Onu: stop alle mutilazioni dei genitali femminili | Giulia
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Onu: stop alle mutilazioni dei genitali femminili

'Intervista a Osotimehin Babatunde, direttore Unpfa e vicesegretario generale delle Nazioni Unite: l''obiettivo è eliminare le Mgf in una generazione. Di [Chiara Luti]
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Onu: stop alle mutilazioni dei genitali femminili
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18 Ottobre 2013 - 17.11


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Dalla costa atlantica al Corno d’Africa, dall’Egitto affacciato sul Mediterraneo fino alla Tanzania bagnata dall’Oceano Indiano: la mutilazione genitale femminile è un fenomeno che non conosce confini e che anzi li attraversa, perché segue leggi ataviche e non scritte che trovano la propria fondazione e la propria trasmissione sul corpo delle donne.

Si tratta di una pratica tribale che presenta diverse varianti – dalla “sunna” (che comprende una ampia casistica di manipolazioni genitali) all’escissione della clitoride, fino alla più cruenta infibulazione –, inscritta in un ordine simbolico radicato, funzionale al complesso sistema economico e sociale di strategie matrimoniali in moltissime comunità africane e mediorientali, e che ha già segnato il corpo e la vita di 125 milioni di donne: altri 30 milioni di ragazze sono a rischio di mutilazioni genitali nei prossimi dieci anni.

Dal 2008 l’Unfpa – il Fondo delle Nazioni Unite per la Popolazione – e l’Unicef hanno avviato un Programma Comune per l’abbandono delle mutilazioni genitali femminili (MGF), con l’obiettivo di sensibilizzare comunità e gruppi locali in 15 paesi africani, tra cui l’Egitto, l’Eritrea, l’Etiopia, la Somalia, il Mali, il Kenya, per sollecitare la consapevolezza tra le donne sui rischi per la salute connessi alle pratiche di cutting, e per indurli ad adottare cerimonie e “riti di passaggio” alternativi.

Un processo, quello avviato da Unfpa e Unicef, che ha portato nel 2012 ad una risoluzione dell’Onu per la messa al bando universale delle mutilazioni genitali femminili, riconosciute esplicitamente come una violazione dei diritti umani; un documento non fine a se stesso, ma che impegna direttamente i paesi aderenti a «proteggere donne e bambine da queste forme di violenza e porre fine all’impunità».

Ma come lavorano concretamente le agenzie Onu per facilitare e rafforzare questo processo di “presa di coscienza” da parte delle comunità che praticano la MGF?

Lo abbiamo chiesto a Babatunde Osotimehin, direttore esecutivo di Unfpa e vicesegretario generale delle Nazioni Unite, che sarà presente a Roma il 22 ottobre prossimo alla conferenza internazionale su questo tema. «L”obiettivo di Unfpa e Unicef è quello di promuovere un”azione coordinata tra i paesi in cui la pratica della mutilazione o cutting è predominante, ma anche adottando una prospettiva più vasta, regionale», dice Osotimehin.

«Stiamo fornendo ai 15 paesi coinvolti nel Programma Comune fondi e assistenza tecnica per sostenere lo sviluppo e l”attuazione di strategie valide a livello di politiche, servizi e comunità, rafforzando gli sforzi dei partner nazionali e di sviluppo, e delle organizzazioni della società civile, per accelerare l”abbandono della mutilazione genitale femminile. Inoltre sosteniamo su questo tema il lavoro delle organizzazioni religiose».

In che modo le donne sono coinvolte nella sensibilizzazione sui rischi per la salute cui espongono le mutilazioni genitali femminili, e qual è il loro ruolo nel sostenere l’obiettivo della “tolleranza zero”?

«Il cambiamento non può essere imposto dall”esterno: la decisione finale di mettere fine a questa pratica resta nelle mani delle donne, che insieme agli uomini e ai leader delle comunità locali hanno la possibilità di praticare e sostenere il cambiamento. È per questo che il movimento per l’eliminazione delle MGF inizia a livello di comunità, e in questo senso l’empowerment delle donne è fondamentale».

Secondo Osotimehin, «nella maggior parte delle comunità, la grande maggioranza delle ragazze e delle donne non vede alcun beneficio derivante da questa pratica, e pensa che dovrebbe essere eliminata. Molte di loro sono diventate sostenitrici attive, impegnate nel risvegliare la consapevolezza sui rischi per la salute, il benessere e i diritti umani delle donne e delle bambine. Nei paesi sostenuti dal programma, le donne sono impegnate in prima persona in attività educative, nel coinvolgere la comunità a discutere apertamente sulle mutilazioni. Queste donne si sono esposte, hanno preso posizione pubblicamente, hanno evidenziato l”erosione del consenso sociale attorno alle MGF».

In molte comunità sono stati introdotti alcuni “riti di passaggio alternativi” verso l”età adulta. In che consiste questa ritualità che “sostituisce” le mutilazioni genitali? I riti di passaggio mantengono un rapporto con la cultura tradizionale, o rappresentano in realtà una rottura culturale?

«Di solito, la mutilazione genitale viene eseguita come un rito di passaggio che segna la transizione di una ragazza all”età adulta, ed è spesso accompagnata da una festa con danze, cibo e bevande. Le celebrazioni di riti di passaggio alternativi non rappresentano una rottura con la tradizione, ma sono semplicemente cerimonie per festeggiare il raggiungimento dell’età adulta che conservano gli aspetti socio-culturali positivi del rituale, senza la brutalità e la costrizione della mutilazione genitale.

In alcune comunità di paesi come Kenya, Gambia, Tanzania e Uganda, le cerimonie alternative sono state ben accolte. I riti alternativi sono accompagnati da un processo di educazione partecipativa che coinvolge l”intera comunità. Alle ragazze viene proposta un”ampia gamma di argomenti formativi che riguardano l”età adulta. Tra questi, i valori positivi della cultura locale e le competenze personali, la capacità di comunicazione, la consapevolezza di sé, i rapporti familiari, la sessualità, l”adolescenza, le infezioni a trasmissione sessuale, la violenza di genere, i diritti umani e le violazioni di tali diritti, come le mutilazioni genitali. Le ragazze diventano così mentori e modelli di riferimento per i loro coetanei.

Nel 2012, per esempio, circa 400 ragazze del Kenya hanno compiuto un rito di passaggio alternativo sotto la guida dell’Unfpa. La comunità ha fornito cibo per una settimana, durante la quale le ragazze – in “isolamento” – hanno discusso ed appreso l’interazione positiva con i ragazzi, l”importanza di investire nella formazione per un futuro di successo; hanno riflettuto sulle proprie competenze, le conseguenze negative della MGF e del matrimonio precoce. In una chiesa locale, insieme a genitori e parenti, hanno poi ricevuto “attestati” di riconoscimento per l”impegno nel rifiutare la mutilazione. Le ragazze che hanno “attraversato” questi riti alternativi continuano a svolgere un ruolo importante nelle loro comunità come sostenitrici attive, e guidano la battaglia contro le mutilazioni genitali».

Come possono contribuire l”Europa e l”Italia a raggiungere l”obiettivo dell”eliminazione delle mutilazioni “nell”arco di una generazione”, come lei chiede? Quali sono le azioni da intraprendere nel contesto delle politiche di integrazione?

«L”Italia e altri paesi europei giocano un ruolo fondamentale: sono attivamente impegnati nei programmi del Gruppo di Lavoro globale sull’escissione e le mutilazioni genitali femminili. Questi paesi hanno sostenuto il programma con 36 milioni dollari nel corso degli ultimi cinque anni. Inoltre l’Europa svolge un ruolo importante nel rafforzare la legislazione contro le mutilazioni genitali femminili e nel sostenere il funzionamento dei parlamenti in Africa, attraverso l”Associazione dei parlamentari europei per l”Africa (AWEPA), uno dei principali partner del programma Unfpa-Unicef».

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