Cara Leosini, "femminicidio" è una parola che crea scandalo

Un "brutto termine"? Dare un nome all'assassinio delle donne "perché donne" è servito a cominciare a costruire la cultura della libertà contro la violenza degli uomini sulle donne. [Di Roberta Lisi]

Cara Leosini, "femminicidio" è una parola che crea scandalo
Preroll AMP

Roberta Lisi Modifica articolo

9 Giugno 2020 - 17.52


ATF AMP

In principio era il verbo, e il verbo era presso Dio, e il verbo era Dio. Al di là del credo religioso, l’incipit del Vangelo di Giovanni sottolinea significativamente il valore della “parola”.
La parola definisce la cosa, da significato, la parola è potente e detenere la parola è potere. La parola costruisce senso comune e cultura. E l’estetica della parola spesso passa in secondo piano rispetto appunto al senso, al significato, alla costruzione di cultura che la parola si porta dietro.

Top Right AMP

Forse femminicidio non è una bella parola, certamente non piace alla collega Franca Leosini, ma è altrettanto certamente una parola da difendere e utilizzare ogni volta che un uomo uccide una donna per affermare il proprio possesso sul suo corpo e su di lei. Perché questo è il punto. Femminicidio non è l’assassinio di una donna per regolamento di conti, per rapina, per vendetta mafiosa. Femminicidio è una fattispecie di reato precisa che prima di valore giuridico ha appunto valore sociale e culturale.

Le donne hanno faticato molto, e tra queste in prima linea alcune giornaliste, affinchè quel termine si affermasse e desse senso agli oltre 100 assassini di donne l’anno, affinchè proprio grazie a quella parola si cominciasse a costruire la cultura della libertà contro la violenza degli uomini sulle donne.  Ed è proprio per questa ragione che quella parola dà fastidio, crea “scandalo” o dovrebbe farlo, perché appunto definisce e descrive il modo malato con cui gli uomini si relazionano con le donne.

Dynamic 1 AMP

Potere, predominio, subordinazione e sopraffazione sono le parole legate a femminicidio, sono quelle che descrivono le ragioni che portano a quello specifico assassinio. Tutte insieme chiamano o dovrebbero chiamare in causa i maschi. Probabilmente non siamo riuscite a istillare negli uomini il tarlo del dubbio, la volontà di interrogarsi e mettersi in gioco per modificare la relazione improntata sul potere.

Ma quella parola ha certamente contribuito a svelare a molte donne la natura della relazione con il proprio uomo che fosse marito, compagno, padre o fratello. Ha contribuito alla costruzione di un senso comune e speriamo di una cultura. Non ha contribuito alla diminuzione della violenza sulle donne dei femminicidi. Ad affermarlo è un uomo, il procuratore generale di Cassazione Giovanni Salvi che in apertura dell’anno giudiziario ha detto: “Nel contesto positivo del calo degli omicidi con uomini come vittime – 297 nel 2019, dato inferiore a quelli che si registrano in media negli altri Paesi Ue – è ancora più drammatico il fatto che permangono pressoché stabili, pur in diminuzione, i cosiddetti femminicidi”. Secondo Salvi questi specifici reati sono “emergenza nazionale”. Eccolo il potere delle parole, il magistrato avendo a disposizione un termine per definire una cosa riconosce il fenomeno, lo distingue dagli assassini e ne afferma la rilevanza. Se quella parola non fosse esistita quel riconoscimento sarebbe stato possibile?

Ma vi è anche un’altra riflessione, o meglio un interrogativo, che l’affermazione sconcertante della Leosini mi suscita. Perché una donna professionalmente affermata definisce in maniera così sprezzante una parola cosi faticosamente affermata dalle donne? E ancora perché conduce una trasmissione intervistando il colpevole di femminicidio descrivendo le donne come angeli del focolare? Insomma se è vero, come io credo sia, che le parole sono potenti definire brutto il termine femminicidio e utilizzare, invece, parole che ricacciano in ruoli stereotipati le donne, mi induce il sospetto che il tema che andrebbe messo all’ordine del giorno è quello del rapporto delle donne con il potere.

Dynamic 1 AMP

Noi donne giornaliste abbiamo una responsabilità, grande, le parole sono lo strumento del nostro mestiere, dobbiamo avere forte la consapevolezza della potenza delle parole e usarle con misura e consapevolezza. Almeno io questa responsabilità, e anche questo privilegio, me la sento tutta sulle spalle.

FloorAD AMP
Exit mobile version