Giornaliste stuprate in piazza Tahrir | Giulia
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Giornaliste stuprate in piazza Tahrir

Chi dorme con un coltello sotto il cuscino, chi viene molestata da guardie del corpo, autisti, interpreti e funzionari governativi. [Luisa Betti]

Giornaliste stuprate in piazza Tahrir
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26 Novembre 2011 - 17.24


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Caroline Sinz, reporter della tv francese France 3, è stata aggredita e violentata al Cairo, in Piazza Tahrir durante la rivolta egiziana del 24 novembre scorso, mentre tentava di fare un reportage: “Stavamo filmando in via Mahamed Mahmoud – ha raccontato la giornalista nell’edizione serale del telegiornale di France 3 – quando io e il mio cameraman siamo stati assaliti da un gruppo di ragazzi e alcuni uomini che mi hanno picchiata strappandomi i vestiti”.

La giornalista francese è stata violentata per 45 minuti: “Ho pensato di morire”, ha detto concludendo il racconto della violenza pubblica subita. E ieri anche la giornalista egiziana-americana, Mona El Tahawy – che vive a New York e scrive per il Washington Post, il New York Times, l’International Herald Tribune – ha dichiarato di aver subito violenza fisica e sessuale da parte delle polizia dopo essere stata arrestata a piazza Tahrir e fermata per 12 ore nelle carceri del Cairo: “Dodici ore con i bastardi del ministero degli Interni e con i militari dell’Intelligence. Solo Dio sa cosa sarebbe accaduto se non avessi avuto la doppia cittadinanza”, ha scritto su Twitter descrivendo l’aggressione.

A seguito di questi fatti, Reporter sans frontières, ha invitato tutta la stampa internazionale a non inviare più giornaliste in Egitto: “E’ almeno la terza volta che una giornalista riferisce di essere stata aggredita sessualmente dall’inizio della rivoluzione egiziana. Le redazioni devono tenerne conto e smettere, in via temporanea, di inviare donne in Egitto – si legge in un comunicato di RsF – è triste dover dire questo, ma di fronte alla violenza di queste aggressioni, non ci sono altri rimedi”.

A febbraio un’altra giornalista americana, Lara Logan, reporter della CBS, era stata stuprata al Cairo, in piazza Tahrir durante i festeggiamenti per l’addio di Mubarak, da una folla di 200 egiziani che, dopo aver disperso la troupe, ha accerchiato, aggredito, picchiato e stuprato la donna per mezz’ora. La sua salvezza è stata la reazione di altre donne egiziane in piazza che sono intervenute chiamando soccorso.
Ma l’elenco non si ferma qui: chi si ricorda della giornalista colombiana Jineth Bedoya, che dopo 9 anni rivelò lo stupro di cui era stata vittima nel maggio del 2000 mentre indagava sui gruppi paramilitari di estrema destra per conto del giornale El Espectador di Bogotà? Bedoya fu rapita, legata, bendata e portata in un luogo sconosciuto nella Colombia centrale, dove fu selvaggiamente picchiata e stuprata da un gruppo di uomini. Ma le giornaliste vittime di stupro e di abusi sessuali, rimaste in silenzio per la vergogna, sono tantissime.

Il CPJ (Committee to Protect Journalist) ha raccolto testimonianze da parte di giornaliste vittime di violenze sessuali, fisiche, stupri collettivi, perquisizioni umilianti, ritorsioni sessuali per il lavoro svolto, in Medio Oriente, Asia Meridionale, Africa e America. La giornalista svedese Jenny Nordberg, in Pakistan nel 2007 per il ritorno di Benazir Bhutto, ha raccontato di essere stata separata dai colleghi e circondata da un gruppo di uomini da cui è stata violentata mentre era tra la folla a Karachi, e ha raccontato di non aver detto nulla sul momento né di aver denunciato la violenza, per la paura di “perdere l’occasione di lavori futuri”. Wattera Grace, della rivista Fraternité Matin in Costa d’Avorio, ha raccontato di funzionari che registrano il nome e il telefono prima di entrare alle conferenze stampa per poi usarle personalmente con minacce a sfondo sessuale. Kate Brooks, fotografa per il New Yorker e The Wall Street Journal, in Turchia ha detto che di essere stata “afferrata all’inguine da dietro” mentre fotografava un attacco suicida in Afghanistan.

Chi dorme con un coltello sotto il cuscino, chi viene molestata non solo da sconosciuti ma anche da guardie del corpo, autisti, interpreti e funzionari governativi, può rimanere in silenzio per anni nella paura di essere denigrata o addirittura spostata o licenziata dal proprio giornale: le giornaliste inviate in luoghi pericolosi rischiano quindi due volte più degli uomini, e per loro denunciare e fare informazione sulla violenza di genere non può essere un optional ma devono essere supportate e ascoltate, non censurate.

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