Donne, disabili, giornaliste e media nella spirale dell'odio digitale | Giulia
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Donne, disabili, giornaliste e media nella spirale dell'odio digitale

Siamo sempre più intolleranti: lo svela la settima Mappa realizzata da Vox Osservatorio sui diritti che monitora l'odio su twitter, a cui ha collaborato GiULiA

Donne, disabili, giornaliste e media nella spirale dell'odio digitale
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Paola Rizzi Modifica articolo

23 Gennaio 2023 - 22.25


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Di male in peggio: la settima edizione della mappa dell’Intolleranza realizzata da Vox Osservatorio diritti con le università di Bari e di Milano, monitorando dieci mesi di conversazioni su twitter certifica per il secondo anno di fila l’aumento esponenziale dell’odio circolante sul social network e conferma un dato ormai consolidato: le donne restano il bersaglio prediletto degli hater, con la non trascurabile differenza, rispetto agli altri gruppi esaminati (ebrei, Lgbt+, migranti, islamici, persone con disabilità) che difficilmente possono essere considerate una minoranza, un sottoinsieme. A rendere il quadro ancora più amaro l’analisi cronologica delle conversazioni che segnalano una coincidenza tra i picchi di odio misogino sul social network e i casi di femminicidio, spia dell’osmosi sempre più pervasiva tra online e offline.

 Al secondo posto della classifica dell’odio nel 2022 si collocano le persone con disabilità e al terzo gli omosessuali, due novità, che scavalcano xenofobia e islamofobia di solito ai primi posti. Nel caso della disabilità i dati si spiegano con l’imbarbarimento del linguaggio, che diffonde l’uso di epiteti riferiti allo stigma (mongoloide, handicappato) al di fuori del contesto, ma anche un aumento del bullismo.  Rispetto al 2021, nel 2022 si twitta un po’ meno ma si odia di più: i contenuti negativi erano il 69% nel 2021, nel 2022  sono il 93%. Pandemia, crisi economica, guerra, non hanno certo contribuito a calmare gli animi nemmeno nello spazio pubblico digitale.

Anche nel 2022  GiULIa giornaliste ha realizzato con Vox  un focus specifico sul mondo dell’informazione, monitorando 45 profili di giornaliste e giornalisti e 12 testate. Non era scontato che il tasso di commenti negativi fosse percentualmente più alto (87%) per le testate rispetto a quello dei giornalisti, segno ulteriore, se ce ne fosse bisogno, che la polarizzazione e la radicalizzazione del dibattito non lascia indenne il mondo dei media, apparentemente sempre più al traino del modello di business dei social e sempre meno capaci di orientare secondo paradigmi più equilibrati il dibattito pubblico. Moderazione è la parola magica che ancora manca all’interno del business model dei media che navigano a vista all’interno dello spazio digitale. A questo quadro generale si aggiunge poi l’elemento misoginia che non risparmia le giornaliste, anzi: i profili degli uomini raccolgono il 77% di menzioni negative ma le donne un po’ di più, l’82%.  E non stupisce che il profilo a generare più commenti negativi in numeri assoluti tra uomini e donne sia quello di una donna,  Selvaggia Lucarelli, mentre in termini percentuali, tra le donne sia l’inviata di Rainews sul fronte caldo dell’immigrazione Angela Caponnetto.  Anche in questa analisi mirata iI dato allarmante è il boom della quantità di odio: giornalisti e giornaliste insieme raccolgono il 78,42 % di menzioni negative. Una crescita impressionante rispetto al 57% del precedente monitoraggio confrontabile, quello del 2020. E dire che allora eravamo nell’anno horribilis della pandemia.  

Se questa è la fotografia, proiettarsi nel futuro presenta molte incognite, come è emerso nel corso del convegno alla Statale di Milano in cui i dati sono stati presentati da Silvia Brena, co-fondatrice di Vox assieme alla vicerettrice della Statale Marilisa D’Amico. E’ ormai assodato che l’algoritmo delle piattaforme condiziona la negatività dei messaggi, che fanno premio rispetto ai contenuti positivi in termini di traffico. Non è probabilmente un caso che l’ultimo rapporto della Commissione europea denunci come i social network siano assai meno efficaci che in passato nel bloccare la diffusione e la viralizzazione dell’odio: nel 2022 solo il 64,4% delle segnalazioni complessive sarebbero state gestite in 24 ore, contro l’81% dell’anno precedente. La maglia nera spetta a Twitter, in grado di rimuovere soltanto il 45,4% dei contenuti d’odio e di gestire solo il 49,8% delle segnalazioni nelle 24 ore dalla ricezione. Viene da pensare che più aumentano le difficoltà finanziarie delle piattaforme, più l’impegno nel contrasto all’odio va a farsi benedire. Ma può andare peggio: «Twitter è cambiato, allargandosi  alle verità alternative -ha spiegato Giovanni Ziccardi, docente di informatica giuridica- e con la gestione di Elon Musk sta cambiando ancora. Non solo, nel futuro ci dobbiamo aspettare centrali dell’odio gestite automaticamente dall’Intelligenza Artificiale, senza avere più persone responsabili e individuabili. Ci sono già crimini d’odio creati dalle macchine».

Di fronti a scenari apocalittici gli strumenti giuridici servono, ma non bastano. E quando si ha a che fare con il linguaggio resta fondamentale la battaglia culturale. Una questione di democrazia, come ha sottolineato la presidente di GiULiA Silvia Garambois, quella di combattere le “parole cattive” che inquinano la comunicazione giornalistica e social, che non può essere affidata ad algoritmi censori o bavagli: «Il compito del giornalismo non è per nulla superato dall’algoritmo delle piattaforme, ma al contrario diventa sempre più indispensabile per contrastare fake news, stereotipi e violenza del linguaggio con un uso davvero responsabile e consapevole delle parole». QUI SI PUO’ SCARICARE IL RAPPORTO

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