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Sono tanti i fattori scatenanti della crisi sociale in Brasile, che si nascondono dietro alla rivolta di questi giorni che sta assumendo aspetti sempre più drammatici. La Confederations Cup è in pieno svolgimento e nelle intenzioni degli organizzatori delle manifestazioni c”era naturalmente la volontà di sfruttare questo momento di speciale visibilità internazionale dando così forza alle questioni al centro delle contestazioni.
Non è la prima volta che accade in occasione della preparazione di un grande evento sportivo, ma certo mai aveva assunto la dimensione drammatica che in queste ore sta vivendola patria del calcio per eccellenza. Infatti, la scia di contestazioni o quantomeno di critica aperta alle caratteristiche degli impatti sociali dei grandi eventi sportivi ( e non solo) sono ormai all”ordine del giorno da qualche anno. Da un lato certamente dipende dall”attenzione e attivazione delle realtà della società civile che vuole mettere in luce le contraddizioni che questi eventi creano.
Accade per la sproporzione delle spese per la realizzazione delle megainfrastrutture che spesso hanno anche il brutto vizio di essere destinate al disuso. La cosa si fa sempre più stridente e insopportabile in particolare per le popolazioni più disagiate quando non diseredate. Soprattutto se il luogo dove ciò si materializza è un paese in via di sviluppo o emergente come nel caso dell”ultima edizione della Coppa del Mondo in Sud Africa e la prossima che appunto è in programma nel 2014 in Brasile. Come ricorda lo spot di Carla Dauden, giovane video maker brasiliana,che sta facendo il giro del mondo messo online ancora prima delle rivolte di queste ore, ciò che fa indignare l”opinione pubblica è il contrasto fra la campagna di promozione dei grandi eventi quali portatori naturali di benessere e la contestuale condizione di degrado in cui parte consistente della popolazione più povera continua a vivere in Brasile.
Ci si chiede perché una spesa così esorbitante per infrastrutture per il Calcio o altre discipline sportive quando sarebbe necessario investire sulla sanità pubblica per fare uscire dalla miseria tanti e tanti cittadini? È innegabile anche una parte di strumentalizzazione delle forze dell”opposizione brasiliana che trova pane per i suoi denti per attaccare il Governo del PT. Dopo decenni di regime che tutto aveva meno che l”interesse a fare uscire dalla povertà la gente, anzi, il governo di Lula e della attuale Presidente Dima Rousseff hanno lavorato per dare al Brasile un”opportunità di riscatto democratico e sociale, attraverso politiche sociali ed economiche volte a dare al paese regole e principi moderni di diritto e soprattutto lavoro, ma una parte importante della popolazione del Brasile ancora soffre della mancanza di servizi pubblici di base. La salute e la scuola, prima di tutto.
Per di più per sostenere le spese di adeguamento degli impianti per le Olimpiadi del 2016 e dei Mondiali di Calcio del 2014, o la costruzione di nuove strutture, sono stati decisi aumenti dei costi per il trasporto ed altri servizi pubblici che ricadono interamente sulla popolazione più povera. Il solito paradosso: per fare la fortuna di pochi che beneficeranno delle entrate derivanti dalle grandi manifestazioni sportive, si punta a fare cassa proprio in quei settori che sono sulle spalle dei meno abbienti. Non sono certo i benestanti brasiliani che prendono il bus per andare a lavorare… Gli effetti sociali collaterali dei grandi sportivi eventi messi in luce però dalle organizzazioni della società civile in vista dei Mondiali di Calcio del 2010 in Sud Africa come delle Olimpiadi di Londra, non riguardano solo la discutibile costruzione di infrastrutture spesso finalizzate ad ospitare gli eventi stessi e poi non più sfruttate a beneficio delle popolazioni locali. Sono infatti stati anche altri fattori di impatto sociale negativo ad essere denunciati e contrastati da movimenti e associazioni.
Tra queste la campagna promossa dalla UISP in occasione dei Mondiali di Calcio 2010, che aveva al centro la lotta a un fenomeno che tristemente accompagna i grandi eventi non solo sportivi: la tratta delle donne ed in particolare ragazze minori, quando non bambine, ai fini dello sfruttamento della prostituzione forzata. Un fenomeno criminale che insieme ad altri, si manifesta in occasione di questi eventi, sotto gli occhi di tutti e con una accettazione sconcertante di istituzioni e opinione pubblica. Già in occasione dei Mondiali di Germania del 2006 alcune associazioni hanno lanciato il sasso trovando eco nel Parlamento Europeo, per denunciare il traffico di giovani e ragazze dall”est europeo destinate allo sfruttamento sessuale per quella occasione. Nel 2010 La campagna della UISP e la sua ong Peace Games “Se la mia squadra vince, non festeggio con una schiava”, realizzata insieme alla sezione Mozambicana della WLSA (Women and Low in Southern Africa) e in collaborazione con l”a cooperativa Be free, aveva tutto meno che l”intenzione di promuovere una predica moralizzatrice, bensì voleva farsi carico di una questione sociale complessa in un contesto difficile come quello dei confini tra Sud Africa e Mozambico dove la tratta viene denunciata e combattuta da diversi attori della società civile in collaborazione con le istituzioni internazionali come l”OIM, nazionali e regionali combattere a viso aperto qualcosa di inaccettabile. Considerare questo fenomeno come qualcosa che “fa parte del gioco” e soprattutto se abbinata allo sport risulta ancora più insopportabile. Lo sport dovrebbe essere sinonimo di benessere e di giustizia per tutti in un mondo più giusto per uomini e donne.
In occasione dei Mondiali Sudafricani, la UISP e Peace Games hanno realizzato anche un progetto di solidarietà con l’associazione sudafricana Dreamfie lds promuovendo il calcio come strumento di inclusione sociale, fornendo un kit completo per giocare a calcio (mute, palloni, gesso per segnare il campo) a un centro di accoglienza della periferia di Johannesburg dove trovano ospitalità bambine e bambine di strada immigrati in Sud Africa provenienti dai diversi paesi del continente africano. In fine insieme al Centro Benny Nato è stata realizzata una mostra sul contributo italiano nella lotta contro l’Apartheid al Museo dell’Apartheid di Johannesburg e un’edizione rinnovata del Premio Nelson Mandela assegnato alla giornalista capoverdiana Maria de Lourdes per il suo impegno nella lotta al razzismo e a ogni forma di discriminazione.
Al di là del nobile impegno di realtà della società civile, resta però forte la domanda sulla responsabilità delle istituzioni governative e sportive come la FIFA e il CIO, che dovrebbero riuscire a dotarsi degli strumenti necessari per un monitoraggio etico e sociale, per condizionare positivamente questi eventi, al fine di garantire un vero effetto positivo di lungo termine sul benessere delle popolazioni ospitanti.
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