Rassegna sui generis: la settimana di notizie sulle donne (5 luglio-10 luglio) | Giulia
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Rassegna sui generis: la settimana di notizie sulle donne (5 luglio-10 luglio)

Una settimana di notizie sui nostri media: come e quanto si parla di donne? E quante sono le donne a scrivere del mondo. GiULiA prosegue con il suo "osservatorio" sui giornali, in ottica di genere. [di Barbara Consarino]

Rassegna sui generis: la settimana di notizie sulle donne (5 luglio-10 luglio)
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Barbara Consarino Modifica articolo

11 Luglio 2021 - 20.35


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Settimana dal 5 luglio al 10 luglio: Il Corriere della Sera, La Repubblica, La Stampa, Domani, Il Giornale, Il Manifesto, Il Messaggero, Il Sole 24 ore, Il Fatto quotidiano, Avvenire.

 

Frme in prima pagina: uomini 559/donne 191

Editoriali, commenti e analisi: uomini 101/ donne 30

Interviste:  uomini 170/ donne 53

Pochissime nella settimana le interviste alle donne, molto fotografate, però, al festival del cinema di Cannes, finalmente in presenza, o alle sfilate di moda a Parigi. Sul tappeto rosso fanno scalpore i capelli grigi al naturale di Andie MacDowell  (per anni testimonial dell’Oréal un marchio noto per i cosmetici, ma soprattutto per le tinte) e quelli appena accennati del premio alla carriera Jodie Foster.

Parla la ministra Marta Cartabia, intervistata dal Corriere del 10 luglio dopo il varo in Cdm della riforma della giustizia. Tra i molti giuristi interpellati per dire la loro, una sola donna, l’avvocata matrimonialista Anna Maria Bernardini de Pace, sentita dal Giornale e la ministra Maria Stella Gelmini sulla Stampa del 10 luglio.

Ma la settimana è monopolizzata dalla scomparsa di Raffaella Carrà. I giornali hanno dedicato alla showgirl tante pagine di apertura e quasi sempre il fotone di prima, ingaggiando le migliori firme disponibili per raccontarne le molte sfaccettature. “Raffa per sempre”, titola la Stampa; “Ciao Raffa, ragazza della tivù” scrive Repubblica; “La fidanzata d’Italia”, leggiamo sul Messaggero. Domani le ha dedicato un inserto di 32 pagine L’unico giornale controcorrente è Avvenire: il richiamo in prima quasi non si vede, una sola pagina interna e molto avanzata nel giornale della Cei, e all’indomani una semplice stringa per annunciare i funerali della donna di spettacolo. Qualcuno, invece, si è spinto oltre con “Carramba che Italia”, il titolo della Stampa all’indomani della vittoria della Nazionale sulla Spagna, unendo i due avvenimenti più popolari ed emozionanti delle ultime ore. E sul famoso ombelico di Raffa che a suo tempo scandalizzò il Vaticano, torna con una riflessione Nanni Delbecchi sul Fatto quotidiano: il “tuca tuca” e l’assalto di Benigni a Fantastico, oggi non sarebbero mai passati in tivù perché antitesi del politicamente corretto. Per l’Italia bigotta di quegli anni si trattò, invece, di una liberazione.

Donne e pallone L’altro grande evento è il Campionato Europeo di calcio, tante paginate sui giornali, tanto tifo, poche donne a scriverne sulla carta stampata, con pochissime eccezioni. Ma il caso ha voluto che, causa positività al Covid, abbia dovuto rinunciare alla finale Alberto Rimedio, cronista Rai che da 7 anni segue la Nazionale. Al suo posto Katia Serra, 48 anni, ex calciatrice e commentatrice televisiva, nessuno può dire che non sia un’esperta. Comunque la prima donna a commentare una finale dell’Italia. E a Wimbledon c’è a una donna “giudice di sedia”, Marija Cicak, 43 anni. Anche per il prestigioso torneo di tennis, è la prima arbitra di una finale del singolare maschile di Wimbledon.

Tempi social Ormai un mondo parallelo inseguito dalla carta stampata, tant’è che quasi tutti i giornali si sono occupati anche di un fatto assai marginale, la maleducazione dell’influencer Imen Jane, che, con l’aiuto di una collega, ha svillaneggiato una commessa a Palermo. Paginata anche sul Fatto che racconta la parabola di questa ragazza che millantò pure una laurea inesistente in Economia e che sta andando avanti a forza di gaffe. Ma ovviamente anche i social, che pure anticipano i fenomeni con antenne sensibili, hanno le loro gerarchie. Per cui questi giorni, a proposito del ddl Zan, tutti i giornali seguono, battuta per battuta, la lite fra Matteo Renzi e l’influencer Chiara Ferragni spalleggiata dal marito Fedez che sullo Zan si è sempre speso, a partire dagli eventi per il Primo maggio. Le ostilità sono partite su tutti i principali quotidiani lunedì 5 luglio con le interviste a pioggia dei parlamentari di Italia Viva favorevoli a una riformulazione degli articoli più controversi del Ddl. Sono seguite le reazioni di Ferragni, quella di Renzi che l’ha sfidata a pubblico dibattito… infine si è inserito pure Vittorio Sgarbi… La Stampa pubblica i nomi dei volti noti del web che più si sono spesi per il ddl Zan, contando anche i follower, decine di milioni, praticamente un partito politico di maggioranza. Spiega la professoressa Nicoletta Vittadini, docente di Sociologia della Comunicazione e dei media digitali alla Cattolica di Milano. «Il ddl Zan funziona bene sui social, è un tema adatto per la costruzione di una propria identità, con una dinamica polarizzata tipica del tifo, si è pro o contro e lo si esprime negli spazi pubblici di oggi». La politica e i giornali inseguono: tranne Avvenire che alla lite ha dedicato solo un box. Però da mesi il giornale cattolico ospita un dibattito serrato sulla questione e ci spiega in questi giorni anche la Ley trans spagnola, licenziata in questi giorni dalla ministra per l’Uguaglianza Irene Montero. Anche in Spagna dibattito molto teso e risultato da verificare in Parlamento. 

 

Lavorare meno Dell’Islanda si parla sempre poco, eppure dall’isola ricca di paesaggi spettacolari arrivano i risultati di un esperimento molto particolare, la settimana lavorativa di 4 giorni a stipendio invariato. Testata dal 2015 al 2019, ha dimostrato che la produttività è pure aumentata e il benessere neanche a dirlo. Certo si tratta di piccoli numeri, ma l’esperimento del governo guidato dalla leader di Sinistra- Verdi, Katrin Jakobsdòttir, meriterebbe una seria riflessione.

Il lavoro che fa male Un primario, Saverio Tateo, rimosso dal suo incarico insieme a un altro medico e l’ammissione che in quel reparto di Ostetricia e ginecologia “ci sono molte criticità”. Questi i primi risultati dell’inchiesta interna della Commissione dell’azienda sanitaria di Trento attivata dopo la scomparsa, nel marzo scorso, della dottoressa Sara Pedri, ginecologa  di 31 anni assunta nel novembre del 2020 in quel reparto e volatilizzata pochi giorni dopo essersi licenziata. I parenti e le colleghe temono si sia tolta la vita. Il caso, molto ben seguito dal Corriere della Sera, ha portato alla luce il disagio di una giovane donna in un contesto lavorativo sentito come ostile e discriminatorio. I suoi appunti ritrovati in casa parlano molto chiaro.  Da quel reparto, però, un buon numero di professionisti si è allontanato e l’ambiente, ora travolto dalla vicenda della ginecologa, era già al centro di decine di segnalazioni all’Azienda provinciale per i servizi sanitari e alla Provincia autonoma di Trento.      

Famiglie Il corpo di Saman Abbas non si trova. La ragazza pakistana che sarebbe stata uccisa secondo alcune testimonianze dai parenti perché non accettava un matrimonio combinato dai genitori, sembra scomparsa nel nulla e un po’ anche dai giornali. Ma come spesso succede, certe storie mettono radici da sole e aiutano altre donne a uscire dalla paura e dalla sottomissione: così l’8 luglio la Questura di Mantova ha dato notizia della denuncia di una ventenne tunisina che ha raccontato di vivere segregata, accusando madre e padre che vorrebbero riportarla in Tunisia contro la sua volontà. La polizia ha recuperato i suoi documenti, tenuti ben sotto chiave dai genitori (pratica odiosa, ma comune in questi contesti), e l’ha allontanata da casa, avviando anche le procedure per una misura di sicurezza nei confronti dei genitori come prevede il Codice rosso, visto che c’è già una precedente denuncia nei confronti del padre da parte di un’altra figlia.

E il Tribunale di Milano intanto ha condannato a 16 anni e mezzo di carcere un pregiudicato di 41 anni, Raffaele Chierchia, accusato di decine di episodi di vessazioni fisiche e psicologiche, minacce e lesioni nei confronti dell’ex compagna: lo leggiamo su Avvenire del 7 luglio. La pena è stata aumentata rispetto ai 13 anni e 10 mesi chiesti dall’accusa.
A Torino, in Corte d’ Assise, la drammatica testimonianza di Loris Pompa, 23 anni: sul banco degli imputati suo fratello Alex di 19 che alla fine di aprile del 2020 ha ucciso il padre Giuseppe per difendere la madre dall’ennesima aggressione. In aula sono stati ascoltati i file delle liti registrati dai fratelli per due anni perché, ha detto Loris ai giudici, se mio padre ci avesse ammazzati, almeno sarebbero rimaste le tracce.

A Milano la Procura chiude le indagini per due episodi di violenza sessuale di cui è accusato l’imprenditore Alberto Genovese, tuttora in carcere. Si attende di conoscere le decisioni del pubblico ministero.

In Sardegna c’è stata invece la prima udienza davanti al gup per Ciro Grillo e i suoi tre amici Vittorio Lauria, Francesco Corsiglia ed Edoardo Capitta, accusati di violenza di gruppo nei confronti di due ragazze conosciute in vacanza nel 2019. La giudice dell’udienza preliminare di Tempio Pausania, Caterina Interlandi, ha fissato la prossima udienza il 5 novembre, ma entro il 20 ottobre le parti le dovranno indicare, fra migliaia di file, quelli ritenuti essenziali,  in un mare di documenti, video, chat e messaggini. 

I costi della violenza Malgrado le molte parole spese, tira una sgradevole aria di negazionismo intorno all’argomento. E allora andiamo a leggere, su Alley Oop del Sole 24 ore, una ricerca dell’Eige, l’Istituto europeo per l’eguaglianza di genere che ci quantifica i costi della violenza nell’Ue: fanno 366 miliardi di euro. Il 79 per cento, ovvero 289 miliardi, riguarda le donne. Il rapporto intero sarà pubblicato in agosto, ma nel pezzo di Simona Rossitto ci sono già interessanti anticipazioni: il costo maggiore è quello derivante dall’impatto fisico ed emotivo (56 per cento) seguito dai servizi di giustizia (21 per cento) e dalla perdita di risultati economici (14 per cento). Altri costi possono includere i servizi di giustizia civile (per divorzi e affidamento dei figli) gli aiuti per le abitazioni e la protezione dei minori. Secondo Eige la violenza di genere è sottostimata e necessita di dati più accurati in ciascuno stato europeo. La raccolta dei dati è comunque un obbligo previsto dalla Convenzione di Istanbul, trattato che quest’anno compie 10 anni.

Anniversari Dieci anni sono trascorsi anche dall’approvazione della legge Golfo-Mosca che imponeva quote di genere nei consigli di amministrazione delle società quotate. Grazie ad essa, scrive Paola Profeta sul Sole 24 ore, la percentuale di donne nelle società quotate era il 7 per cento, ora sfiora il 40. Il centro Dondena dell’Università Bocconi ha realizzato uno studio sulla presenza femminile con dati che riguardano età e livello di istruzione della presenza femminile, effetti sui risultati aziendali, effetti sul mercato azionario. Anche se le leve del potere restano saldamente in mano agli uomini, la Golfo- Mosca è riuscita a innescare un processo di rinnovamento nelle gerontocrazie aziendali e un aumento del livello di istruzione. Non è cosa da poco.

Dal mondo Il Cile si prepara a voltare pagina: l’ Assemblea costituente di 155 membri, eletta a metà maggio, avrà il compito di scrivere un nuovo testo costituzionale che sostituirà quello entrato in vigore nel 1980, durante la dittatura di Augusto Pinochet.  I membri della Costituente sono per la maggior parte appartenenti a gruppi indipendenti o a movimenti e partiti di sinistra che hanno promosso le manifestazioni popolari svoltesi fra ottobre 2019 e marzo 2020. Ne fanno parte un numero uguale di uomini e donne, e per la prima volta nella storia cilena, alla redazione del testo costituzionale parteciperanno anche 17 membri delle popolazioni originarie del Paese, in particolare mapuche e aymara.  Con 96 voti è stata eletta presidente la mapuche Elisa Loncón, che ha salutato i cileni nella sua lingua originaria.  Aria nuova anche a Santiago del Cile, dove si è insediata la neosindaca Iracì Hassler Jacob, 30 anni, comunista e femminista. Ne scrivono il Giornale e il Fatto quotidiano.

Si torna invece indietro, purtroppo, in Afghanistan dove, mentre le ultime truppe americane si ritirano, è ripartita l’offensiva dei talebani, alla riconquista delle loro roccaforti e, secondo alcuni, probabilmente presto coinvolti nei meccanismi di governo, a meno che non si voglia un’altra guerra civile. Sul piano culturale, in due decenni per le donne non è cambiato molto: Giampaolo Cadalanu su Repubblica, spiega che due uomini afgani su tre, secondo un sondaggio condotto dalla ong Promundo un paio d’anni fa, si riconoscono nell’idea che le donne afgane abbiano troppi diritti. E con questo, aspettiamoci il peggio.

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