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La leadership femminile, tra quote e rappresentanza

Binetti, Garavaglia, Fedeli, Bernini, Taverna, Rauti, Bellanova: in comune la passione per la politica e il problema dell'assenza delle donne nel gota della politica. [di Eleonora de Nardis]

La leadership femminile, tra quote e rappresentanza
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Eleonora de Nardis Modifica articolo

21 Febbraio 2021 - 18.39


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Un incontro interculturale più che mera presentazione di un libro quello che si è svolto nei giorni scorsi in una sala stampa del Senato distanziata e contingentata per l’ultimo lavoro della sen. Paola Binetti “La leadership femminile- modelli e qualità oltre le quote rosa” edito da edizioni Magi.  Un excursus nella storia della guida al femminile che oggi più che mai è tema sull’agenda politica nazionale tutta, non solo quella delle donne. Il libro lo mette nero su bianco: per incoraggiare e sostenere quel nuovo percorso culturale tanto declamato e, almeno formalmente, agognato anche dagli uomini, occorre promuovere il concetto di parità, ridisegnando anche in politica ruoli e responsabilità. Ma come fare?

Non si tratta solo di quote rosa e rappresentatività – che con la riduzione del numero dei parlamentari corre il rischio di far calare drasticamente la rappresentanza femminile – quanto piuttosto di allargare le maglie della partecipazione, allargando la possibilità di accesso alla cosa pubblica a tutte le donne, non solo a quelle che ambiscano a dei ruoli guida. Emblematica la copertina scelta per il volume di Binetti: una barca che fa da apripista ad altre barchette che ne seguono la scia. Un libro positivo e propositivo.

Tuttavia, se è vero che non si registrano drammatici arretramenti in Italia per quanto riguarda la presenza delle donne nelle istituzioni, è altresì vero che l’affermazione femminile nella cosa pubblica deve ancora affrontare uno scontro di potere, laddove le resistenze e l’indifferenza di un sistema costruito sul modello maschile non danno alcun segno di cedimento.

Continuare a puntare sulle quote significherebbe solo fare un po’ di posto anche alle donne, ben lungi dal trasformare l’organizzazione del potere e dell’intero sistema sociale. Questa è la ragione per cui tra donne ci si contende un posto da sottosegretario, così come la nomina a caporedattore in un giornale, o a caporeparto in un supermercato. E sintomo febbrile ne è il commento che puntuale arriva, ogniqualvolta una di noi raggiunge la cima di un monte: “Guarda come ci è arrivata vestita”. Gli spazi sono pochi e quindi si sgomita? E allora, ampliamo gli spazi: la piena partecipazione femminile a tutti gli ambiti dell’esistenza umana – sociale, politico, economico – è una questione politica ed etica di primissimo piano.

Anzi, è la questione.

Su questo sono d’accordo tutte, trasversalmente. Almeno lo erano lo scorso 19 febbraio in sala Caduti di Nassirija a Palazzo Madama. 

La presentazione, organizzata e moderata da un’eclettica Elena Luviso, è stata abilmente orchestrata per trascendere le individualità e le appartenenze del variegato parterre politico, tanto che a ciascuna relatrice è stato chiesto di “passare la palla” alla successiva scegliendo una parola chiave da lasciare in eredità.

Così, dice Isabella Rauti, (l’unica a citare la sua compagine politica e a ricordarla tramite la bandiera di Fratelli d’Italia alle sue spalle): dietro ogni donna che arriva vi è una moltitudine di donne invisibili che devono essere trainate attraverso un processo di mentoring. E allora si può insegnare loro la leadership, puntando su merito, autenticità, assertività e individualità. Che sono cose diverse da narcisismo e potere formale.Il suo lascito è competenza.

 

A lei si riallaccia Anna Maria Bernini: a parità di condizioni la leadership femminile si distingue perché esula dalla autoreferenzialità e punta alla valorizzazione di altri soggetti, in una rete di relazioni che beneficiano della non alternativa: o facciamo così, o la donna leader è costretta a subire anche la durezza della solitudine.

Segue la riflessione Maria Pia Garavaglia: la politica è professione e ci si arriva studiando. Perché scopo della leadership è rendere forti gli altri attraverso la coesione. Per questo non è possibile contemplare la solitudine di un leader: vorrebbe dire che non ha fatto squadra, che non ha ampliato l’accesso, che non ha diffuso la cultura dell’inclusione e della compartecipazione, come ci hanno insegnato donne come Nilde Iotti. La sua parola chiave è capacità di scelta.

Così anche Paola Taverna punta sulla propensione femminile ad accettare le sfide e alla resilienza delle donne alle difficoltà.

Il futuro è contaminazione secondo Anna Maria Parente: in questo momento storico più che mai è necessario un partenariato tra donne e uomini per riscrivere una nuova grammatica dei rapporti tra i generi. 

Così come importante è un confronto tra punti di convergenza delle differenti storie e realtà, per effettuare quel salto culturale necessario al progresso sociale. Spiega Valeria Fedeli che, quando una donna assume la responsabilità, deve evitare l’omologazione e allargare il contesto in cui opera: finiamola allora di parlare di quote rosa che sono l’esatto contrario della promozione di competenze e merito, come plasticamente declama il secondo comma dell’art. 3 della nostra Costituzione. Dobbiamo puntare ad abbattere tutti gli ostacoli materiali che impediscono l’accesso in politica delle donne: abbiamo bisogno quindi di norme antidiscriminatorie, non di quote.  Infine, capacità e qualità di relazione con le altre presenze femminili sono una scelta e, quando lo vogliono, le donne sono imbattibili in questo. Per questo la sua parola chiave è mediazione.

Stessi concetti si ritrovano nelle parole di Teresa Bellanova che, tramite lettera, spiega i tratti distintivi, a suo parere,  della leadership femminile: la transazionalità e l’inclusività.

Interviene per iscritto anche la (prima) Presidente del Senato Elisabetta Casellati: creatività e coraggio della leadership femminile sono essenziali per la società tutta, non solo per la cosiddetta altra metà del cielo. Certamente ogni donna interpreta la leadership a suo modo, irripetibile e unico. Ma vi è un comune denominatore: la passione di ciascuna per le altre donne.

“Sappiamo che non tutto ciò che ci è ostile lo è completamente”- afferma pacatamente Paola Binetti- “e che la mediazione non è mai al ribasso, perché mediare non significa solo mantenere tante relazioni in maniera orizzontale, bensì saperle far durare nel tempo con uno sviluppo longitudinale. Per far questo occorre saper dimenticare e per-donare, nel senso etimologico del dono perfetto.

Quella che attraverso il suo libro propone è una sorta di ecologia delle relazioni umane promossa dalle donne: disintossicare la politica dal risentimento per i torti subiti, dalla suscettibilità e dalle vendette. A partire dall’accudimento e dalla comprensione delle donne. Rendere concreto il valore dell’altruismo e della solidarietà: le relazioni lasciano traccia quando durano e promuovere la leadership femminile può davvero essere la chiave della Felicità sociale, laicamente intesa.

Ma la leadership femminile o è di cambiamento, oppure non è.

E allora capita che non tutte riusciamo a emettere un sospiro di sollievo quando leggiamo nomi di donna a capo di Dicasteri delicati o, a dire il vero, inappropriati.

Ci si domanda che ragion d’essere abbia un Ministero per le Disabilità invece che un Ministero per le Politiche Sociali tutte, che promuova integrazione e pari accesso alle minoranze, ai disabili, ai soggetti più fragili – donne anziani minori stranieri su tutti. Così come ci si chiede in che modo chi è contraria allo ius soli e ambigua sul tema dell’accoglienza possa occuparsi di inclusione.

O chi combatte diritti acquisiti con anni di battaglie femministe come la 194 o i diritti civili per gli lgbtqi e qualsiasi altro orientamento sessuale possa essere imparziale e spogliarsi dalle lenti dei pregiudizi ideologici e degli stereotipi di genere quando poserà il suo sguardo sulle altre donne nelle aule di Giustizia, detenute, o nelle case rifugio.

Ma a sentire queste donne politiche di differente provenienza ed età anagrafica così coese, viene il dubbio che sia vero quello che dicono i botanici, e cioè che il genio è nell’ibridazione: forse proprio nell’ arte della mediazione e della sapiente mescolanza si trova il jolly della riuscita di molte battaglie storiche delle Donne.

Lasciarsi dettare la linea dai propri desideri e dai propri sogni, battendosi per includere i desideri e i sogni di tutte le altre, sarebbe quindi la scelta vincente: in un intreccio intergenerazionale del femminile congenito al surplus di essere Donna, a partire dall’assunto di quella generatività squisitamente donna che trascende il concetto di maternità strettamente inteso per spiccare il volo verso orizzonti futuribili.

 

 

  

 

 

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