«Se una ragazza vuole la sera andare sola per strada, non lo può fare, non è corretto, che non sia accompagnata». Edoardo Bennato, Una Ragazza. Eccola qui, la mia prima parola femminista: avrò avuto meno di 10 anni e ascoltavo e riascoltavo il vinile di È arrivato un bastimento nel vecchio giradischi di mio fratello. A volte mi commuovevo, più spesso mi sentivo battagliera: quelle parole mi entravano dentro, anzi erano già dentro di me e mi hanno guidata per tutta la vita. O, meglio, da quando ho raggiunto la maggiore età e la mia famiglia non mi poteva più impedire di uscire da sola, o con le amiche, senza essere accompagnata da un ragazzo (meglio se un fidanzato).
A quella me bambina ho ripensato leggendo il bellissimo saggio La parola femminista di Vanessa Roghi (Mondadori, 2024, 263 pagine, 19 euro). “Una storia personale e politica” è il sottotitolo dell’ultimo libro della storica e documentarista Rai che, scrive, ha scelto «di ripercorrere una storia che avevo già raccontato alla luce di mio padre provando a farlo dalla parte di mia madre». Un saggio scritto in chiave di storiografia femminista – partire dal sé per raccontare il noi – in cui, come già fatto nel commovente Piccola città, una storia comune di eroina (la storia dal punto di vista del padre di cui sopra), Roghi attinge alla sua vita privata per raccontare il contesto generale. E lo fa mettendosi a nudo, a tratti in maniera brutale, nell’anima e nel corpo: perché è dal corpo delle donne che parte la rivoluzione femminista.
Quella parola femminista Roghi non la cerca soltanto dentro di sé o nella storia dei movimenti che ripercorre capitolo dopo capitolo, parte a campione, con un sondaggio: dove hai sentito per la prima volta la parola femminismo?
E, poi, prosegue nella sua ricerca personale e politica passando anche per la cultura pop (da Candy Candy a Cindy Lauper) che diventa chiave di lettura anche (e soprattutto) dell’ondata di blacklash che negli Anni Novanta sembrava aver affossato e la parola e la pratica del femminismo.
«Il Manifesto di rivolta femminile (Lonzi, Accardi, Benotti 1970, ndr) dovrebbe apparire obsoleto, è stato scritto 50 anni fa – ragiona Roghi -. E invece non è così (…) sembra, per tanti versi, scritto oggi, sembra parlare della nostra contemporaneità, indica, insomma, i confini del patriarcato entro cui ancora continuiamo a muoverci ma anche la necessità di una alternativa che sia radicale e non un aggiustamento di quello che già esiste. Una nuova rivoluzione copernicana di matrice femminista».
«Se non è per tutte non è femminista» è il motto che si ripete Roghi nella narrazione della sua “storia personale e politica” della parola femminista. Un viaggio che ripercorre le tappe del femminismo italiano: dalle battaglie politiche per il divorzio e l’aborto, a quelle culturali (ancora Lonzi: Sputare su Hegel). E poi l’ondata di riflusso (blacklash) degli anni Novanta, per arrivare fino ai giorni nostri, al movimento #metoo, alle battaglie di Non una di meno.
Tante le citazioni delle autrici fondamentali (ad esempio bell hooks ma anche Vera Gheno) utili per chi si affaccia per la prima volta alla storia del femminismo: per tutte e tutti gli altri, la scrittura della Roghi ti prende e ti porta via, ti commuove, ti fa arrabbiare, scava in profondità e poi ti riporta a galla mettendo a fuoco la realtà della parola femminista oggi.
Il libro non ha avuto l’accoglienza che meriterebbe nella stampa mainstream. «I femminismi sono tanti, siamo in momento di critica agli studi di genere, di correnti di femmminismo esclusivista biologico, si tende a liquidare le questioni linguistiche come sciocchezze» , scrolla le spalle Roghi. La quale, intanto, nella sua produzione incessante, ha da poco pubblicato su Raiplay Sound, un podcast La rivoluzione alla radio: microfoni femministi dagli anni Settanta, assolutamente da non perdere.
La parola femminista. Una storia personale e politica di Vanessa Roghi, Mondadori, 263 pagine, 19 euro.