La ribellione delle personagge d'autore

"Lucia, Lolita e le altre" di Licia Conte, dà voce alle donne dei libri più famosi, che hanno molto di cui chieder conto ai loro autori. E ci raccontano le storie dal loro punto di vista. [Di Silvia Garambois]

La ribellione delle personagge d'autore
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Silvia Garambois Modifica articolo

14 Maggio 2020 - 00.55


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Divertente e delizioso. Ecco, sono questi i due termini che mi rimbalzano in testa e si accavallano, se devo dire di questo libro “Lucia, Lolita e le altre” di Licia Conte.

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È, ad antica maniera, un epistolario, ma a più mani.

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È, soprattutto, la ribellione delle personagge d’autore (nient’affatto un refuso! La Società delle Letterate da tempo ha rotto gli indugi: è la grammatica, bellezza!).

 

Contrariamente ai “personaggi in cerca di autore” di Pirandello, le nostre personagge un autore ce l’hanno e con il nome roboante, da Manzoni a Hugo. Ma comunque sono in cerca di identità. Loro – non necessariamente le eroine, non necessariamente le protagoniste – stanno scomode nei panni che son stati cuciti loro addosso, e ne chiedono conto. Chi con smodata umiltà, chi saccente, chi persino arrogantella.

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Insomma, partiamo da Lucia, la prima a cui hanno sciacquato i panni in Arno. Ma se la troviamo dirimpettaia in treno, di che parliamo? Del tempo, del virus di cui lei è sicuramente esperta? Ma quella abbassa gli occhi, non si sa se per timidezza o per mancanza di argomenti. Una donnetta. Il Manzoni lo dice e lo ripete.

Ma com’è che io, che pure di donne ne ho conosciute tante in una vita ormai lunghetta, una così non l’ho mai incrociata? Non è certo lo studio a dare il guizzo dell’intelligenza, e neppure la timidezza riesce a dare ombra.  Alla fin fine l’unica che è stata in grado di dare un’anima a questa personaggia è stata Anna Marchesini nella parodia dei “Promessi Sposi” del Trio Lopez-Marchesini-Solenghi…

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Ecco Lucia Mondella di questo, finalmente impugnata carta e penna, si lamenta col suo autore. Lei con la sua “modesta bellezza”, definizione di ambiguità assoluta ma che le procura un mucchio di guai, chiede ragione della sua nullità. E lo fa come se fosse un’appendice al libro, la stessa intonazione, la stessa modestia (stavolta siamo noi a usare il termine in modo ambiguo) della sua presenza nel romanzo. Però si ribella, finalmente. E chiede conto e spiegazioni e ragioni.

 

Pausa. Fermiamo la lettura. Il libro di Licia Conte non può essere letto “tutto d’un fiato”. Rimettiamolo sul comodino.

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Come quando si termina un libro che ci è piaciuto e continuiamo a pensarci, a questo o quel personaggio, a quell’intrico della storia, come se ci fosse un sequel possibile nella nostra fantasia. In questo caso, perché – certo! – anche noi avremmo voluto quella ribellione, quel chieder di conto, ed è puro divertimento intellettuale ritrovarlo finalmente sulla pagina scritta. E c’è da rivedere con la memoria la poveretta con il capo infilzato di spilloni, inseguita e perseguitata, e mai protagonista a sé medesima.

 

“Lucia, Lolita e le altre” è un “esercizio di stile” (l’avete presente il libro di Italo Calvino, di come la scrittura possa modificare radicalmente l’approccio ad una stessa storia?). Licia Conte si deve essere divertita, lo si vede, a indossare i panni delle sue personagge, e a ricercare i vezzi linguistici, e la cadenza, i birignao e la sfrontatezza che erano nascoste nelle pieghe dei romanzi. Così, da una lettera all’altra, cambia la mano che scrive… cambia lo stile.

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Poi chi arriva? Niente meno che la Principessa di Clèves e Madame de La Fayette! Qui si gioca di fioretto, “voi signora siete l’orgoglio del nostro sesso”, dice la personaggia all’autrice. Epperò… ma perché non ha mai avuto diritto a un nome, sempre “Principessa”, e poi – lanciando alta la palla – è vero che c’è stata un’influenza giansenista nel disegnare il suo carattere?

 

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Queste lettere all’autrice (e all’autore) sono anche una rilettura dei romanzi “dalla parte di lei”: il rimando alla trama, la sintesi dei libri, è fatto attraverso gli occhi di un personaggio del libro, che ne diventa così protagonista assoluto. È quel che accade a Agnes (Wickfield), una delle “figurine” di “David Copperfield”, che scrivendo al suo autore, Charles Dickens, si pone un mucchio di domande. A partire dal fatto che è un libro senza mamme, tutte morte. Tutte inette all’educazione, nella testa dello scrittore? “Devo dedurne che nella nostra patria e nel nostro secolo ci sia una grande moria di donne, soprattutto madri? Oppure, Sir, le considerate adatte a generarci, ma non a educarci? Per piacere, chiarite questo punto”. Insomma: Agnes mica le manda a dire!

C’è Cosetta di Victor Hugo: “E chi sono io al cospetto vostro? Ben poca cosa. E infatti, mi avete chiamato Cosette. Il nome anagrafico è, in verità, Euphrasie, ma chiedete pure in giro, Monsieur: nessuno lo ricorda e voi stesso lo ricordate ben di rado.

C’è Nora di Henrick Ibsen. E il suo carattere non lo molla. Leggete qui: “Ah, quella scena finale, quella in cui a Torvald che mi richiama al mio ruolo di sposa e madre io rispondo: «Non lo credo più. Credo di essere prima di tutto una creatura umana, come te… o meglio, voglio tentare di divenirlo. So che il mondo darà ragione a te… ma quel che dice il mondo… non può più essermi di norma. Debbo riflettere con il mio cervello per rendermi chiaramente conto di tutte le cose»: quella scena, Signore, le è costata?”. Insomma, Nora vuole sapere di quel finale “scandaloso” per l’epoca, e non ha indugi: “Ha per caso riprovato la mia scelta?”. E lo dica, finalmente!

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 C’è anche Amy di “Piccole donne”, bella ma col naso a palla, lei di sassolini nelle scarpe ne ha parecchi… La meno amata, viziata e capricciosa, ma…. “miss Alcoot, non avete riposto in me qualche vostro segreto desiderio?”.

E invece Mary, la bruttina di “Orgoglio e pregiudizio”, noiosa e saccente, che avrà da rivendicare a Jane Austen? E “la Pisana” delle “Confessioni di un italiano” a Ippolito Nievo? No, in realtà la sua rivendicazione è enorme: “Perché la scoperta del mare la fa Carlino e non io?”. E lo dice subito, sono le prime parole che rivolge al suo autore, quelle che le premono in petto.

Ancora tante donne, ancora tanti autori, da Moravia a De Amicis, da Thomas Mann a Henry James.  Insomma, è quasi “una favola a sera”, per ritrovare memoria di romanzi e storie che hanno segnato la nostra vita di lettrici (e di lettori) e per stuzzicare la curiosità su come possono continuare a vivere autonomamente, nella nostra fantasia, le tante figure femminili di quelle storie. Libere e ribelli. Persino Lucia!

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“Lucia, Lolita e le altre. Lettere immaginarie”
di Licia Conte
Editore Elliot (euro 14,50)

 

 

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