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La storia della lotta di ventinove operaie di una fabbrica di Latina, raccontate da Massimo Ferrari: il film vince il Workers Unite Film Festival, New York. Di [Cristiana Pumpo]

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24 Maggio 2013 - 12.56


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È la storia della lotta di un gruppo di ventinove operaie di una fabbrica di Latina ad aver convinto la giuria e il pubblico del Workers Unite Film Festival di New York ad assegnare il primo premio al documentario Women Worker’s War di Massimo Ferrari. Una storia che parla della crisi del lavoro ma anche di coraggio, resistenza e speranza. Di chi immagina un futuro diverso e riesce a costruirlo davvero.

Il documentario racconta la più lunga occupazione femminile nella storia italiana: quella dello stabilimento tessile Tacconi Sud di Latina. Un presidio durato 550 giorni e altrettante notti, trascorse dalle operaie nel silenzio irreale di uno stabilimento vuoto che i proprietari decidono improvvisamente di chiudere. E così, un giorno, dopo venti anni di lavoro in fabbrica, alle ventinove operaie viene recapitata una lettera di licenziamento. Senza alcun preavviso. È la vigilia di Natale del 2010. Poche righe per cancellare tutto. Ma da quel momento, da quella lettera funesta, inizia un”altra storia, quella di una lunga resistenza civile tutta femminile.

Lei, Rosa Giancola, si mette alla testa delle sue colleghe in questa disperata battaglia per la loro sopravvivenza. Rosa cerca di condurre una nave ormai alla deriva in un porto sicuro. Giorno dopo giorno consegna alle pagine di Facebook riflessioni, paure, angosce di chi sta lottando contro qualcosa di straordinariamente grande. Un diario che diventa, inconsapevolmente, una voce pubblica sulla crisi, un’analisi lucida su quanto accade in Italia mentre qualcuno, dai tg nazionali, continuava a ripetere che i ristoranti erano pieni e che la crisi non la avvertiva nessuno.

Ecco cosa scrive Rosa il 20 gennaio del 2011: «Mi chiamo Rosa Giancola, sono un operaia della Tacconi Sud. Questa è la seconda notte di presidio all’interno della fabbrica. La prima è passata in bianco con lo sguardo sempre verso il cancello per paura di uno sgombero con la forza. Insieme a me le colleghe, qualcuna parla con il figlio più piccolo, e solo come una mamma sa fare spiega a quest’ultimo, perché “la mamma non dorme a casa stanotte”. Si salutano dandosi il bacio della buonanotte per telefono. Non avevamo mai ascoltato la nostra fabbrica di notte; un silenzio irreale avvolge il luogo dove ogni giorno per vent’anni abbiamo lavorato e condiviso le nostre vite. Siamo qui nella speranza che questo gesto pieghi l’incuranza e la strafottenza del nostro datore di lavoro ai suoi doveri di persona per bene. Siamo qui nella speranza di non essere dimenticate. Riflessioni notturne le mie, mentre penso se riusciremo a resistere, se e per quanto tempo non sarà stato inutile tutto questo».
Accanto alla figura di Rosa Giancola c’è quella di un’altra donna, Margherita Dogliani, titolare della Dogliani di Carrara, “la fabbrica che sforna dolci e produce pensiero”, grazie alla decisione di dare alla sua azienda un’impronta diversa. Margherita non vuole che la logica del profitto imperi sulla sua attività. Per questo ha aperto le porte alla cultura e ha dialogato con le sue operaie. Anche lei naviga su Facebook ed è lì che legge per caso i diari di Rosa. Le due donne si incontrano. Ognuna visita l’azienda dell’altra, confrontando due esperienze di lavoro tanto diverse e scambiandosi riflessioni e sensazioni.

Oggi Rosa Giancola è consigliera della Regione Lazio. Un’altra vita, senza dimenticare quella precedente. «Senza saperlo abbiamo scritto una pagina di storia italiana – commenta l’ex operaia della Tacconi Sud – raccontando il lavoro da un punto di vista differente, che andava oltre gli stereotipi della lotta. Non sarà sfuggito al pubblico di New York che mentre le tv erano intente a raccontare il “Ruby gate”, in Italia gli operai salivano sui tetti, occupavano le fabbriche, protestavano. Nel documentario di Massimo Ferrari c’è un passaggio storico che inconsapevolmente registravamo con una sonda dall’interno della nostra fabbrica: la chiusura dell’ultima azienda manifatturiera del Lazio che occupava donne. Solo a posteriori abbiamo assegnato un significato a tutto questo, accorgendoci che registravamo i segnali di un fenomeno che oggi è sotto gli occhi di tutti».

In Italia Women Worker’s War – scritto da Massimo Ferrari, Gaia Capurso e Maurizio Di Loreti – uscirà con il titolo di Atlantis e si appresta a conquistare altre vette. Alla sua realizzazione ha contribuito il Centro Studi Angelo Tomassini di Latina.

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