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La cultura che uccide le donne

'La denuncia-documento sull''Italia presentata a Ginevra da Rashida Manjoo, relatrice speciale dell''Onu sulla violenza di genere. "Femmicidio crimine di Stato". Di [Adriana Terzo]
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La cultura che uccide le donne
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26 Giugno 2012 - 10.19


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Non è una bella immagine quella dell”Italia che non solo fa poco o nulla per contrastare la violenza contro le donne ma che, addirittura, può essere additata dall”Onu come una nazione che copre questa barbarie – quella dei femmicidi – sia culturalmente che legalmente. La denuncia, puntuale e ferma nella sua sconveniente fotografia, arriva da Rashida Manjoo, relatrice speciale sulla violenza contro le donne delle Nazioni Unite che, su invito del nostro governo, ha visitato ufficialmente il nostro Paese lo scorso gennaio, incontrando i rappresentanti delle istituzioni italiane, gli esponenti della fondazione Pangea e le associazioni della piattaforma Cedaw. Ed ha stilato un documento che ha presentato ieri a Ginevra in occasione della ventesima sessione del Consiglio dei diritti umani.

E quello che dice e scrive Rashida è davvero allarmante. “Il femmicidio è l”estrema conseguenza delle forme di violenza esistenti contro le donne. Ma queste morti non sono isolati incidenti che arrivano in maniera inaspettata e immediata, ma sono l”ultimo efferato atto di violenza che pone fine ad una serie di violenze continuative nel tempo. Purtroppo – ha spiegato la relatrice – la maggioranza delle manifestazioni di violenza non sono denunciate perché vivono in una contesto culturale maschilista dove la violenza in casa non è sempre percepita come un crimine. Dove le vittime sono economicamente dipendenti dai responsabili della violenza e persiste la percezione che le risposte fornite dallo Stato non siano appropriate e di protezione. Femmicidio e femminicidio – cioè omicidi compiuti da uomini che uccidono la donne in quanto tali, ndr – sono crimini di Stato tollerati dalle pubbliche istituzioni per l”incapacità di prevenire, proteggere e tutelare la vita delle donne che vivono diverse forme di discriminazioni e di violenza durante la loro vita”.

Parole pesantissime nel silenzio assordante della politica e delle istituzioni. Perché il fenomeno – che dovrebbe essere all”ordine del giorno, esattamente come la riforma del Lavoro, cara ministra Elsa Fornero, lei che ha la delega anche alle Pari Opportunità – sta raggiungendo proporzioni allarmanti. Nel mondo, certo, ma soprattutto in Italia, settima potenza economica.

Secondo il dossier, risultato di 10 giorni di investigazione e analisi condotte in Italia personalmente da Rashida Manjoo a gennaio 2012, la violenza domestica è la forma più pervasiva di violenza con un tasso di prevalenza fino al 78%. Inoltre, gli atti di violenza domestica sono per la maggior parte gravi: il 34,5% delle donne ha segnalato di essere vittima di gravi incidenti violenti; il 29,7% lo ha dichiarato sufficientemente grave; mentre il 21,3% delle vittime si è sentita in pericolo quando la violenza è stata perpetrata. Eppure solo il 18,2% di quelle donne considera la violenza domestica un crimine e, anzi, il 36% lo accetta come un evento normale. Allo stesso modo, incredibile ma vero, solo il 26,5% delle donne considera lo stupro o tentato stupro come un crimine. Ancora qualche dato: la violenza domestica si riflette in un numero crescente di donne: dall”inizio degli anni Novanta è diminuito il numero di omicidi di uomini su uomini, mentre il numero di donne uccise da uomini è aumentato. Una relazione sul femmicidio basata sulle informazioni fornite dai media indicava che nel 2010 erano state 127 donne le donne assassinate (di cui il 70% italiane) da uomini, dei quali il 76% era italiano, dato che contrasta con l”opinione comune che tali crimini siano commessi da uomini stranieri. Nel 54% dei casi di femmicidio, l”autore è stato un partner o ex partner e in solo il 4% dei casi era un autore sconosciuto alla vittima. Le cause? Spesso in conseguenza di separazioni e di conflitti all”interno della relazione affettiva. Ma come abbiamo letto nel rapporto, per fattori più generali che rimandano ad una cultura profondamente maschilista che persiste nel nostro paese.

E l”impegno dello Stato, del nostro stato, è ancora insufficiente. Perché nonostante l”Italia abbia sottoscritto una serie di trattati internazionali (tra cui la Cedaw, Convenzione sull”eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne), i femmicidi e i femminicidi restano un problema enorme. Per almeno due motivi principali. Primo, perché nel nostro paese l”eccessiva frammentazione del quadro giuridico determina spesso inadeguate punizioni per i colpevoli con la conseguenza che spesso la violenza rimane nel silenzio. “L”estrema lungaggine delle procedure penali, il mancato rispetto delle misure di protezione civile, delle sanzioni pecuniarie e della detenzione inadeguata contro gli autori, indebolisce la natura protettiva di tale misura” ha spiegato Rashida nel documento. Secondo, perché i ritardi nel sistema di giustizia possono incidere anche nell”esito di un caso. “La legge di prescrizione, a causa dei ritardi del sistema, permette di far cadere nel dimenticatoio una causa. Inoltre, la mancanza di coordinamento tra giudici dei rami civile, penale e minorile, durante la gestione di misure di protezione, possono emettere sentenze contrastanti”.


Come, cosa fare?
“La violenza rappresenta un costo sociale economicoe culturale altissimo che grava sul presente e sul futuro dell”intera società italiana non solo sulle donne vittime di violenza e sulle loro figlie e figli” afferma Simona Lanzoni, coordinatrice della piattaforma Cedaw e direttrice dei Progetti di Fondazione Pangea Onlus. La quale, insieme alle associazioni Giuristi Democratici e Dire-Rete nazionale dei Centri antiviolenza, chiede al governo italiano “una immediata ratifica della convenzione di Istambul del 2011 per la prevenzione e il contrasto della violenza contro le donne e sulla violenza domestica; di stabilire un sistema appropriato di raccolta di dati su tutte le forme di violenza contro le donne, e i suoi costi sociali, in maniera coordinata tra tutti i ministeri competenti, l”Istat, Dire e le organizzazioni della società civile che operano sul tema con un approccio di genere; di rafforzare il coordinamento e lo scambio di informazioni tra magistratura, polizia, assistenti sociali, operatori della salute mentale e sanitari che vengono in contatto con situazioni di violenza sulle donne; di assicurare che i tempi di prescrizione siano più lunghi per i procedimenti penali relativi ai reati di stalking e agli abusi in famiglia; di colmare i vuoti normativi in materia di affido condiviso, attraverso la previsione di misure per la protezione di donne e minori vittime di violenza domestica diretta o assistita; di assicurare che tutti coloro che sono coinvolti nel settore del contrasto alla violenza sulle donne siano formati su tale argomento (assistenti sociali, operatrici e operatori sanitari, giudici, avvocate e avvocati, forze dell”ordine) ; di provvedere finanziamenti certi e continui nel tempo per le case rifugio esistenti ed i centri antiviolenza che lavorano con un approccio di genere; di prevedere programmi di educazione per le scuole e le università, sull”identità di genere, la sessualità consapevole, la decostruzione degli stereotipi e al contrasto della violenza; di formare giornaliste e giornalisti sui temi della violenza contro le donne e all”uso di un linguaggio appropriato per divulgare le informazioni sugli episodi relativi alla violenza di genere e alle discriminazioni”. “E sarebbe il caso che la ministra Fornero si esponesse su questo tema – conclude Simona Lanzoni – perché anche la violenza alle donne incide sul Pil italiano””.

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