Donne esperte nei board e nelle delegazioni, Arabia Saudita batte Italia

E' diventata virale sui social una foto pubblicata dal profilo twitter di Cassa depositi e prestiti il 31 maggio che immortala un incontro a Roma tra una delegazione saudita con la delegazione italiana. Dove sono le donne? Nella delegazione saudita

Donne esperte nei board e nelle delegazioni, Arabia Saudita batte Italia
Dal profilo twitter di Cdp
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Eleonora de Nardis Modifica articolo

5 Giugno 2024 - 18.45


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Chissà cosa avranno pensato le quattro eleganti rappresentanti in chador della delegazione del  Ministero dell’Economia del Regno di Arabia Saudita che alcuni giorni fa hanno incontrato la delegazione della nostra Cassa Depositi e Prestiti e si sono trovate davanti una dozzina di uomini incravattati e per niente a disagio a essere, per loro privilegio di genere, esclusivi rappresentanti di una società per azioni a controllo pubblico il cui azionista di maggioranza è il Ministero dell’Economia e delle Finanze della nostra Repubblica. Per gli italiani nulla di strano, siamo abituati a mostrare con disinvoltura il nostro livello di arretratezza culturale, ma le professioniste arabe avranno avuto un bel po’ da pensare, dietro ai loro volti seri e professionali.

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L’episodio rimanda la memoria a un’altra foto che fece discutere qualche settimana fa il mondo scientifico italiano: non una sola donna fra i 10 membri insediatisi nel nuovo Consiglio di amministrazione dell’Agenzia italiana del Farmaco, tanto che il mondo accademico e delle aziende farmaceutiche si chiese se non ci fosse una donna all’altezza di entrare nell’organismo che regola la sperimentazione e la messa in commercio dei nuovi farmaci nel nostro Paese, ne decide i prezzi, ne segue il ciclo di vita e ne controlla sicurezza e appropriatezza.
Ed è di qualche giorno fa una sollevazione di una vasta rete di associazioni di donne contro la scelta della Regione Lombardia di istituire il Comitato Tecnico-Scientifico per la Trasformazione Digitale monogenere, naturalmente maschile.


Purtroppo, secondo una recente indagine sul potere in Italia, ai vertici siedono (quasi) sempre uomini, anche se le donne sono più istruite. Questa la sconfortante fotografia che emerge dal rapporto “Sesso è potere 2023” che analizza la rappresentanza femminile nei campi del potere politico, economico, dei media e del mondo accademico in Italia. Condotta dalle associazioni no profit dedicate alla trasparenza dei dati in rete e temi di giustizia sociale info.nodes e onData, l’indagine incrocia i dati condivisi da enti governativi e territoriali con ricerche aggiuntive per rappresentare le diverse opportunità di accesso ai ruoli di comando per gli uomini e le donne.

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Il risultato è trasversale per ogni settore analizzato: sono gli uomini a ricoprire posizioni di potere. Questo nonostante in Italia le donne siano in maggioranza (51,3% contro il 48,7% di uomini) e risultino più istruite degli uomini, con il 65,3% delle cittadine che ha almeno un diploma contro il 60,1% tra gli uomini e le laureate che arrivano al 23,1%, contro il 16,8% tra gli uomini. A poco vale che il Paese sia guidato per la prima volta da una presidente del Consiglio donna, da poco inclusa nella lista di Politico sulle persone più influenti del mondo per il 2024, fronteggiata in Parlamento dalla prima leader donna del Partito Democratico. Come evidenziato dal report, si tratta di un’eccezione in un quadro politico ancora desolante, in cui le donne sono ancora quasi del tutto assenti dal governo del territorio. 

 Un quadro similarmente sconsolante si può osservare in campo economico, dove nelle prime 50 aziende per capitalizzazione quotate alla Borsa di Milano ci sono solo due donne amministratrici delegate. «Impresa è un sostantivo maschile», recita il report, sottolineando come anche nei ruoli dirigenziali l’assenza delle donne risulti evidente. Le manager sono appena il 27% del totale dei dirigenti, un valore che colloca l’Italia nella parte bassa della classifica dell’Unione europea e ampiamente al di sotto del valore medio, pari al 33,9%.


Altro settore che desta particolare preoccupazione, come quasi ogni giorno denuncia l’associazione Gi.U.Li.A , è rappresentato dal mondo dell’informazione: nei quotidiani, su 20 testate prese in esame dal rapporto solo 2 hanno a capo una donna: Agnese Pini al Qn e Stefania Aloia (da ottobre) al Secolo XIX. Nei telegiornali nazionali, invece, in tutti i 10 casi analizzati il direttore è un uomo. Secondo l’analisi, nel mondo dei media non solo le posizioni apicali sono nella quasi totalità affidate a uomini ma. quando le donne sono presenti in redazione, sono comunque soggette a discriminazioni  e abusi sistematici, con l’85% delle giornaliste che in un’indagine della Federazione Nazionale Stampa Italiana dichiaravano di avere subito molestie sessuali almeno una volta nel corso della loro vita professionale. .

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Il sesso è potere? A quanto pare, in Italia, ancora si. Proprio pochi giorni fa, il 22 maggio, è stato l’anniversario dell’approvazione della legge 194, che regola l’interruzione volontaria di gravidanza, tutelando la libertà riproduttiva. Non è perfetta, anzi. È una legge di 46 anni fa, che avrebbe bisogno di essere potenziata e aggiornata rispetto ai numerosi cambiamenti che, da allora, hanno investito l’intera società. E in televisione, sulla rete ammiraglia del servizio pubblico, Bruno Vespa invita a parlarne cinque uomini.

Siamo un Paese che, sui diritti, fa sempre molta fatica. Secondo la World Values Survey, per esempio, in Italia il 54% delle persone ritiene che una madre che lavora danneggi i propri figli. Senza contare che, secondo la Rainbow Map, che rappresenta graficamente i paesi per uguaglianza e tutela delle persone LGBTQIA+ , uscita pochi giorni fa, in un solo anno il nostro Paese ha perso altre due posizioni in graduatoria, arrivando 36esimo su 49 paesi analizzati. La famigerata Ungheria di Orban si trova in 30esima posizione, per dare un’idea della gravità della situazione in cui versiamo. A portare così in basso l’Italia, si legge nel Report, è tra l’altro l’assenza di una legislazione specifica che punisca i crimini d’odio legati all’identità di genere.

Insomma siamo il paese delle donne rappresentate sui media come perenni seduttrici, il paese degli efferati femminicidi, il paese dei manel in tv e degli studenti del primo liceo classico capitolino che appendono in classe la lista delle ragazze con cui hanno avuti rapporti, un Paese che non investe nei diritti e nel riconoscimento reciproco, a partire dal linguaggio.  Ma non sarà certo un incantesimo a portarci nel futuro senza una rivoluzione culturale che capovolga paradigmi patriarcali e riconosca al 50 per cento della popolazione quella femminile, un adeguato e meritato posto di comando, laddove il lemma potere va inteso come lo concepiscono da sempre le battaglie femministe: come verbo, non come sostantivo.  

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