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Sino a tutti gli anni Cinquanta c”erano ancora tante italiane col fazzoletto in testa, spesso nero, perché nelle famiglie numerose delle campagne trivenete o meridionali ad un lutto succedeva un altro lutto senza soluzione di continuità. I servizi Rai o Luce, dalle terre del rimorso alla tragedia del Vajont alle migranti che con valige di cartone affollavano porti e stazioni, lo testimoniano. Ma spesso la testa coperta nascondeva un segreto…
Nel Piemonte cuneese, nelle belle valli occitane, ad Elva, c”è una chiesetta con affreschi fiamminghi trecenteschi (http://www.comunelva.it/ch_affreschi_arredi.htm / http://www.vallidicuneo.net/elva.htm) che quest”estate ospita anche una mostra fotografica sugli alpini elvesi impeganti nei fronti russi, greco albanesi e ai confini con la Francia nella seconda guerra mondiale e, lì accanto, un museo etnologico sulla vita “”d ”na vota” (di una volta) fra Ottocento e primi del ”900, quando questo paesino di montagna, dove ora vivono 100 persone nel periodo estivo – d”inverno circa 30, contava circa 1300 abitanti (tra il 1903 e il 1905), i quali si erano inventati un mestiere interessante: i Caviè (in piemontese), o Pels (in occitano), ovvero parruccai .
I “parruccai” andavano in giro per tutta l”Italia a cercare donne che vendessero loro le trecce, ma soprattutto nel Friuli e nel Veneto dove c”era molta povertà e le donne erano disposte a tagliarsi i capelli nella parte superiore della testa, lasciandoli lunghi ai lati, e a mettere un fazzoletto in testa per coprire la zona tagliata in cambio di denaro o barattandoli con le stoffe. Le trecce più ricercate erano quelle bianche (meglio se di donne albine, soprattutto raccolte in Valle d”Aosta) da esportare in Inghilterra per le parrucche dei Lord inglesi…
Erano tempi di bisogno estremo, nei quali le donne erano proprietarie soltanto del proprio corpo. Neanche tutto, per la verità, visti i matrimoni imposti, gli aborti clandestini, le violenze domestiche. Assieme alle testimonianze fisiche del commercio di capelli, il museo propone anche un documentario che raccoglie testimonianze di anziani. Ecco cosa racconta un vecchio elvese:
“Una donna di Elva (anche loro erano poveri e molte donne vendevano le trecce ai vicini di casa) che aveva sposato un uomo che aveva delle terre, ma che spendeva tutto in vino all”osteria, aveva osato vendere delle lenticchie in cambio di alcune stoffe per farsi un vestito. Il marito, tornato a casa ubriaco, le aveva gridato: – come hai osato comprare delle stoffe per te con le lenticchie che nascono sulle MIE terre?! – e giù botte…
L”anno dopo la donna decise di vendere i suoi capelli per potersi comprare una giacca per ripararsi dal freddo. Quando il marito tornò a casa e vide la giacca era già pronto a picchiarla, ma lei lo fermò togliendosi il fazzoletto dalla testa e mostrando i capelli tagliati: -Le lenticchie nascono sulla tua terra e tu ne sei il padrone, ma i miei capelli nascono sulla mia testa, non vorrai essere padrone anche della mia testa!- E finalmente quell”inverno la donna potè scaldarsi con la sua nuova giacca”.
Servono commenti?!
Se qualcuna approfittando delle vacanze estive volesse passare anche dal museo:
http://www.marcovaldo.it/pagine/ita/luogo_gal.lasso?id=4E98738B079842AD62qrQODC6D38
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