donne, ecco la prima di una serie di interviste ai nostri uomini politici. Cominciamo con Nichi Vendola. Di [Adriana Terzo]

Vendola, la violenza sulle donne è un fatto politico
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9 Novembre 2012 - 16.44


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LE INIZIATIVE DI GIULIA. Abbiamo deciso di inaugurare con l”intervista a Nichi Vendola, governatore della Puglia e candidato alle primarie del Pd, una serie di interventi sul femminicidio in vista del 25 novembre, giornata mondiale contro la violenza maschile sulle donne.

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di Adriana Terzo Gentile Vendola, lei è stato uno dei pochi politici ad aver sottolineato – lo ha fatto recentemente su Twitter in occasione dell”ennesimo femminicidio a Palermo – di come l”Italia non sia un paese per donne. Secondo lei, perché?

Sono ormai 101 dall’inizio dell’anno le donne uccise nel nostro Paese: un bilancio di sopraffazione insopportabile. Non è un paese per donne perché abbiamo una guerra in casa e non ce ne rendiamo conto. Anzi, una guerra nelle case: la quasi totalità dei femminicidi avvengono in famiglia, sconfiggere la cultura familistica di facciata ed il rapporto sesso-potere-violenza è la sfida vera di un Paese che deve avere il coraggio di cambiare.

Non solo donne uccise. Cӏ tutto un lungo capitolo che riguarda stupri, molestie sui luoghi di lavoro, violenze domestiche che si protraggono nel tempo e che fa pensare ad una Cultura ancora difficile da smantellare.

Una strage continua si somma all”altrettanto intollerabile elenco di stupri, molestie sui luoghi di lavoro, violenze domestiche. Certo, il problema è innanzitutto culturale e sociale, gli episodi di violenza nei confronti delle donne non devono essere trattati come fatti di cronaca nera riguardanti qualche mostro o, come spesso succede, un bravo ragazzo diventato dalla sera alla mattina carnefice. La violenza di genere ci appartiene in quanto uomini, appartiene a ciascuno di noi, non è un fatto domestico; è un fatto, oso dire, politico. Non esiste la possibilità del cambiamento se non si parte dalla voce della libertà delle donne e se non ci si accorge che la violenza, la brutalità nei confronti delle donne si annida nella grammatica e nella sintassi delle ordinarie relazioni tra maschile e femminile, nei costumi sessuali, nella loro gerarchizzazione. Nel senso comune.

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Secondo lei, quanto pesa, su questo, la responsabilità dei mezzi di informazione che propongono un modello di donna quasi esclusivamente corrispondente ad un canone di donna-oggetto, sessualmente disponibile e soprattutto non pensante?

Pesa moltissimo e credo ci vorrà del tempo per rimediare. Per 20 anni le donne sono spesso state trattate come carne da macello, corpi da mercimonio, protagoniste solo in un establishment da escort. Mi riferisco quindi non solo al modello comunicato come vincente della ragazza-velina e della ragazza-immagine, ma anche alle pratiche politiche che ne sono l’interfaccia: la politica del cerone (e del cerume), la politica del parlo meglio io, la politica dei dibattiti fra soli uomini e delle donne a fare da cornice.

Mentre dilaga un uso massivo del linguaggio stereotipato e sessista in cui le donne non trovano mai rappresentanza, sia che facciano le ministre o le operaie…

È vero, quel linguaggio esiste, attecchisce a destra come a sinistra. Credo che la rivoluzione debba partire dalla scuola e dalla formazione. Rivedere i libri di testo ed i programmi didattici inserendo un’ottica di genere è fondamentale.

C”è un”emergenza culturale da affrontare, dunque, un lavoro lungo i cui risultati si vedranno tra molti anni. Qui ed ora, invece, ha qualche idea su come le donne potrebbero essere riparate dal rischio della quotidiana violenza di genere?

Il nostro Paese – in seguito al bellissimo e articolato rapporto ombra sull’applicazione in Italia della Cedaw (la Convenzione per l’Eliminazione delle Discriminazioni contro le Donne), cui hanno collaborato decine e decine di donne, mani e cuori pensanti, in risposta ai silenzi del Governo di Berlusconi – è stato svergognato su un piano internazionale da importanti moniti: attuarle è doveroso. Per fermare il femminicidio in Italia sottoscrivo la Convenzione nazionale contro la violenza maschile sulle donne con l”appello No More femminicidio!

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Crede che comunque inasprire le pene contro gli [i]offender[/i] possa migliorare la situazione?

Credo fermamente che questo non risolva il problema, ma alcune importanti misure in diritto a tutela della vittima potrebbero essere attuate: corsie preferenziali per il risarcimento economico del danno, una soluzione alla difficoltà probatoria, divieto di affidamento condiviso in caso di violenza domestica fisica o economica e affidamento al genitore/alla genitrice nonviolento/a. Immagino inoltre importanti misure di tutela sociale: dal rafforzamento del ruolo dei centri antiviolenza a opportuni percorsi formativi per gli/le operatori/trici del settore, campagne di sensibilizzazione, revisione dei programmi didattici a tutti i livelli.

In Italia non esiste un Osservatorio che raccolga dati sul femminicidio. Ritiene necessario invece che si adottasse un sistema organico di raccolta, sistematizzazione e diffusione dei dati? Questo consentirebbe alle cittadine e ai cittadini di formarsi una corretta visione del fenomeno, e alle Istituzioni di mettere in moto meccanismi di indagine e di denuncia, con azioni di prevenzione e controllo.

Il conto delle morti sale. E le donne italiane lo tengono a mente molto bene, con nomi, cognomi, legami vittima-carnefice, con le date, coi pennarelli, con le loro manine di Fatima, coi loro lutti collettivi, con i post fb e twitter, con i blog. Il mainstream se ne occupa poco e da questo punto di vista una importante rete come la vostra potrebbe dare un supporto considerevole. Su un piano istituzionale, l’istituzione dell’Osservatorio sulla violenza di genere, previsto già nella Finanziaria del 2007, attende da un lustro la sua degna attuazione.

Contro un fenomeno così devastante come il femminicidio, come cittadino e come uomo, secondo lei cosa sarebbe utile fare?

Adoperarsi per un profondo e radicale mutamento delle relazioni uomo donna e del ruolo della donna in ogni ambito della quotidianità. Nella classifica mondiale sulle pari opportunità fra uomini e donne, secondo il rapporto del Forum economico mondiale, l’Italia occupa l”80esimo posto. Vanta ancora un indecente primato che ci ricorda bruscamente come la parità fra i generi in economia, l”accesso all”istruzione e alla politica, nonché le differenze in materia di salute e aspettativa di vita, rendano il nostro Paese lontano dall”essere un Paese civile. Nessuno si senta escluso nella missione di far smottare questa insostenibile arretratezza.

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E come politico? E” solo questione di risorse economiche o la cattiva Cultura sta anche dentro il Parlamento?

Come politico penserei ad una grande opera riformatrice della legislazione italiana in tutti gli ambiti, in un’ottica sessuata e di diritto diseguale, cioè accogliente nelle differenze di genere, e, magari, con i pochi strumenti di democrazia diretta che il nostro ordinamento conosce, l’iniziativa popolare. Le donne di Puglia, da questo punto di vista, sono state esemplari: trentamila firme raccolte, il doppio di quelle previste nella metà del tempo previsto, partendo da sé e senza mendicare niente a nessuno. Trentamila cittadine e cittadini reclamano una risposta e, insieme, una domanda di partecipazione. Nel rispetto delle prerogative consiliari regionali, mi sto seriamente impegnando anche con altri uomini di varie forze politiche per l’approvazione di questa importante riforma. Perché, a fronte della assoluta parità di genere nella composizione della Giunta, l’organo elettivo vede le donne fortemente sottorappresentate: attualmente solo tre donne su settanta consiglieri/e siedono nell’assise regionale pugliese. Ovviamente è un problema che riguarda anche la capacità di autoriforma della politica. Le donne, nelle istituzioni, sono o invisibili o considerate un addobbo. Da questo, il centrosinistra non è immune: occorre debellare il berlusconismo che è in noi e nelle nostre pratiche di relazioni. Tutte politiche.

Infine, lei è governatore della Puglia da diversi anni. Che tipi di intervento ha messo in atto nella sua regione contro il femminicidio?

La mia Giunta interviene con iniziative significative su questo fenomeno, in un quadro in cui il Piano nazionale contro la violenza sulle donne è assolutamente carente sul piano finanziario. Nonostante questo è attiva una rete di servizi e relazioni in grado di fornire assistenza, sostegno psicologico e la possibilità concreta di una nuova esistenza: è il percorso per la prevenzione e il contrasto della violenza su donne e minori varato dalla Regione Puglia per il triennio 2009-2012. Da Foggia a Lecce, con passione, dedizione e spesso nell’ombra, Centri antiviolenza e case rifugio provano a pulire quei panni che non possono essere più lavati in casa propria.

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