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Scuola divisa tra bulli e pupe

Cresce il bullismo tra i ragazzi, spesso accompagnato a sessismo e omofobia. Ne è vittima uno studente su dieci. Di [Graziella Priulla]

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17 Novembre 2013 - 17.43


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Sto girando molto per le scuole della provincia di Catania, dove tengo corsi di genere: ho parlato con decine e decine di insegnanti, ho incontrato migliaia di studentesse e di studenti.

Tutte le persone che incontro mi segnalano con grande preoccupazione la crescita esponenziale del tasso di violenza tra ragazzini e ragazzine, soprattutto nelle medie, ma non solo. Una violenza sessista e omofobica soprattutto; in complesso un clima di tensione, un’assenza di serenità, un’incapacità di rapporti distesi e paritari.

Nelle scuole si respira sfiducia. Le docenti si sentono impreparate sia a reagire sia a prevenire, sanno di esser lasciate sole e in gran parte fanno finta di niente. Molti dirigenti scolastici temono, parlandone, di danneggiare il buon nome dell”istituto. I genitori minimizzano, spesso spalleggiano i figli violenti.
L’opinione pubblica si occupa d’altro. I giornali e le tv ne parlano pochissimo, e lo fanno solo in conseguenza di fatti estremi.

Sono problemi che nella loro cupa “normalità” rimangono nascosti, continuando a produrre vittime che hanno nel silenzio un’arma di impotente difesa. E’ proprio il silenzio a rendere possibile il perpetuarsi del problema. Si pratica il bullismo per ignoranza, collusione, complicità; il grande coro della comunità osserva ciò che succede e non interviene. Circa l’85% degli episodi – e sembra che ne sia vittima uno/una studente su dieci – avviene in presenza o addirittura con l’appoggio del gruppo dei pari. La metà degli/delle adolescenti testimoni, a scuola come online, dichiara di non essere intervenuto a favore della vittima per paura delle conseguenze.

Non ci sono le parole di chi subisce, arrendendosi a quel facile potere che diventa vessazione. Non ci sono le parole del persecutore, che utilizza la violenza verbale e fisica perché non sa dire in altro modo la sua vulnerabilità, che è spesso il risultato di una storia di vita con poche risorse educative ed emotive. Non ci sono nemmeno le parole degli adulti, di coloro cioè che dovrebbero presidiare il campo della crescita e dell’educazione osservando, promuovendo, regolando.

Che se ne parli nei nostri incontri, è già molto.

Sono – ovviamente – la famiglia e la scuola a doversi attivare. Ad attrezzarsi per leggere anche i primi segnali. A prevenire, oltre che intervenire.

E’ bastato un post su Facebook, sabato mattina, e in poche ore ho ricevuto moltissime segnalazioni. Mi dicono che la situazione è la stessa in molte parti d’Italia.

[right]Condivido anch”io la preoccupazione espressa da Graziella. Con il circolo romano di cui faccio parte realizziamo spesso nelle scuole iniziative volte a coinvolgere i ragazzi. La percezione diffusa è che i giovani uomini, anche in situazioni scolastiche e ambientali non di degrado, abbiano ben radicata la convinzione che le donne sono “inferiori” e che le giovani donne, per evocando o reclamando la propria libertà (ma cosa significhi per loro il concetto è complesso dirlo) non siano sempre così distanti da quest’ idea. Naturalmente se si comincia con una discriminazione di genere, si va più facilmente avanti con le altre.[/right]

[left]Non solo mia figlia viene giornalmente derisa ed è vittima di atti di bullismo, ma nonostante le nostre lamentele forti e decise fatte più volte sin dall”anno scorso c”è una professoressa che difende il gruppetto dei bulli, di cui fa parte una ragazzina della cui madre lei è amica. Non so più se mi devo rivolgere alla magistratura o al provveditore … fatto sta che per mia figlia le medie sono state e continuano ad essere un inferno dall”anno scorso, cioè da quando sono iniziate.[/left]

[right]Mio figlio (12 anni) si è sicuramente lasciato trascinare, perché non vuole essere emarginato …non è esattamente un leader. Il padre di un altro ragazzino (che torna regolarmente a casa con escoriazioni da penna surriscaldata) ha trovato il coraggio di affrontare uno dei bulli del figlio andando a trovarlo direttamente a casa.[/right]

Perché, dice un ragazzo, Se non hai un carattere forte non riesci a tirarti indietro.

[left]Spero che gli insegnanti che lei ha incontrato stiano davvero facendo qualcosa di concreto per risolvere questo gravissimo problema che giorno dopo giorno uccide la nostra società.[/left]

In una scuola una ragazza si domanda: Ma ormai che possiamo fare?

ORMAI: questa parola è il loro mantra. Un’intera generazione si sente condannata alla rassegnazione, all’impotenza, e questo mi fa paura.

È provato che la chiave per affrontare il problema del bullismo è l’adozione di una politica scolastica integrata, cioè un insieme coordinato di interventi che – con la capacità di comprendere le cause del fenomeno, ma senza inutili buonismi – coinvolgano tutte le componenti, e nella quale gli adulti della scuola (inclusi i genitori) si assumano la responsabilità della relazione con i ragazzi. Esistono reti di specialisti cui si possono rivolgere (ma di cui stranamente ignorano l’esistenza), centri antiviolenza che li possono appoggiare (ma non ne conoscono gli indirizzi), esperienze positive da copiare (ma non vengono diffuse, non circolano).

Fare rete è essenziale, è la solitudine che uccide. Per il femminicidio, come per ogni altra violenza endemica.

E’ provato – nel contesto più generale – che è determinante una riprovazione sociale che emargini i violenti. Per questo le giornaliste di GIULIA possono fare molto.

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