Una tassazione preferenziale per le donne: è questa una delle prime proposte del Presidente del Consiglio Mario Monti per fare ripartire l’economia italiana, secondo criteri di rigore, crescita ed equità.
Nel discorso di presentazione del nuovo governo, il 16 novembre, il premier ha detto fra l’altro che “giovani e donne sono le due grandi risorse sprecate del Paese”. Ha poi indicato come questione indifferibile l’inserimento e la permanenza al lavoro delle donne, senza dimenticare la necessità di “conciliare le esigenze del lavoro e della famiglia, oltre che di sostegno alla natalità”.
Una simile attenzione all’universo femminile potrebbe suscitare a prima vista un facile consenso. Porre al centro del discorso pubblico l’inserimento e la permanenza delle donne nel mondo del lavoro e la necessità di conciliare le esigenze del lavoro e della famiglia, è degno di nota. Così come non si può non essere d’accordo sull’evidenza che le energie ed i talenti femminili sono generalmente trascurati, per non dire spesso del tutto ignorati, nel nostro Paese.
Meno condivisibile è l’utilizzo del termine “risorsa”, che come sottolinea Michela Marzano “rimanda al mondo delle cose”, in merito alle “donne” e ai “giovani”, membri della società a pari titolo degli “uomini”. La filosofa fa notare come Kant abbia operato una differenza essenziale fra il mondo delle cose, che hanno un prezzo, e il mondo degli esseri umani, che hanno una dignità, un valore. Parlare delle donne e dei giovani come di “risorse sprecate” potrebbe apparire solo un uso improprio del linguaggio. Non bisogna però dimenticare che, come insegna Hannah Arendt, “ogni volta che è in gioco il linguaggio, la situazione diventa politica”.
E’ necessario quindi riflettere sull’aspetto politico della proposta del presidente Monti per capire se si tratta di un’opportunità o di un rischio nel processo di affermazione dei diritti delle donne. Tale proposta potrebbe concretizzarsi, riprendendo un’idea avanzata quattro anni fa dagli economisti Alberto Alesina e Andrea Ichino, in una differenziazione fiscale sul reddito da lavoro fra donne ed uomini per favorire l’occupazione femminile.
Sul piano sociale ed economico c’è già chi, come Chiara Saraceno, l’ha definita inefficace per facilitare l’ingresso delle donne nel mondo del lavoro, ed ingiusta. Inefficace perché “non c’è abbassamento di aliquota che compensi una domanda bassa o nulla rivolta alle donne a bassa qualifica”. Ingiusta “perché rischia di rivelarsi una redistribuzione da famiglie a reddito basso a famiglie a reddito alto”.
Da un punto di vista politico, nel tenere conto delle analisi di sociologi ed economisti, ci si deve anche chiedere se una tale misura favorisca la pari dignità sociale e l’uguaglianza fra i sessi. Tassazione e rappresentanza sono un binomio inscindibile nella vita politica delle democrazie liberali, basti pensare al famoso principio “no taxation without representation”, consegnato alla storia dalla rivoluzione americana. Pagare le tasse, piaccia o no, è uno dei momenti fondanti dell’esercizio della cittadinanza, come sancito nel nostro ordinamento dall’articolo 53 della Costituzione. Non sembra superfluo ricordarlo a fronte di un elevato tasso d’evasione fiscale, e di un regime che colpisce più duramente il reddito da lavoro che la ricchezza prodotta da rendite patrimoniali.
Che cosa significa una tassazione preferenziale per le donne? In estrema sintesi, pagare meno tasse rispetto agli uomini. Le donne si battono da secoli per vedere riconosciuto il proprio ruolo, per vedere accrescere la propria rappresentanza nella vita politica.
In Italia, l’obiettivo è una piena attuazione dell’articolo 3 della Costituzione. Le donne italiane, per ottenere condizioni di effettiva parità, chiedono di più: più giustizia, più eguaglianza, più rispetto, più tutela. Non di meno. Meno tasse per le donne ricorda il “meno tasse per tutti” berlusconiano, tinto di rosa. Meno tasse, in particolare a parità di condizione sociale fra i cittadini dei due sessi, comporta prima o poi, come corollario inevitabile, meno diritti. Qualcuno può credere che sia questo ciò che vogliono le donne?