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I 100 anni di Marisa Rodano, prima vicepresidente della Camera: "Quel giorno non sapevo come vestirmi"

Nata il 21 gennaio 1921, lo stesso giorno del Pci. Ed è ancora oggi in prima linea nelle lotte per l'emancipazione delle donne e per la democrazia paritaria. Gli auguri di GiULiA. [di Silvia Garambois]

I 100 anni di Marisa Rodano, prima vicepresidente della Camera: "Quel giorno non sapevo come vestirmi"
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Silvia Garambois Modifica articolo

20 Gennaio 2021 - 02.12


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Nelle riunioni, negli incontri, nei convegni ha l’ultima parola, nel silenzio assoluto della sala tira le fila di interminabili discussioni restituendo senso politico anche ai dibattiti più sconnessi: poche parole, misurate, giuste; concetti chiari, concisi. È la Politica nel senso alto del termine. La Politica delle donne.

Marisa Cinciari Rodano è nata il 21 gennaio del 1921: prima donna vicepresidente della Camera dei deputati, parlamentare europea, senatrice, consigliera comunale e provinciale di Roma: non si è mai tirata indietro. Tra le fondatrici dell’UDI, ancora oggi è punto di riferimento delle associazioni di donne per la democrazia paritaria. E non risparmia critiche: “Purtroppo le donne – dice – tendono spesso a omologarsi al modello maschile, non fanno squadra, non impongono nelle istituzioni i valori dei quali dovrebbero essere portatrici in base alle loro esperienze di vita, nel lavoro, nella famiglia, nella casa. E anche nella storia”.

Pubblichiamo ampi stralci di una recente intervista rilasciata a Liberetà, il mensile della Spi-Cgil:

Subito dopo la Liberazione di Roma, nel ’44, sei stata tra le fondatrici dell’Unione Donne Italiane: ma per quale ragione volevate riunire le donne, per farle contare in politica o solo per fare “rete”?

«Da un lato volevamo riuscire a portare le donne fuori dal tradizionale ambito familiare e farle impegnare nella vita pubblica, e dall’altro l’intento era quello di avere uno strumento che ci consentisse di condurre le battaglie per le donne con le stesse donne protagoniste. Ma anche ora solo facendo squadra, lavorando insieme, si possono ottenere i risultati».

Nel tuo libro, Memorie di una che c’era, hai raccontato le difficoltà di portare per la prima volta le donne al voto.

«La prima difficoltà consisteva nel fatto che bisognava spiegare loro perché era importante andare a votare. C’era il referendum repubblica-monarchia, e quindi bisognava convincere perché era importante votare repubblica, che c’era una responsabilità grande della monarchia nei disastri in cui si trovavano anche e forse soprattutto le donne. Bisognava anche spiegare come votare: ho viva la memora dei seggi elettorali davanti ai quali tante donne apparivano preoccupate, temevano di sbagliare».

Prima vicepresidente della Camera dei deputati, nel 1963: un simbolo per le donne italiane, la prima crepa nel “soffitto di cristallo” della politica.

«Non sembri strano ma davvero ricordo poco di quei giorni. Bisogna dire che sono state eletta perché mi hanno scelta gli uomini, in particolare Pietro Ingrao. Ero molto emozionata, anche molto preoccupata e non sapevo come vestirmi».

Però ci sono voluti quindici anni, dopo di allora, perché una donna, Nilde Iotti, diventasse presidente della Camera. Si racconta che foste molto amiche.

«Sì. L’avevo conosciuta a Reggio Emilia. Lei era consigliera comunale di Reggio, dove ero andata per un’iniziativa di partito e ci siamo conosciute. Poi, è stata eletta alla Camera e ci siamo incontrate di nuovo. Io ero in ottimi rapporti con Palmiro Togliatti, e quindi quando divennero una coppia avevamo rapporti molto frequenti. Ma quella loro unione provocò una specie di scandalo: il partito comunista era ancora molto tradizionalista».

Anche secondo te, rispetto agli anni in cui sembrava che ogni conquista fosse possibile, i diritti delle donne stanno retrocedendo?

 

«Direi proprio di sì. Intanto, abbiamo una percentuale bassa di lavoratrici. Se analizziamo i dati europei noi siamo uno degli ultimi Paesi nelle percentuali di donne al lavoro. Inoltre, le scelte politiche ed economiche penalizzano i servizi, gli asili nido, le strutture che dovrebbero aiutare le donne che lavorano, e rendono più difficile alle donne la vita produttiva».

Hai avuto cinque figli, e contemporaneamente ruoli politici di grandissimo impegno. Come hai conciliato i tempi di vita e di lavoro?

«Ho avuto un marito che mi ha aiutato molto. La capacità di condividere è importante. Ma qui torniamo al ragionamento di prima: sarebbe necessario che lo Stato provvedesse ai servizi necessari».

La pandemia ci ha lasciato in eredità il lavoro flessibile. Molte temono che questo rappresenterà uno svantaggio per le donne, le prime a essere rimandate a casa.

«Difficile azzardare previsioni. C’è questa preoccupazione, sì. Mi auguro che le donne abbiano imparato che non devono ritirarsi nel privato. Molte, tante sono in gamba, e occupano anche ruoli importanti: alla Commissione e nel Parlamento europei, a capo di vari Paesi dell’Unione. Donne davvero notevoli. Forse in Italia è più difficile, ma ci sono donne molto brave”.

Tutto sommato, sembri ottimista sul futuro che ci attende.

«Diciamo, che in me prevale l’ottimismo della volontà».

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