Girls. Il postfemminismo ai tempi della crisi | Giulia
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Girls. Il postfemminismo ai tempi della crisi

Un nuovo telefilm Usa mette a nudo la realtà delle giovani negli States: fallimenti romantici circondati dalle tracce degli insuccessi professionali. Di [Carla Fronteddu]

Girls. Il postfemminismo ai tempi della crisi
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10 Maggio 2012 - 23.20


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Negli Stati Uniti tutti ne parlano da mesi e, inevitabilmente, l’eco è giunta fino a noi. Si tratta di Girls, la serie tv in onda dal 15 Aprile scorso sul canale statunitense HBO. Trenta minuti ad episodio per entrare nelle vite di Hannah, interpretata dalla creatrice e produttrice dello show Lena Dunham, Jessa, Marnie e Shoshanna, quattro ventenni che cercano di seguire le proprie aspirazioni in una New York incupita dalla crisi del mercato del lavoro.

Ed è proprio da uno spaccato di vita quotidiana ai tempi della crisi che la fiction prende avvio.

“Ti sei laureata due anni fa, ti abbiamo mantenuta per due anni ed è abbastanza” Così la madre di Hannah infrange l’atmosfera di un’insospettabile cena a ristorante, lasciando improvvisamente la figlia senza quel supporto economico indispensabile per mantenersi a New York, dove condivide con molti coetanei lo status di tirocinante a tempo indeterminato senza rimborso spese.

In molti hanno associato Girls ad un’altra serie tv culto che ha chiuso i battenti da ormai 8 anni: Sex and the city. Il confronto tra le due serie è quasi inevitabile; in entrambi i casi si tratta di quattro amiche newyorkesi che parlano si sesso, relazioni e lavoro e la stessa Dunham affronta il parallelo in molte interviste.

Tra le due serie, tuttavia, vi sono alcune dissonanze e la più evidente riguarda l’ambientazione. Dalle atmosfere eleganti e modaiole in cui si muovevano Carrie & company alle strade di Brooklyn solcate dalle giovani Girls, decisamente poco glam, Hannah in testa con le sue camicie che sembrano uscite dal baule della nonna.

Ma il budget non è l’unico elemento a segnare la distanza tra le quattro ventenni di Girls e le quarantenni di Sex and the City. Come ha scritto Alessandra Stanley sul The New York Times “Sex and the city raccontava fallimenti sentimentali circondati dai segni del successo, Girls offre fallimenti romantici circondati dalle tracce degli insuccessi”. Carrie, infatti, quando non si tormentava dietro Mister Big era una donna indipendente, entusiasta del suo lavoro e circondata da persone affermate e di successo. Hannah e le sue amiche, al contrario, sembrano condannate all’incertezza lavorativa e a vedere la propria indipendenza economica spostarsi sempre più lontano (“tutte le mie amiche sono mantenute dai propri genitori” protesta la protagonista quando la madre le comunica che non le verserà più un dollaro).

Ma c’è di più: se molte studiose negli ultimi anni hanno elevato Sex and the City a manifestazione del postfemminismo di massa, Girls sembra rappresentare il collasso o l’effetto perverso di un fenomeno che veniva già accusato da più parti di incarnare la corruzione del femminismo stesso.

Il postfemminismo era stato capace di inglobare le conquiste e i valori del femminismo degli anni Sessanta e Settanta, naturalizzandoli e svuotandoli di significato ma, soprattutto, era riuscito ad ancorare la costruzione della soggettività femminile al consumo.

Di questi tempi, tuttavia, risulta sempre più difficile soggettivars frequentando locali alla moda o calzando le celeberrime Manolo, e quindi cosa resta alle nipoti di Carrie, Samantha, Miranda e Charlotte?

A guardare Girls si direbbe che le ragazze di oggi, lontane (volontariamente o meno) dalle lusinghe del consumismo, si muovono sulle ceneri delle conquiste femministe, soprattutto nel campo della sessualità e dei rapporti con l’altro sesso.

Hannah è coinvolta con un ragazzo che, a suo stesso dire, la tratta come una prostituta, ma che si ostina a cercare, concludendo rapporti sessuali che non le procurano alcun orgasmo. Le tiene compagnia Marnie, che ogni tanto si intrufola nel suo letto per evitare le avances del suo fidanzato e in assenza di via di fuga cede al solo scopo di compiacerlo, naturalmente senza traccia di desiderio. Ogni episodio è condito da scene di sesso molto esplicite, che tuttavia emanano lo stesso erotismo dei documentari sull’accoppiamento dei pinguini. Le Girls saltano da un amplesso all’altro perdendo per strada ogni consapevolezza del proprio corpo e del proprio piacere: non usano o usano male i preservativi, non conoscono le malattie veneree, salvo poi andare nel panico e correre a fare in test dell’HIV, non chiedono piacere e condivisione ai propri compagni, ma si lasciano usare quasi con indifferenza.

Completano la lista delle protagoniste di Girls Shoshanna che è vergine e vive questa sua condizione come il peggior fardello e Jessa che scopre di essere incinta al termine del primo episodio.

La gravidanza di Jessa permette alla Dunham di introdurre, già nella seconda puntata, il tema dell’aborto e lo fa in maniera decisamente contraddittoria. Se apparentemente le amiche si impegnano ad organizzare “il miglior aborto” per Jessa, dandosi appuntamento in clinica e portando con se anche la merenda (!), non risparmiano commenti al vetriolo a partire da Hannah, che sostiene di non aver simpatia per chi non utilizza i preservativi.

In un’intervista ad Alessandra Farkas (Corriere della sera, 1 maggio 2012) la femminista Erica Jong ha sostenuto che “le ventenni americane di oggi hanno calpestato decenni di conquiste femministe, catapultando la condizione della donna indietro di un secolo”. C’è da chiedersi se abbiano fatto tutto da sole.

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