Onu: Italia vigilata speciale. Tratta male le donne | Giulia
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Onu: Italia vigilata speciale. Tratta male le donne

'Per l''Onu la condizione femminile è indice dello stato di avanzamento o arretramento di un paese. E l’Italia che tratta le donne è un paese sull’orlo della barbarie.[Luisa Betti]'

Onu: Italia vigilata speciale. Tratta male le donne
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21 Gennaio 2012 - 23.18


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In Italia le donne non hanno un giorno di tregua. Casi di violenza, e soprattutto aggressioni, tentati omicidi e femmicidi che si svolgono tra le mura domestiche, tappezzano le pagine di cronaca come se fossero le giornaliere previsioni del tempo, una routine.
Poche sere fa, in tarda serata, un ragazzino di 13 anni, a via Pinturicchio, a Roma, è corso sotto shock in strada per cercare l’aiuto dei carabinieri dopo che il padre, all’interno del suo negozio di alimentari, aveva accoltellato la madre a conclusione di un acceso litigio.
Un paese che ha perso la sua rotta, che non sa più dove sta andando e che rischia di sbattere contro uno scoglio, come la nave Costa Concordia, inabissandosi a due passi dalla terra ferma, a causa dell’incuria del suo capitano, provocando morti, feriti, dispersi. È questa l’impressione di chi ci guarda, di chi ci vede procedere spediti verso un baratro in una situazione dove la condizione in cui vivono le italiane non è altro che la cartina di tornasole.
A dirlo esplicitamente sono le Nazioni Unite che, dopo aver visionato il “Rapporto ombra” presentato a luglio a New York dalla socità civile (Actionaid, Arcs arci, Fondazione Pangea, associazione Differenza donna, Be free, Casa internazionale delle donne, fratelli dell’uomo, Giuristi democratici e le9), ha preso in seria considerazione la situazione di “arretramento e grave ritardo” dell’Italia, come suggerisce Violeta Neubauer – membro del Comitato Onu che vigila sull”applicazione della Convenzione internazionale per l”eliminazione delle discriminazione nei confronti delle donne -, rispetto a quelli che sono i diritti di genere che, in base alla suddetta Convenzione (Cedaw) ratificata nel 1985 dall’Italia, non riguardano solo le donne ma tutta la comunità in quando diritti umani.

Quello che emerge dalle reazioni del governo italiano, interpellato a luglio dal Cedaw su quanto riportato da questo rapporto, è, secondo Neubauer, non solo “la scarsa applicazione della convenzione internazionale a difesa dei diritti delle donne”, ma anche “il grave ritardo del nostro paese in questioni fondamentali come la rappresentanza politica”, una lacuna che perpetua il potere maschile che continua a varare “leggi fatte da uomini per gli uomini”, stereotipi culturali maschilisti che ormai, anche grazie alla passata legislatura, “hanno dilagato nella società, nella politica, nelle istituzioni”, in una situazione di negligenza del “parlamento italiano che non stimola il governo nell’avanzamento culturale e istituzionale”, e in cui gli stessi parlamentari, che anche come singoli hanno la possibilità e il dovere di punzecchiare e porre queste questioni all’esecutivo, rimangono inermi – esclusi pochissimi casi – di fronte alla cecità assoluta del governo.

Durante l’interrogazione del Cedaw diretta alle istituzioni italiane, quest’estate a New York, sullo stato dell’applicazione della Convenzione, erano presenti 20 rappresentanti istituzionali mentre 25 erano in collegamento, ma le risposte sono state considerate talmente “lacunose e incomplete” che il Comitato di controllo ha chiesto un rapporto scritto con risposte più precise che doveva essere pronto per il lunedì. Rapporto, come ci ha chiarito Neubauer a Roma, che non è mai arrivato.

Sulla base di questo quadro, e proprio perché la condizione delle donne può essere considerata come lo stato di avanzamento o arretramento di un paese, le Nazioni Unite hanno espresso grave preoccupazione in quanto, nello stato di crisi globale, l’Italia, nelle condizioni in cui è, potrebbe portarsi dietro il resto dell’Europa con un effetto domino che potrebbe essere devastante per la socità civile e in materia di diritti umani, compresi quelli basilari.

Non a caso le stesse Nazioni Unite hanno inviato in questi giorni Rashida Manjoo, esperta indipendente incaricata dal Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite per il monitoraggio della violenza contro le donne nel mondo, per verificare in maniera oggettiva e capillare la situazione della violenza di genere italiana che, insieme a lavoro e stereotipi, è tra i primi punti da risolvere nell’agenda istitituzionale italiana secondo le raccomandazioni inviate dal Cedaw.

Rachida Manjoo, docente al Dipartimento di Legislazione Pubblica dell’Università di Cape Town in Sud Africa, è relatore speciale sulla violenza contro le donne dal giugno 2009 nominata dal Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite per un periodo iniziale di tre anni, e come relatore speciale è indipendente da qualsiasi governo o organizzazione, e qui analizzerà le cause e le conseguenze della violenza di genere investigando su tutte le sue forme: domestica, violenza perpetrata o tollerata dallo Stato, violenza in ambito transnazionale, contro i rifugiati, richiedenti asilo e donne migranti, e alla fine della sua visita, il 26 gennaio, illustrerà durante una conferenza stampa, presso la Società Italiana per l”Organizzazione Internazionale (SIOI), i primi risultati di un rapporto che sarà poi riportato, con le raccomandazioni, nella 20a sessione del Consiglio dei Diritti Umani nel giugno 2012.

Ma perché tanta attenzione su un fenomeno che in Italia continua a essere considerato come un semplice fatto di cronaca nera e dove la stampa continua a descrivere il femmicidio come conseguente a “follia”, “raptus” o semplice “delitto passionale”?

Forse proprio per questo, forse perché in Italia non ci rendiamo ancora conto di dove siamo collocati rispetto al baratro, non ci rendiamo conto che siamo “più là che qua” e che, come ha sottolineato Neubauer, questo è un paese che negli utlimi anni “ha applicato regole sociali che hanno alimentano le diseguaglianze tra uomini e donne nella distribuzione delle risorse e del potere, con stereotipi di genere che hanno dilagato nella politica pubblica, nelle istituzioni, nella cultura”, ed è un paese che, lo ripetiamo, “quando è stato interpellato – continua Neubauer – il governo ha risposto in maniera generica e pedissequa, e malgrado l”esecutivo si fosse impegnato a pubblicare e divulgare la traduzione del rapporto e le raccomandazioni del Cedaw, non l”ha fatto, e non ce n”è traccia in nessun sito istituzionale, neanche in quello delle Pari opportunità”.

Ma un paese in cui dall’inizio dell’anno sono state uccise circa 12 donne, quasi una al giorno, per motivi di genere da mariti o conviventi, si può permettere ancora questa miopia? O forse dovrebbe riflettere sulle cause di questa barbarie, perché è di questo che stiamo parlando, cercando anche di riprendere il filo della matassa cominciando un serio e duro lavoro di soluzione? Prendendo le mosse da quello che ha suggerito ancora una volta Violeta Neubauer per cui “le donne non sono un problema ma una soluzione” e finché avremo “il problema degli stereotipi il resto non potrà essere risolto”, sottolineamo l’urgenza del problema culturale che in Italia, per chi ci vede da fuori, è a un livello “inconcepibile”.

Per questo facciamo un appello anche alla stampa che sta trattando i casi di femmicidio e di violenza, che hanno avuto un picco forse inusuale anche per noi, di trattare questi argomenti con la dovuta cognizione di causa, rendendosi conto che non si tratta di fenomeni isolati ma di un brodo culturale in cui questi casi proliferano in quanto “culturalmente” possibili, e quindi non sono atti di un folle ma di uomini cosiddetti “normali”, e che la “passione” non c’entra.

Come si legge nella raccomandazione del Cedaw al capitolo riguardante il femmicidio sul Rapporto ombra, il Comitato si dichiara “preoccupato per l’elevato numero di donne uccise da partner ed ex partner che può indicare un fallimento delle autorità dello Stato nel proteggere adeguatamente le donne vittime dei loro partner o ex partner”. Quindi una questione un po’ più ampia.

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