Una cronista si finge militante dei giovani di Fratelli d’Italia per poi raccontare a mezzo stampa cosa succede all’interno delle riunioni della sezione giovanile del partito di maggioranza che governa il Paese. La vicenda accende il dibattito pubblico e scatena il “caso Fanpage”. Il problema è l’inchiesta o ciò che svela l’inchiesta? È, come afferma la Premier Meloni, una scandalosa anomalia usata come strumento politico? O è un metodo giornalistico? Possiamo citare numerosi precedenti: nel novembre del 2023 un giornalista tedesco si intrufola in un incontro del partito tedesco AfD smascherando un piano che prevedeva l’espulsione di milioni di persone dalla Germania; in Italia sono passati alla storia i travestimenti che Guido Quaranta dell’Espresso usava per accedere sotto copertura alle riunioni della DC, del PSI, pizzicando Craxi, Previti, D’Alema; e ancora le registrazioni di un Berlusconi pro-Putin durante la guerra in Ucraina; l’inchiesta Bloody Money del 2018 pubblicata a puntate sempre su Fanpage sul traffico illegale di rifiuti e della corruzione politica che fa da sponda; Luigi Franco si fa assumere da Amazon per raccontare le condizioni dei lavoratori; Mads Brügger, giornalista, conduttore televisivo, autore e regista danese famoso per la capacità di infiltrarsi usando tecniche undercover; la francese Florence Aubenas che lasciò Parigi e la sua scrivania a Le Nouvel Observateur, per andare a lavorare come donna delle pulizie in Normandia raccontando la difficile vita dei nuovi poveri.
La lista potrebbe andare avanti con centinaia di esempi. Ma se davvero vogliamo capire cos’è e come nasce il giornalismo undercover dobbiamo tornare indietro alla seconda metà dell’Ottocento. Fu allora, infatti, che una donna, pioniera del giornalismo investigativo, cambiò contemporaneamente la percezione della donna nella sfera pubblica e il modo di fare giornalismo. Nellie Bly, nasce in Pennsylvania nel 1864, con il nome di Elizabeth Cochran. È la terza di cinque figli e la sua infanzia è segnata da sofferenze e ristrettezze economiche tali da non permetterle di proseguire gli studi. Nonostante ciò, appena adolescente lesse sul Pittsburgh Dispatch un articolo intitolato “What Girls Are Good For” (A cosa servono le ragazze), in cui si sosteneva che le donne che tentano di fare carriera sono una “mostruosità”. Scrisse al giornale una lettera di protesta talmente accorata da portare il direttore a proporle un lavoro con lo pseudonimo di Nellie Bly (ispirato al titolo di una famosa canzone), in quanto all’epoca risultava sconveniente per una donna fare la giornalista. Il suo forte sono i temi di carattere sociale e di genere: sfruttamento del lavoro minorile, mancanza di sicurezza sui luoghi di lavoro, storie di lavoratrici sfruttate e abusate, modifica delle leggi su matrimoni e divorzi, scioperi, interviste scomode, e molto altro. Invisa agli uomini di potere che fecero pressione sul giornale fu spostata su temi più “consoni” a una donna come il giardinaggio e la moda. Testarda, convinse il suo direttore a mandarla come corrispondente in Messico. Ma anche lì, le sue storie di povertà e corruzione risultarono sgradite al Governo messicano guidato dal presidente Porfirio Díaz che la fece espellere dal Paese. A quel punto il sacro fuoco per la denuncia e l’impegno sociale la spinse a presentarsi a Joseph Pulitzer proponendogli un’inchiesta sulle condizioni del manicomio femminile di Blackwell’s Island, a New York. Entrò nell’istituto in incognito fingendosi mentalmente disturbata. Quella mossa così audace cambiò per sempre il modo di fare giornalismo. Quando uscì, scrisse per il New York World una serie di articoli poi raccolti nel volume “Ten Days in a Mad-House”, talmente incisivi da portare lo stato di New York a riformare gli istituti psichiatrici, aumentando le sovvenzioni destinate al miglioramento delle condizioni delle pazienti. Ripagò la fiducia accordatale da Pulitzer con altri straordinari articoli, divenuti pietre miliari del buon giornalismo: si fece arrestare e poté raccontare la vita delle detenute in prigione, si infiltrò tra operaie e domestiche e ne svelò lo sfruttamento, fu l’unica reporter a dar voce ai lavoratori durante lo sciopero delle Pullman Railroads. Il New York Journal la premia come “migliore reporter d’America” e Nellie passa alla storia come la prima giornalista investigativa dando vita al metodo del giornalismo in incognito. Il suo stile pungente, acuto, crudo e senza sconti, emotivamente coinvolgente continua a fare scuola ancora oggi.
«Ai giovani giornalisti dico: raccontate sempre la verità. Anche se costa». Così Enzo Biagi, in un’intervista postuma pubblicata su Il Resto del Carlino. Se ne occupa anche l’Unesco che si esprime sul giornalismo investigativo dichiarando che «è la rivelazione di questioni che sono nascoste sia deliberatamente da qualcuno in una posizione di potere, sia accidentalmente dietro una massa caotica di fatti e circostanze, con l’analisi e la esposizione di tutti i fatti rilevanti per il pubblico. In questo senso il giornalismo investigativo contribuisce in maniera cruciale alla libertà di espressione ed allo sviluppo dei media, che sono al centro del mandato dell’Unesco» È dovere del giornalista offrire ai cittadini un antidoto alle informazioni che vengono filtrate dagli annunci ufficiali attraverso gli uffici stampa dando la possibilità di sviluppare una coscienza critica. Se questa tecnica viene usata dalla politica per zittire gli avversari è regime, ma se viene usata dalla stampa, beh… con buona pace di tutti, parafrasando la battuta finale di Humphrey Bogart nel film L’Ultima minaccia del 1952 «È la stampa bellezza, la stampa, e tu non ci puoi far niente, niente!».
QUI un sito dedicato alla figura di Nellie Bly