Buongiorno signor Ippoliti,
le scrivo per esprimerle il mio rammarico di fronte alla sua statua “Violata”, che trovo essere un manifesto alla sordità, al non ascolto.
Lei stesso ammette di essere stato ispirato da un suo pensiero, di essersi chiesto “Cosa farebbe mia moglie?” e di essersi dato una risposta, personale e risolutiva, senza interrogarsi oltre.
Ma la risposta è altrove.
Se avesse ascoltato una sola donna violata per davvero e non nella sua immaginazione, avrebbe trovato quella risposta.
Quella donna le avrebbe detto che dopo uno stupro non ci si alza con lo sguardo fiero, né tanto meno con la mano aperta verso la vita.
Quella donna le avrebbe detto che dopo uno stupro ci si sente umiliate, distrutte, con il corpo lacerato da farti male anche camminare, con lo sguardo abbassato perché non sai dove guardare.
La fierezza, la forza, la fiducia nella vita e nelle persone, ritornano, è vero, ma dopo.
Dopo un percorso difficile e faticoso per ricostruirsi un pezzetto alla volta, con l’aiuto di chi ti sa soprattutto ascoltare, appunto.
Credo però nelle sue buone intenzioni, non mi pare lei violento nei modi e negli intenti.
Si fidi della mortificazione che la sua statua ha suscitato in me come in tante donne, si fidi della rabbia che stiamo condividendo, anche con molti uomini, per un’opera che rafforza gli stereotipi peggiori anziché lottare per demolirli.
Si fidi di ciò che conta e che le può far dire con serenità che ha peccato di ingenuità e ha sbagliato, e chieda lei stesso di rimuovere la sua statua dalla sua città.
Che importa il tempo che vi ha dedicato se invece della materia ha scalfito gli animi?
Non va di moda l’umiltà, da un po’.
Ma io le chiedo di essere un uomo e un artista proprio in questo.
La invito a un atto di umiltà, semplice e rispettoso della vita, come forse voleva essere.