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Anatema sul gender: la scuola sotto tiro

Tanta partecipazione e non solo le solite facce
all’incontro, l’altro giorno alla Casa delle donne di
Milano, intitolato «Anatema sul gender: la scuola sotto
tiro».

Anatema sul gender: la scuola sotto tiro
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23 Maggio 2015 - 15.50


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Tanta partecipazione e non solo le solite facce all’incontro, l’altro giorno alla Casa delle donne di Milano, intitolato «Anatema sul gender: la scuola sotto tiro». È un tema che scalda gli animi la battaglia in corso fra il fronte composito delle gerarchie e delle associazioni cattoliche, da una parte, e l’ampio gruppo di formatori che vogliono combattere discriminazioni e stereotipi nella scuola pubblica, dall’altra.

Un vivace dibattito, con punte decisamente polemiche, ha accompagnato la presentazione dell’ultimo numero della rivista Leggendaria dedicato appunto a questo tema. L’intenzione era proprio quella di fare chiarezza, eliminando il fantasma minaccioso di un’«ideologia del gender», che contempli la nascita di un essere androgino, facendo sparire ogni differenza. In realtà, spiega Silvia Neonato, si vorrebbero educare ragazze e ragazzi al rispetto delle differenze, di orientamento sessuale ma anche di etnia, di classe, differenze che sono ancora tante e poco accolte. Esiste un costrutto sociale e culturale su femminile e maschile che può costituire una «gabbia». Ora è possibile ragionare su queste gabbie senza fare crociate? Senza gridare allo scandalo per lo scambio di ruoli (vedi la ribellione dei genitori per i giochi «morbosi» all’asilo triestino). E andando incontro alla forte domanda di formazione da parte delle maestre, visto che, nonostante tre proposte di legge, lo Stato non ha fatto nulla per introdurre nelle scuole l’educazione sentimentale.

La gabbia della maschilità viene indagata da Alessio Miceli, insegnante ed esponente dell’associazione Maschile Plurale, che avverte nei ragazzi, sotto la scorza degli insulti e dell’obbligo alla trasgressione (8 reati su 10 sono compiuti da maschi), disagio, richiesta di aiuto e fragilità. E individua due aree critiche, il rapporto con il potere e una grande difficoltà a connettersi con una sessualità che non è più un tabù ma di cui resta difficile parlare. Basta ricordare che il sito You Porn è visitato dal 97% di ragazzi e che sempre su questo sito avviene il primo approccio alla sessualità della maggior parte dei bambini delle elementari, come racconta Stefania Girelli dell’associazione L’Ombelico.

Anche Eleonora Cirant, bibliotecaria, giornalista e autrice di saggi, parla di una doppia morale difficile da scalfire: oltre un terzo di giovani tra i 18 e i 23 anni considera una «puttana» una donna che dimostra un atteggiamento disinvolto verso il sesso. Di esperienze sul campo parla la videomaker Alessandra Ghimenti raccontando il forte boicottaggio al suo documentario «Il cielo è sempre più blu», con addirittura un’interrogazione parlamentare da parte dell’associazione Le Sentinelle in piedi perché il suo video con domande tipo: «è importante distinguere i maschi dalle femmine?» avrebbe fatto diventare i bambini psicopatici.

Giorgia Serughetti, ricercatrice e studiosa di questioni di genere, sottolinea come la decostruzione degli stereotipi avvenga proprio sulla «naturalità«, ovvero su certe caratteristiche che naturalmente si attribuiscono a bambini e bambine: è il lavoro fatto con «Vocabolaria», che vuole portare nella scuola la riflessione sull’uso del femminile. Sono una quarantina di nomi in tutto (da ministra a questora, da avvocata a chirurga o prefetta) ma si riferiscono a posizioni da cui le donne non sono più escluse: connotandole al maschile restano per le donne ruoli solo temporanei.

Dalla grammatica alla teologia con Lucia Vantini, del coordinamento teologhe: l’anatema della Chiesa – che cataloga con l’identica etichetta di ideologia di genere i pensieri più diversi – nasconde sospetti e paure «verso un elemento femminile e materno percepito come forza squilibrante».
Ma restano da crociata i toni del rappresentante italiano dell’associazione francese Manif pour Tous che ricorda come sia Judith Butler, sia John Money, considerati i pionieri del gender, propongano una scissione totale fra sesso biologico e genere mediato culturalmente. Smentito, infine, da un giovane che si definisce cattolico omoaffettivo e contesta da una parte l’appiattimento del termine gender sul pensiero estremista di Judith Butler, dall’altra la banalizzazione del pensiero cristiano che ridurrebbe il sesso a tabù. E aggiunge che la sua maggiore ferita è non poter manifestare affettività verso il suo sesso.

Ma fraintendimenti e diffidenza non sono facili da superare: che cosa sarà mai questa educazione sentimentale? Qualcosa che poi trasforma mio figlio in una femminuccia, o ancora peggio in un frocio? Resta in alcune il sospetto che si voglia negare la natura: come mai mia nipotina che ha avuto due genitori moderni e anticonformisti vuole vestirsi solo di rosa e giocare con le bamboline?

Dubbi, perplessità, resistenze, ma vogliamo sperare, come ha sostenuto di recente in un bell’articolo il teologo Vito Mancuso, che «nonostante le dure parole delle gerarchie cattoliche, Papa compreso, un giorno la Chiesta arriverà ad accettare la sostanza di ciò che essa definisce “teoria del gender” e che oggi tanto combatte… in un tempo non lontano capirà che la pluralità degli amori umani è un altro punto di forza della nostra società, in quanto capace di accogliere tutti».

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