Infantilizzazione, paternalismo, contatto fisico: è tutto quello che non va nella reazione dell’ex presidente del consiglio Romano Prodi nei confronti di una giornalista di Mediaset, Lavinia Orefici che il 22 marzo gli ha rivolto una domanda non gradita. Molta discussione si è fatta sulla natura provocatoria della domanda e sulla legittimità di una reazione stizzita di Prodi. Ma infatti non è questo il punto di interesse, almeno per chi si occupa di media in generale e di questioni di genere in particolare: tutti i giorni i giornalisti e le giornaliste fanno domande sgradite o anche contestabili e tutti i giorni gli interpellati anche a buon diritto si arrabbiano e magari li mandano a quel paese.
Con dei limiti, però. Nel caso in discussione, semplicemente, è utile applicare il doppio standard: se la giornalista fosse stata un giornalista il professore l’avrebbe trattato come un bambino, gli avrebbe tirato i capelli, avrebbe usato il gne gne? Tutto è possibile ma l’esperienza e la fredda cronaca ci spingono a ritenere di no, in quel caso sarebbero scattate altre modalità, non necessariamente migliori, ma “diverse”. In queste ore stiamo parlando di un esponente di primo piano di Fratelli d’Italia che ha pesantemente insultato un giornalista sgradito. Un comportamento decisamente censurabile, grave, ma appunto diverso. Ed è su questo che, forse, ha senso interrogarsi e spendere due parole. Perché questa diversità ha una connessione stretta con il genere della giornalista, ancora vissuto come un elemento di discredito, che questa volta si è espresso nella forma del dileggio e dell’infantilizzazione. Una cosa data talmente per scontata che non è nemmeno stata riconosciuta dall’autore, che fino ad oggi non si è scusato, al punto che abbiamo avuto bisogno della moviola per vedere tutti che qualcosa era andato storto. Ne avremmo volentieri fatto a meno. Non è il caso di farla troppo lunga, ci sono cose più importanti, il mondo crolla ecc, ecc, non siamo di fronte ad un crimine, ma ad una postura maschilista che evidentemente non fa distinzioni tra destra e sinistra (vi ricordate “Concitina” rivolto da La Russa all’allora direttrice dell’Unità Concita De Gregorio?). E semplicemente non va bene.
Aggiornamento: Romano Prodi nel pomeriggio del 26 marzo ha rilasciato una dichiarazione in cui ammette l’errore: «Il gesto che ho compiuto – dice – appartiene ad una mia gestualità familiare. Mi sono reso conto, vedendo le riprese, di aver trasportato quasi meccanicamente quel gesto in un ambito diverso. Ho commesso un errore e di questo mi dispiaccio. Ma è evidente dalle immagini e dall’audio che non ho mai inteso aggredire, né tanto meno intimidire la giornalista. Questa vicenda mi offre l’occasione per una riflessione che forse è utile. Penso sia un diritto di ciascuno, non importa affatto quale ruolo abbia ricoperto nella vita, rivendicare la propria storia e la propria onorabilità e non accettare, come un destino inevitabile, la strumentalizzazione e persino la derisione dilaganti, anche grazie alla potenza della Rete. Come se un’intera vita non contasse, come se il futuro non esistesse».