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Lettere, appelli, proteste: le donne che alzano la voce

#Dateci voce, flash mob on line, è stata la protesta più ampia: ma a ribellarsi all'assenza di donne nella catena di comando nelle fasi 1 e 2 del Covid sono state davvero in tante. [Di Maria Luisa Villa]

Lettere, appelli, proteste: le donne che alzano la voce
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Maria Luisa Villa Modifica articolo

5 Maggio 2020 - 15.52


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L’ultima iniziativa è stata, il 2 maggio, un flash mob virtuale con migliaia di partecipanti che hanno scritto #DateciVoce sulla mascherina o su un cartello, per poi scattare una foto e pubblicarla sui principali social .  #DateciVoce, www.datecivoce.it, è la più ampia protesta registrata in Italia, all’indomani della creazione della task force per la gestione della ripartenza, guidata Vittorio Colao e composta 21 esperti: 17 uomini, 4 donne. Il 14 aprile è partita una petizione al primo ministro Giuseppe Conte, sottoscritta da 107 associazioni e lanciata dalla 27esima Ora, blog del Corriere della Sera. Nella petizione a tutt’oggi in crescita, cui hanno aderito migliaia di associazioni, istituzioni, enti, professioniste, scienziate, docenti universitarie, cittadine e cittadini, si legge: “Quattro donne non sono solo un mancato riconoscimento al patrimonio di competenze femminili ma non offrono nemmeno una giusta rappresentazione della nostra Italia. Chiediamo fin da ora che nelle Commissioni e nelle task force, costituite e da costituirsi, per gestire la “fase 2” dell’emergenza, si valorizzi il talento femminile e sia inserito un adeguato numero di donne capaci, commisurato alla rappresentanza femminile di questo Paese, che è la metà della popolazione».  Due giorni dopo, la promessa di Conte di “integrare la task force con il coinvolgimento di donne le cui professionalità saranno di decisivo aiuto per il Paese”. Stessa promessa per il Comitato tecnico scientifico. Il premier si dice colpito dall’appello (trasversale) di 16 senatrici che in una interrogazione parlamentare mettono il dito nella piaga: l’assenza  delle donne nelle task force.

Perché le donne ci sono, ma le donne non decidono.

È questa la sintesi, estrema e semplice, del ruolo delle donne durante l’emergenza Covid19. Presenti costantemente e in modo massiccio nella “guerra quotidiana” a tutti i livelli, dalle ricercatrici alle lavoratrici di ogni settore al faticoso doppio o triplo ruolo in famiglia, le donne scompaiono letteralmente nelle task force di governo e in ogni cellula decisionale, occupata perlopiù – se non del tutto – da uomini, siano essi ministri o esperti.

Proteste, appelli, riflessioni, lettere aperte: da più parti nel mondo e in Europa si è sollevata la voce delle donne. Chiamate alla guerra ma escluse dalle grandi strategie, oggi le donne sanno che la posta in gioco è conquistare un posto nella ricostruzione.

Le riflessioni partono da dati eccellenti. La rivista Forbes in un articolo uscito il 13 aprile elogia la leadership femminile: “Cos’hanno in comune i Paesi con le migliori risposte al coronavirus? Delle donne come leader”. Nazioni grandi e piccole – Germania Taiwan Danimarca Finlandia Norvegia Nuova Zelanda – sono per Forbes esempio di buoni risultati basati su 4 virtù del potere al femminile: “verità risolutezza tecnologia amore”.

Anche la Società Italiana degli Economisti ha fatto sentire il suo dissenso attraverso una lettera del presidente Alberto Zazzaro inviata alla ministra per l’Innovazione Paola Pisano. La scelta di nominare tra gli economisti solo uomini, si legge, “non riconosce le elevate competenze che le economiste hanno raggiunto in tutti i campi della ricerca e rischia di porre in secondo piano le tante tematiche di genere che la crisi sanitaria ed economica stanno drammaticamente evidenziando”. La Società degli Economisti “auspica che il gruppo di esperti individuato possa essere integrato con economiste qualificate negli ambiti scelti”. Ma questo non è avvenuto. 

Il 20 aprile la Protezione Civile ha pubblicato l’aggiornamento del Comitato tecnico scientifico, istituito il 5 febbraio per gestire l’emergenza virus, composto da rappresentanti degli Enti e delle Amministrazioni dello Stato per supportare il capo della PC: 20 uomini, nessuna donna.

Reazioni immediate. Fra le altre, la petizione “Le esperte esistono!”, lanciata su change.org da Diana De Marchi, delegata alle Pari Opportunità del sindaco di Milano Giuseppe Sala, che è stata sottoscritta da oltre 7000 firme. “Ad oggi, per contrastare l’emergenza Covid19, sono state nominate in tutto 97 persone come componenti delle diverse Task Force, di cui solo 17 donne. Benché numerose siano le donne giuriste, economiste ed informatiche e nonostante le donne costituiscano ben il 70% del personale nel settore sanitario e sociale e siano in prima linea come mediche, ricercatrici, infermiere e operatrici socio-assistenziali, continuano a non essere coinvolte.

Una risposta alla crisi che ha colpito l’Italia deve coinvolgere le donne nel processo decisionale. Solo insieme, donne e uomini, in un’ottica di democrazia paritaria, potranno fare proposte lungimiranti, per contribuire allo sviluppo del nostro Paese”.

 

La risposta del capo della Protezione civile Angelo Borrelli non si è fatta attendere: nel Comitato non ci sono donne perché i membri “vengono scelti in base alla carica, come il capo della Protezione Civile”. Così le donne, poco presenti nelle posizioni apicali di enti e istituzioni, non ci sono.  Una chiara rappresentazione del famoso tetto di cristallo, che impedisce alle donne di salire la scala gerarchica. Le cause?  Elezioni e nomine ai vertici di società, enti, amministrazioni, avvengono all’interno di platee a stragrande maggioranza maschile. Gli uomini votano gli uomini.

Anche in Parlamento si levano voci femminili di diverso orientamento contro la task force al maschile. Tra queste quella di Mara Carfagna di FI: “Le donne sono la metà del Paese e voi pensate ancora di gestire il mondo come se fosse una cosa da uomini “. E Laura Boldrini del PD punta il dito anche contro le recenti nomine ai vertici delle aziende statali: tutti uomini. “La disparità fa torto alla reputazione dell’Italia, all’economia, al Pil”. E annuncia di aver depositato una interrogazione parlamentare sull’argomento con altre deputate. Oltre alla decisione di non votare più alcuna nomina “se non ci sarà un numero consistente di donne”.

Ma la disparità è anche un assist alla violenza di genere, come avverte l’associazione “Se non ora quando – factory” nella lettera al capo della Protezione civile: “L’invisibilità delle donne non è solo ingiusta, è pericolosa. Rappresenta un mondo in cui le donne sono state cancellate, come se non ci fossero. Sappiamo quanto questo germe, se entra nella mente di giovani uomini che poi invece si trovano di fronte a giovani donne forti e libere, produca danni”.

Una mappa del potere ai tempi del Covid19 viene disegnata da Openpolis (openpolis.it) che ha censito 1400 incarichi coinvolti nell’emergenza: da quelli istituzionali preesistenti a quelli creati ad hoc. Le donne rappresentano il 20%. E proprio nei ruoli apicali della Sanità si nota il dato più basso: i direttori generali delle aziende sanitarie locali e delle aziende ospedaliere sono donne solo per il 15%. Eppure le lavoratrici della Sanità (dalle operatrici sanitarie alle ricercatrici) sono oltre il 65%.

Insomma sembra lontano il 2 febbraio, quando il ministro della Salute Roberto Speranza aveva dichiarato: “Sono state tre donne a portare a termine l’isolamento del coronavirus. È bello che lo siano”, commentando i risultati ottenuti dal gruppo di ricerca dell’Ospedale Spallanzani, guidato dalla biologa Maria Rosaria Capobianchi, con Francesca Colavita e Concetta Castilletti, oltre a Fabrizio Carletti e Antonino Di Caro.  E la ministra per la Famiglia e le pari opportunità Elena Bonetti si era congratulata: “Anche nella scienza le donne danno un contributo fondamentale. Il futuro chiede il loro coraggio, la loro intelligenza, la loro creatività”.

Per questo Elena Bonetti ha creato un gruppo di 12 esperte, guidate da Fabiola Gianotti, direttrice del Cern. Imprenditrici, scienziate, economiste chiamate a costruire un Nuovo Rinascimento dell’Italia. Ma la loro eccellenza non entra nelle task force che contano, e che contribuiscono alle decisioni sul presente e sul futuro. 

“Una riserva indiana”, l’ha definita la senatrice Emma Bonino sul Corriere della Sera il 21 aprile in una intervista di Antonio Polito. Per lei l’assenza della voce delle donne nelle cabine di regia “è un aspetto del rifiuto della meritocrazia. Il potere in Italia tende a riprodursi per cooptazione. La rete dei vecchi amici che si frequentano e si conoscono, che gli inglesi chiamano Old boys’net”.

Scarsa attenzione alla meritocrazia uguale scarsa rappresentanza. Anche le accademiche e le ricercatrici di fama internazionale che fanno parte di Top Italian Scientist (Topitalianscientist.org) condannano questo vizio italiano nell’appello del primo maggio: “In Italia le donne rappresentano il 56% dei medici e sono quasi il doppio degli uomini tra i medici con meno di 40 anni. E sono numerose le donne italiane ai vertici della ricerca biomedica internazionale […]. Da ora in avanti pretendiamo che un equilibrio di genere nelle commissioni tecniche e scientifiche sia una priorità assoluta”.

E cosa sarebbero le competenze senza i valori? Su questo tema si è mobilitato il mondo femminile della cultura. Sul quotidiano francese Le Monde è partita il 9 aprile una grande chiamata ai valori comuni dell’Europa da parte di un collettivo, destinato ai governanti europei, e rivolto a tutti i cittadini del continente.  Tra le 14 mila sottoscrizioni, in continuo aumento, artiste, registe, scrittrici, come Elena Ferrante, Cristina Comencini, Dacia Maraini, Julia Kristeva, Annie Ernaux, Margarethe Von Trotta: “Le donne hanno sempre avuto una forza immensa nel reagire e tenere insieme i nuclei familiari, nutrirli e curarli. Lo hanno dimostrato durante l’ultima guerra mondiale, lo stanno facendo anche ora in questa pandemia, insieme agli uomini, impegnate in massa nei lavori attualmente consentiti. Ma al contrario del dopoguerra, questa volta noi ci siamo, siamo nella società in parità e vogliamo che la ricostruzione avvenga tenendo conto di esigenze e valori che sono incisi nella nostra Storia, nelle nostre esperienze, e che sono stati troppo a lungo trascurati”. La lettera si chiude con una richiesta forte alla politica: “Esigiamo di porre fine agli egoismi nazionali e di reagire insieme alle necessità della ricostruzione”.

Fin dall’inizio dell’emergenza le donne si sono rivolte direttamente all’Europa. Noi donne e Noi Rete Donne, il 31 marzo, avevano inviato una lettera, sottoscritta da migliaia di persone oltre ogni appartenenza politica, a Ursula von der Leyen, presidente della Commissione Europea, e a Christine Lagarde, a capo della Banca Centrale Europea: “Davanti a questa difficilissima prova della Storia  le classi dirigenti devono dimostrare, ora, di saper rinsaldare la fiducia nelle istituzioni. Due donne ai vertici delle istituzioni europee sono una coincidenza eccezionale, risultato di un lungo impegno per l’emancipazione e la libertà delle donne. Ci aspettiamo da voi decisioni libere, destinate a riformulare e rinsaldare l’idea di un’Europa dei popoli, solidale e delle donne. Confidiamo che deciderete senza mai perdere di vista il vostro essere donne, fattore decisivo per ridisegnare le priorità economiche e consolidare la democrazia e i diritti civili acquisiti”.

Un appello forte che non sembra essere stato raccolto. Ma che proprio per questo resta vivo e valido, così come le richieste delle donne che continuano a chiedere voce, a offrire talento e passione per disegnare un futuro più equo e paritario.

 

 

 

 

 

 

 

 

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