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Pas: ministro Speranza, non ci siamo!

La risposta all'interrogazione di Valente sull'alienazione parentale, accolta inizialmente con favore, ha in realtà molti aspetti critici. Trasformismi linguistici contro le donne. [di Alida Castelli e Vittoria Tola]

Pas: ministro Speranza, non ci siamo!
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9 Giugno 2020 - 01.09


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Il 29 maggio 2020  il Ministro della Salute Speranza ha risposto in forma scritta all’interrogazione presentata dalla Senatrice Valeria Valente ed altre colleghe nello scorso novembre.

Obiettivo di tale interrogazione era quello di ottenere risposte in merito alla spinosa questione della PAS (Sindrome di Alienazione Parentale  o della AP (Alienazione Parentale di pilloniania memoria) chiedendo al Ministro di “predisporre una specifica forma di monitoraggio da parte dell’autorità sanitaria affinché tale costrutto ascientifico (PAS o AP) non venga utilizzato dagli operatori sanitari, né dai consulenti forensi con la qualifica di medici e psicologi; promuovere iniziative volte a monitorare l’applicazione di trattamenti sanitari giustificati, esplicitamente o meno, da PAS o AP, nonché a valutare quanto casi di questo genere confliggano con la corretta applicazione della legge n. 833 del 1978 sul trattamento sanitario obbligatorio”.

Si chiedeva inoltre di conoscere l’opinione del Ministro sull’opportunità dell’  istituzione presso il Ministero di una commissione ad hoc che si faccia carico, oltre che delle azioni indicate, anche di valutare sia gli esiti di provvedimenti basati su diagnosi e trattamenti sanitari inappropriati, sia l’impatto sulla salute dei bambini coinvolti nelle misure già attuate, valutando anche caso per caso, là dove ve ne sia necessità, tale impatto ed infine se il ministro intendesse predisporre, in accordo con il Ministro della giustizia,essendo la Pas o  quel che dir si voglia, una mera strategia processuale con nessun riferimento scientifico, misure che regolino la gestione dell’intervento sanitario in ambito forense.

La risposta, molto attesa è stata subito accolta favorevolmente, anche se ad un’analisi più attenta è possibile darne una lettura più critica che nasce da molti dubbi.

Partendo dal presupposto che già in precedenza la PAS era stata definita priva di rilevanza scientifica sia in ambito governativo e che a sua volta la Corte di Cassazione, in più sentenze, ne aveva rilevata la a-scientificità  ci saremmo aspettate qualcosa di diverso.

Invece, già nelle prime righe della risposta, la PAS viene definita   non più sindrome  ma “Disturbo dell’Anaffettività”. E, non è una questione di nome: il “Disturbo dell’Anaffetività” è una  definizione fino ad oggi sconosciuta nè mai individuata nemmeno da Gardner “inventore”della PAS.

Allora sorge  legittimo il dubbio di trovarci di fronte, da qualche decennio ad uno dei tanti trasformismi linguistici  tipici della PAS e dei suoi interessati sostenitori, probabilmente non l’ultimo e che nonostante le sonore e ripetute bocciature da parte della comunita’ scientifica internazionale,Vedi DSM5 o ICD11) continua ad essere insegnata nei corsi universitari e di formazione forense  nonche’ applicata nei tribunali, proprio attraverso le sue tante ridenominazioni, che la mantengono viva e vegeta. E’ legittimo quindi temere che per questa strada si intenda mantenere tutta la “teoria”, o “pseudoteoria” su cui la PAS si fonda, anche se utilizzando altre definizioni. Non a caso si cita Bernet e l’impressione è che sia non a caso.

In un passaggio della risposta all’interrogazione si afferma inoltre che non si tratta di PAS ma di  “disturbo della relazione tra più soggetti, una relazione disfunzionale alla quale contribuiscono il genitore alienante, quello alienato e il figlio/la figlia, ciascuno con le sue responsabilità e con il proprio “contributo”, che può variare caso per caso”. Da cui emergerebbe una responsabilità paritetica tra chi esercita violenza (di cui non si parla mai)  e  chi subisce violenza e abusi sessuali!

Del resto in tutta la risposta non si da evidenza che la PAS viene utilizzata nei tribunali per smentire la violenza domestica  contro le donne e gli abusi sessuali sui minori ignorando contemporaneamente l’applicazione della Convenzione di Istambul che impone la protezione delle vittime e non ammette nessuna mediazione o contatto con il genitore abusante e le vittime.

Non volerlo vedere è negare che non voler vedere il genitore abusante non è una malattia, nè un disturbo relazionale ma spesso una forma di “sana” difesa dalla violenza subita, e non come si suggerisce nella risposta di un “Disturbo del comportamento relazionale” per colpa delle madri malevole.

A pensare male si fa peccato…Dalla lettura, però,  non possiamo esimerci  dal pensare che i sostenitori della PAS e le sue derivate, potrebbero trovare nuovo terreno di riciclo di potere e anzi addirittura fondi pubblici per approfondire la questione come si evince dal parere riferito nella risposta all’interrogazione dell’Istituto Superiore di Sanità che ritiene “utile la promozione di ulteriori studi sistematici e su larga scala dell’alienazione genitoriale” unita dalla proposta finale di una ricerca sistematica a livello nazionale.

Insomma ci riproveranno? Staremo a vedere, ma non in silenzio!

 

 

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