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Uccise due volte, da lui e dal pezzo di cronaca

Troppe nostre cronache continuano a trattare con sciatteria stereotipata le violenze. E quando i pregiudizi vengono da un’altra donna il danno è doppio. Di [Marina Cosi]

Uccise due volte, da lui e dal pezzo di cronaca
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25 Luglio 2016 - 10.43


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Si scrive femminicidio, si legge te la sei cercata. Questa non è informazione e non abbiamo scusanti. Sulla spinta di una società in evoluzione sono cambiate le leggi e cambiano gli approcci di poliziotti e di medici del pronto soccorso, cambiano le priorità della politica locale. E di molti uomini. Ma troppe nostre cronache continuano a trattare con sciatteria stereotipata le violenze secondo la scaletta: nota di colore, intervista al vicino (è una brava persona), intervista all’avvocato dell’aggressore (ovviamente giustificazionista), commento finale attinto al festival del luogo comune (raptus in primis). Il caso di Varese è solo l’ultimo, anzi purtroppo ormai il terz’ultimo, ma ci sembra esemplare, non soltanto perché la vittima more solito viene infamata anche da morta, ma perché tranne l’assassino tutti i protagonisti del racconto e della protesta sono donne. La vittima dipinta come un’erinni, la cronista de La Provincia di Varese che ne scrive, le altre giornaliste che reagiscono con un documento, le donne varesine che convocano una fiaccolata di protesta, la direttrice del quotidiano che interviene correggendo il tiro e dichiarandosi disponibile a firmare un appello… E poi noi, giornaliste di Giulia; nate proprio sull’urgenza di cambiare la lingua e il racconto e le priorità dell’informazione a partire dall’informazione sulle donne e delle donne.

Quando i pregiudizi vengono da un’altra donna il danno è doppio: da una parte per la sua adesione al codice patriarcale, dall’altra perché gli consente il divide et impera (Eva contro Eva, un classico). Ne sappiamo qualcosa dopo quattro anni di battaglie per un linguaggio che declini il femminile al femminile: abbiamo ottenuto molto e forse più velocemente di quanto sperato, le/i giornalisti/e si sono fatti veicolo virtuoso di ministra sindaca e ingegnera, ma ancora oggi in convegni, interviste e lettere ai giornali sentiamo altre donne che irridono alle desinenze al femminile. Ora però la battaglia deve concentrarsi sui contenuti dell’informazione. Al di là delle 5 W, le cinque “vecchie” regole dell’informazione, forse noi dovremmo concentrarci su altre tre: cosa, come, quanto. Cosa: nel senso di cosa scegliere di raccontare, nell’enorme indistinto globalizzato mare di eventi? E come; cioè con quale linguaggio corretto e dopo quali verifiche (la mancanza di tempo è la prima giustificazione che viene accampata da chi sbaglia, ma se si rinuncia alla verità sostanziale dei fatti si rinuncia al giornalismo)? Quanto: non solo traducendo importanza e priorità di un argomento in spazio e rilievo, ma anche tornandoci sopra frequentemente.

Sappiamo bene che questo è un momento molto difficile per l’informazione di qualità. L’assedio dei social e la bruciante concorrenza delle immagini postate in diretta dai testimoni casuali, per non dire della cattiva moneta di bufale e video taroccati che scorrazzano in rete, taglia i tempi alla doverosa verifica giornalistica e fa invecchiare le notizie nel giro di pochissime ore. Aggiungiamoci la crisi dell’editoria, con la riduzione delle testate e il drastico dimagramento delle redazioni; ma soprattutto l’ignobile sfruttamento di precari, pagati pochissimo quando pagati e dunque eroi o ricattabili. Nota: è il giornalismo, nella statistica della perdita di posti di lavoro in Italia, la professione più in sofferenza. Molti sono quindi tentati dal cambiare il rapporto dell’informazione con la pubblicità, in nome dell’ineluttabilità o della sopravvivenza, applicando una regolamentazione simile a quella auspicata per le lobby…, ma a parlarne qui usciremmo fuori tema. La crisi comunque potrebbe essere anche un’occasione: come ogni terremoto apre faglie nelle certezze consolidate. Un rischio, certo, ma chi saprebbe coglierlo meglio di noi donne, giornaliste, femministe, noi il cui genere da un paio di millenni sa bene cosa significhi ineguale rapporto di forza e incertezza dei diritti?

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