Una breve considerazione letta in rete (di una donna che stimo molto) sul desiderio sessuale degli uomini nei confronti delle ‘donne-icona’ dello spettacolo, ha scatenato l’ennesimo pindarico processo mentale sulla brama di potere dell’uomo sulla donna. Potere di giurisdizione, di controllo e gestione, dimostrando, di nuovo, che il sesso e l’economia sono il più efficace binomio della contemporaneità.
Se un uomo, come si sottolineava nel post, guardando un donna in tv, una delle cosiddette ‘donne-cornice’, pur non vedendo in lei nulla di più di un oggetto sessuale, ne diventa quasi devoto, comprova che il messaggio di chi ha teorizzato di porre al centro delle strategie di marketing la donna, trasformata in oggetto efficace di fidelizzazione del cliente, ha ottenuto il risultato desiderato. Piccoli messaggi inconsciamente trasmessi a cervelli assuefatti al sesso e alla sua strumentalizzazione, trasformano la donna, nel preciso momento della visione, nell’oggetto del desiderio, desiderio che determina una serie di conseguenze sulla quale vale la pena riflettere.
Per prima cosa, per rispetto alla dignità della persona, non è detto che l’atteggiamento della ‘donna-ornamentale’ corrisponda a un vero svuotamento dell’essere, piuttosto dovremmo riflettere sui giochi sporchi del sistema che hanno indotto o ridotto (a seconda dell’interpretazione) la donna ad accettare una posizione subordinata.
La donna-cornice, sin dal suo esordio televisivo, ha avuto delle caratteristiche standard: il modello femminile, che potremmo definire ‘Drive in’, si è poi cristallizzato e fossilizzato nei decenni a seguire, riproponendosi in vesti simili in moltissime produzioni, in cui, appunto, l’uomo, posto al centro della conduzione, necessitava, di un quadro che fosse più che gradevole, in modo da attirare più spettatori possibile.
Da ciò deriva una seconda considerazione: le donne-ornamento hanno generato un aumento vertiginoso del ricorso alla chirurgia estetica? Data l’imitazione pedissequa dei modelli proposti, si può ritenere che possano essere state una plausibile concausa della diffusa ‘plastificazione’ del corpo femminile, che se da un lato ha svilito la dignità della donna, dall’altro ha prodotto notevoli guadagni agli sciacalli della chirurgia. Il modello donna-silicone, nonostante le battaglie in favore dell’espressione vera dell’io della donna, dimostra però, di non perdere mercato. Dipenda dalla malata considerazione dell’uomo-proprietario che giudica la donna-oggetto silente, a totale disposizione del padrone e oggetto di status di potere o semplicemente dal fatto che un corpo sessuale non passi inosservato, sta di fatto che la sua presenza perdura nei format televisivi senza incappare in cali di ascolto.
La strategia comunicativa maschilista ha largamente dimostrato il nesso sesso-potere, lo ha esaltato e proposto, addirittura, come modello vincente e modulabile in base al panorama in cui deve realizzarsi. Il ‘sesso da potente’, negli ultimi decenni ha, inoltre, dimostrato l’abissale squilibrio nei ruoli giocati da donna e uomo sul piano della morale pubblica. Il sesso sfruttato e mercificato da un uomo, svilito ai più arcaici istinti bestiali, ha prodotto paradossalmente un’immagine vincente e di dominio, mentre lo sfruttamento del corpo da parte di una donna, che comprenda le regole dell’unico gioco in cui il maschilismo la veda partecipe, si traduce in mera e semplice prostituzione, a dimostrazione della diffusa subalternità del corpo femminile a quello maschile.
Se il modello maschile ‘Drive in’ ha saputo poi riciclarsi nel tempo, facendo sì che il comico diventasse, per esempio, autore e letterato, quello femminile ha seguito lo schema sopracitato, somigliando a un bozzetto sbiadito, un’immagine solo invecchiata, simbolo della decadenza di un corpo che ormai non serve più, che mostra il vuoto dell’anima: una donna di plastica, una bambola démodé.
Avendo volutamente provocato, giungiamo all’ultima considerazione: a parità di capacità eclettica di abbracciare l’arte nelle sue varie branche, quale sarebbe la credibilità offerta a una donna-cornice? Quale rispetto le sarebbe concesso in una veste rinnovata, più aulica e cervellotica? Sono certa di poter rispondere: nessuno! Perché il marchio inciso sul prodotto ‘donna-plastica’ riporta la dicitura ‘non riciclabile’ e, malgrado l’opinione pubblica accusi le isteriche femministe di odiare le donne dello spettacolo, si è consapevoli che il mattatore di questo sistema denigrante e offensivo sia stato esclusivamente il maschilismo economico che, in un gioco perverso ha convinto le donne che plastificarsi significasse investire su se stesse, producendo un prodotto di mercato senza alcuna falla o difetto, vendibile ad aeternum.
Ma l’inganno esiste, come in ogni riuscita strategia di mercato, non si può fermare la caducità del tempo. Il prodotto, invecchiato e non riciclabile, sarà dismesso, lasciando il posto alle innovazioni materializzanti di una nuova generazione.
Alcuni, però, propongono una visione al rovescio:suppongono che i produttori televisivi considerino oggetto dell’inganno l’uomo, giudicato tanto gretto al punto di offrire a lui la cornice e alla donna, elevata a spettatore-cerebrale, il contenuto proposto dal programma. In qualità di osservatrici dei media, riteniamo tale teoria fantascientifica e, in ogni caso, seppur vera, non possiamo accettarla come plausibile giustificazione. Come accade per la pubblicità, ricordiamoci sempre che sta a noi scegliere. Se la televisione ci oscura, facciamo di più: oscuriamo la televisione.