Rassegna sui generis: la settimana di notizie sulle donne (dal 2 al 7 ottobre 2023) | Giulia
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Rassegna sui generis: la settimana di notizie sulle donne (dal 2 al 7 ottobre 2023)

Una settimana di notizie sui nostri media: come e quanto si parla di donne? E quante sono le donne a scrivere del mondo. GiULiA prosegue con il suo osservatorio sui giornali in ottica di genere.

Rassegna sui generis: la settimana di notizie sulle donne (dal 2 al 7 ottobre 2023)
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Paola Rizzi Modifica articolo

8 Ottobre 2023 - 10.46


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Il Corriere della Sera, La Repubblica, La Stampa, Il Giornale, Il Messaggero, Avvenire, Domani, Il Fatto quotidiano, Il Sole 24 ore, Il Manifesto, Libero, La Verità, QN, La Gazzetta dello Sport, Tuttosport e uno sguardo al web

Settimana dal 2 al 7 ottobre
Firme in prima pagina: 800 uomini, 234 donne
Editoriali e commenti in prima pagina: 160 uomini e 32 donne
Interviste:  201 uomini e 52 donne

Partiamo da una buona notizia: c’è una nuova direttrice di quotidiani. Stefania Aloia va al comando del Secolo XIX del gruppo Gedi portando così a quattro le direttrici di quotidiani italiani su circa una sessantina. Le altre sono Agnese Pini del Qn, Resto del Carlino, Nazione e il Giorno, Nunzia Vallini del Giornale di Brescia e Annamaria Ferretti dell’Edicola del Sud. Se ne va invece Massimo Giannini dalla Stampa che negli anni della sua direzione, come abbiamo constatato anche con i numeri, è diventato, tra i principali quotidiani, quello con la più alta percentuale di firme e voci femminili. Vedremo se il suo successore Andrea Malaguti proseguirà sulla stessa linea.

Donne, Nobel, Libertà

E’ il titolo della Stampa per l’assegnazione del Nobel per la Pace alla dissidente iraniana Narges Mohammadi (in alto nell’illustrazione pubblicata sull’account twitter del Nobel Prize), 52 anni, due figli 16enni che non vede da anni, da 15 anni in carcere con brevi interruzioni, condannata a 31 anni di galera e a 154 frustate. Ingegnera, giornalista, attivista, è un personaggio straordinario, simbolo della incredibile forza delle donne iraniane,  raccontata da tutti i giornali. Un Nobel che, come dice Riccardo Noury di Amnesty International intervistato dal Domani, si allarga a tutte le donne iraniane, proprio nella settimana in cui occupa le cronache un’altra vittima del regime: Armita Geravand, sedicenne in coma dopo essere stata picchiata perché non portava il velo. Su Avvenire l’ alpinista iraniana Nadia Esqui, premiata al Grand’ Prix Italia, denuncia che «quando arrivano notizie come  quelle di Armita è già troppo tardi. Questo regime estremista iraniano e anche islamico arriva anche in Europa… attraverso il mercato del petrolio. L’Europa deve tagliare i rapporti con le compagnie iraniane». Una richiesta ricorrente della diaspora iraniana. Da destra è l’ennesima occasione per prendersela con le “femministe”. Il Giornale  infatti titola  “Nobel per la pace a Mohammadi. Lezione per tutte le femministe”, Valeria Braghieri intende che qui in Occidente si combatte per cose come gli asterischi o le professioni declinate al femminile, mentre in Iran si rischia la vita.

Nei commenti si associa spesso la battaglia delle donne iraniane a quella delle donne afgane, dimenticate. Lo dice Antonella Mariani su Avvenire affermando che questo Nobel deve accendere i riflettori anche «sulle prigioni di ferro e di stoffa» che ingabbiano le vicine afgane. Ma per Pino Arlacchi su quelle violazioni dei diritti umani a Kabul si può sorvolare. Direttore del Programma antidroga dell’ ONU, Arlacchi sul Fatto invita il mondo a trattare con i talebani che secondo lui hanno smentito le previsioni del mondo, intanto distruggendo l’Isis e quindi salvandoci dalle minacce del terrorismo islamico e stroncando poi in buona parte le coltivazioni di oppio. «Ho già incontrato 25 anni fa l’obiezione che non si può trattare con i talebani per via della loro estrema misoginia, ma l’ho superata andando alle radici psico-politiche della loro paranoia che in realtà è una posture, una messinscena originata dalla spinta a provocare per poi trattare».

Di un’altra Nobel per la pace detenuta si parla sul Corriere in un’intervista a Kim Aris, figlio di Aung San Suu Kyi, in isolamento in carcere dal golpe del 2021: sta molto male ed è stata dimenticata da tutti. Della Birmania in effetti non si parla più.

Altre due donne di sono aggiudicate il Nobel questa settimana, Anne L’Huillier  per la fisica e per la medicina Katalin Karikò. Scappata dall’Ungheria prima della caduta del muro con i soldi nascosti nell’orsetto della figlia, Karikò non è mai riuscita ad inserirsi nell’establishment della ricerca Usa, sempre precaria, ma lo stesso i suoi studi sull’Rna messaggero le hanno consentito di arrivare in tempi rapidissimi al vaccino contro il Covid e al Nobel insieme a Drew Waissman. Come riporta Qn, il suo consiglio alle donne è semplice: «Non dovete scegliere fra la carriera e i figli ma trovare l’uomo giusto che tiene ai vostri sogni e appoggia le vostre decisioni». Tra l’altro sua figlia, di cui è orgogliosissima è Susan Francia, oro olimpico di canottaggio, intervistata da Marco Letizia sul Corriere.it

Susan Francia e la madre Katalin Karikò in una foto su Instagram

Il premio è un’occasione per riflettere sui freni che bloccano la carriera delle ricercatrici. Raffaella Rumiati, neuroscienziata, su Avvenire ricorda che in Italia le studentesse in biologia e medicina hanno superato numericamente i maschi. Ma in generale la percentuale delle studentesse Stem è ancora inferiore al 30 % e anche le docenti sono poco rappresentate. Eppure le ragazze ottengono voti di laurea migliori e il loro corso di studi risulta più regolare. Cosa frena le ragazze? «Gli stereotipi che restituiscono loro un’intrinseca inadeguatezza per questo tipo di studi e la mancanza di modelli femminili di riferimento. lo spreco di talento femminile è evidente». Proprio in questi giorni l’Istat certifica che le donne sono più istruite: il 35,5% ha la laurea contro il 23,1% degli uomini, che però sono occupati all’87,9% mentre le donne solo l’80%.

Caso toghe rosse e rosa

Il caso della settimana ha riguardato la giudice Iolanda Apostolico, finita nel mirino della destra per una sentenza che ha ritenuto inapplicabile il decreto Cutro nel caso di tre tunisini. Negli stessi giorni una sentenza analoga è stata emessa da un giudice di Firenze, un uomo, su cui l’ira del Governo è sembrata meno contundente. A far esplodere il tutto un video che il ministro delle Infrastrutture Salvini ha rilanciato sui social in cui si vede la giudice ad una manifestazione a Catania nel 2018 per la Diciotti, la nave a cui l’allora ministro degli Interni, sempre Salvini, impedì per giorni di far scendere un gruppo di migranti. Due i punti della discussione: se un magistrato possa partecipare a manifestazioni politiche e da dove salta fuori quel video dopo 5 anni, di cui nessuno rivendica la paternità, a cominciare dalla Questura di Catania. Poi si è scoperto che era di un carabiniere che lo ha messo in una chat di commilitoni. Forse. Non riprendiamo tutto il dibattito, dal nostro punto di vista ci interessa capire se, come ha adombrato dalla capogruppo di Alleanza Verdi e Sinistra alla Camera  Luana Zanella ci possa essere «un accanimento dal sapore misogino». Difficile non ricordare come a suo tempo la Bestia, in questa settimana ribattezzata da Stefano Cappellini su Repubblica la bestiolina, ovvero lo staff di comunicazione di Salvini, si fosse particolarmente accanito con l’uso di immagini sui social contro la capitana Carola Rackete. Con una strategia sempre simile: denigrare e delegittimate la persona.

Gender gap

Sul fronte della rappresentanza di genere in questa settimana ci sono buone e cattive notizie. Un colpo d’occhio non proprio incoraggiante è quello della sovracopertina della Stampa dedicata al summit delle Regioni a Torino dove ci sono tutte le fotine dei presidenti: 19 maschi e 1 donna, Donatella Tesei in Umbria.

 Continuando invece con le buone notizie si è aperto il Sinodo dove oltre ad avere sul tavolo molte questioni cruciali come la benedizione delle coppie omosessuali, la comunione ai divorziati, il diaconato femminile, uno dei temi è proprio l’ingresso delle donne nella stanza dei bottoni della Chiesa: tra i 464 delegati ci sono 85 donne. Tra i 365 aventi diritto al voto, per la prima volta votano le donne, 54. La questione è molto discussa da Avvenire, naturalmente, mentre passa sotto traccia sugli altri giornali. Tra i vari interventi del giornale della Cei scegliamo quello della teologa peruviana di origine tedesca Birgit Weiler, consulente del consiglio episcopale sudamericano intervistata da Lucia Capuzzi. Secondo Weiler «dal vero protagonismo femminile passa il sogno di una chiesa più fedele al Vangelo. Gesù in un’ epoca in cui le donne erano considerate di serie B le ha incluse come discepole e ne ha valorizzato il contributo specifico».

Promossa dai giornali anche la nuova direzione impressa da Annalena Benini al Salone del libro di Torino. Dopo qualche malumore ad inizio settimana, perché ha liquidato i precedenti consulenti di Nicola Lagioia con una mail, “manco una telefonata” si è letto qua e là, la presentazione della sua squadra è stata salutata come una rivoluzione, che prefigura un salone “Giovane e leggero”, come ha titolato  la Repubblica. Il team di Benini è a prevalenza femminile. Su sette sezioni 4 affidate a donne: Teresa Cremisi presidente di Adelphi, Melania Mazzucco, Erin Doom, Luciana Littizzetto. A coordinare il tutto, concepito come una Salone-giornale,  una redazione tutta di donne.

Sul tema “no women no panel” si esercita Libero in un pezzo di Francesco Specchia che commenta il protocollo firmato dalla università di Lecce con la Rai per “Senza donne non se ne parla”. Il tono è irridente: «Perché non obbligare ad una quota non solo rosa ma applicabile per legge a tutte le minoranze? Chessò: gli ebrei ortodossi, i logopedisti, i nani, i giocatori di curling….i sardi. Immaginate no sardi no panel». Va beh, a parte tutto il resto, in questi ragionamenti si tende sempre a dimenticare che le donne non sono minoranza, ma maggioranza.

Siamo ancora lontanissimi invece per quello che riguarda lo sport. Su Domani Aligi Pontani mette il dito nella piaga: il titolo “Il geronto-Coni di maschi over 60” la dice lunga su chi sono i capi di federazioni, gruppi, istituzioni sportive. Lo sport è il settore più conservatore della società italiana: età media dei presidenti delle federazioni: 64,7 anni. Nessuno è sotto i 50 anni. Frequenti presenze di ultrasettantenni e ultraottantenni ai quali un codicillo di recentissima approvazione consente la rielezione a vita e non, come prima era previsto, per un massimo di tre mandati.  Un potere ferocemente maschile. Alla guida delle federazioni ci sono solo 2 donne ( cinquantenni, le più giovani)contro 48 uomini.In questo quadro assurdo si salva Malagò, 64 anni, alla guida del Coni da 3 mandati (lui non più rieleggibile perché il codicillo non riguarda gli enti pubblici) che ha scelto due donne come vicepresidenti. E che sottolinea sempre la grande crescita dello sport femminile. Che però resta saldamente in mano a un mucchio di uomini anziani.

Zero tituli

Del resto questo oscuramento delle donne nello sport è perfettamente rispecchiato sui giornali. Togliamoci subito il pensiero: era impossibile non parlare della resurrezione di Simone Biles e della sua impresa con un  volteggio mai realizzato prima da una donna, così il Giornale può titolare “Biles e le donne che inseguono gli uomini”. L’altro tema è Paola Egonu che torna a giocare in Italia con il Vero volley Milano. Curioso che alcuni giornali ne parlino fuori dalle pagine di sport. Poi qualche breve qua e là ma per il resto zero, zero assoluto per diversi giorni anche sulla Gazzetta dello sport e Tuttosport, per non parlare delle sezioni sportive dei giornali generalisti.

Fuori dalle pagine dello sport abbiamo trovato un’intervista all’ex atleta paralimpica, senatrice e molte altre cose Giusy Versace: in ospedale per problemi ad un moncone, ne avrà per un po’. Tra le mille domande di Elvira Serra sul Corriere c’è quella classica: «Perché non si sposa col suo fidanzato?». Boh.

Nonostante sia fuori dai giorni esaminati dal nostro osservatorio visto il clamore segnaliamo anche il caso del mancato saluto dell’arbitro Juan Luca Sacchi alla guardalinee Francesca Di Monte prima dell’ingresso in campo di Lecce-Sassuolo. Una vicenda scoppiata in seguito alla diffusione sui social, ripreso da tutti i siti dei giornali, di un video in cui si vede l’assistente di gara tendere la mano e l’arbitro che la evita per stringere quella del capitano del Lecce Gabriel Strafezza. Lui si è difeso dicendo che si è trattato di una distrazione e della fretta di salutare subito Strafezza, l’Associazione Italiana Arbitri nega qualsiasi sessismo. La stessa Di Monte, stando a quello che riporta il Corriere, lo difende. In ogni caso l’arbitro ha ricevuto una giornata di sospensione e una lavata di capo dal designatore.

Sempre sul Corriere Mara Gergolet da Berlino racconta il caso del calciatore Jerome Boateng che nonostante un processo per violenze in famiglia è stato ripreso dal Bayern Monaco. Accusato dalla compagna di averla picchiata e morsa, per due volte è stato condannato ma ora per un errore procedurale è in corso un terzo processo. Il Bayern lo aveva allontanato all’inizio della vicenda giudiziaria, ufficialmente per ragioni sportive, ora è rimasto senza difensori e a mercato chiuso se lo è ripreso. Spiegando che l’approccio è solo sportivo e le questioni private «non sono un problema»

Violenza di genere

Anche qui dati. Nel corso del 2022 sono aumentati del 27 per cento rispetto al 2021 i casi di violenza sessuale e del 13 per cento quelli di violenza sessuale aggravata. Per questi ultimi il dato sul decennio 2012-2022 è addirittura del +65 per cento, racconta il Fatto quotidiano riportando i dati del Servizio analisi e criminalità della polizia di stato. Negli stupri di gruppo gli autori sono spesso minori o giovani adulti, vedi Palermo e Caivano. Questi aumenti così sensibili possono però anche significare che le vittime denunciano di più. Nell’arco di dieci anni sono aumentati del 200 per cento le detenzioni di materiale pornografico sul web relativo a minori, nel 71 per cento dei casi riguardano ragazzine. Sempre il Fatto pubblica un reportage della vicedirettrice Maddalena Oliva sul Centro Carità di Locri che ospita dal 2021 donne e minori vittime di violenza. Fino a oggi 59 i casi da Codice rosso, 1 su 2 da famiglie di ‘ndrangheta. Terribile la storia di M., 79 anni che si è rifugiata in questo centro dopo anni di abusi che l’hanno resa sorda per gli schiaffi ricevuti. La donna è stata picchiata prima dal marito, poi dal figlio, poi dal nipote.

Solo la Repubblica ha fatto un resoconto dettagliato dell’incidente probatorio nel quale è stata ascoltata la vittima dello stupro di gruppo di Palermo: collegata in una sala separata la ragazza ha raccontato il suo incubo mentre in corte d’Assise erano seduti i sei ragazzi accusati. Uno si è messo a ridere. Bloccato dalla presidente. I difensori hanno cominciato a controinterrogare sul passato della vittima che si è ribellata, mentre sia la procuratrice che la presidente sono intervenute dichiarando la non ammissibilità di incursioni nella vita privata. Gli avvocati hanno insistito. La giudice li ha silenziati. E’ sempre vittimizzazione secondaria giudiziaria, as usual, ma ora forse si intravedono gli anticorpi.

Sulla Stampa Monica Serra racconta di una condanna per stupro a 4 anni di un bocconiano accusato da una universitaria che si è svegliata mentre il ragazzo, che lei non conosceva, le stava addosso. Il tutto è avvenuto a Brera a casa della figlia di Urbano Cairo dove erano andati a finire serata in sei. La rampolla Cairo, che ha detto di non aver visto niente, ha difeso il ragazzo. Ma il tribunale la pensa diversamente.  Sempre sulla Stampa Assia Neumann Dayan racconta invece la storia di una bambina di 11 anni violentata da un vicino di 27 a Busto Arsizio. La cosa si è scoperta perché dopo 4 mesi la bambina stava male: era incinta. La Neumann Dayan contesta che la gravidanza sia stata portata avanti e la piccola fatta partorire con un cesareo, perché oltre i 90 giorni. Lo stupratore è stato condannato a 10 anni.


Diritti riproduttivi

In un’ inchiesta su Domani sostenuta dai lettori Eleonora Voltolina affronta il tema della denatalità, tracciando un quadro piuttosto pessimistico sul futuro italiano. Nemmeno gli immigrati ci salveranno: le donne straniere che vivono in Italia non fanno più tanti figli: in 13 anni la fecondità delle donne immigrate e scesa da una media di 2,53 figli a 1,87.Poi c’è il caso Sardegna, dove la già bassa natalità italiana ( 1,24 contro ad esempio il 2 della Francia) scende a 0,99. Vari i fattori, in testa la mancanza di fiducia e prospettive di lavoro che in un ambito di forte autodeterminazione, da sempre caratteristica delle donne sarde, finisce per limitare moltissimo le nascite. Sempre Domani racconta che la procreazione assistita in Italia è cresciuta del 73 per cento dal 2012 al 2022. Nel 2012 i nuovi nati erano 535.480 mentre nel 2022 sono stati 393.997. L’ età media delle mamme è aumentata: il primo figlio arriva in genere dopo i 32 anni.
E sulla denatalità non c’entra nulla nemmeno l’aborto. Lo dicono i dati diffusi dal Ministro della Salute Schillaci: dal 2005 si sono dimezzati, nel 2021 sono stati 63mila, il 48% con pillola abortiva. crescono i non obiettori: 36,6 contro il 35,4 dell’anno prima.

Donne, politica e pop

Proprio dalla battaglia per la difesa del diritto, negato, all’aborto, portato avanti dalle donne polacche, è nato quel movimento che a inizio settimana ha portato in piazza a Varsavia un milione di polacchi sotto il simbolo del cuore per sostenere l’opposizione guidata da Donald Tusk, ex presidente del Consiglio europeo, in vista delle elezioni. Non a caso la Repubblica ha titolato “La rivoluzione delle donne“.

La Repubblica racconta anche delle ambizioni politiche della duchessa di Sussex Meghan Markle che vorrebbe candidarsi per i democratici in un seggio del senato liberatosi per la morte della senatrice in carica. Tra i suoi sponsor la guru del femminismo Gloria Steinem e la conduttrice televisiva Oprah Winfrey. Un’ipotesi improbabile ma non impossibile dal momento che si tratta di un seggio a scadenza rapida, un anno, e non molti ambiscono mentre per lei potrebbe essere un trampolino.

Taylor Swift in un’immagine sul suo profilo Instagram

Finiamo in leggerezza: diversi giornali, riprendendo i media Usa, senza citarli, raccontano come sulle elezioni presidenziali incomba anche l’effetto Taylor Swift. La star capace di fare aumentare il pil nelle aree dove si esibisce e di provocare una scossa di terremoto di 2,3 gradi al suo concerto a Seattle, potrebbe terremotare la scena politica: per anni non si è sbilanciata, ora, dopo aver sostenuto Biden del 2020 e apertamente schierata su posizioni pro diritti, è molto temuta dai repubblicani. La prova?  Con un solo post su Instagram ha convinto 35mila giovani a iscriversi alle liste elettorali.

Questa rassegna stampa è frutto del lavoro di squadra di  Caterina Caparello, Gegia Celotti, Barbara Consarino, Laura Fasano, Paola Rizzi, Luisella Seveso e Maria Luisa Villa

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