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L”altro ieri mi sono vista notificare (“il presente atto vale quale informazione di garanzia…”) un avviso della Procura della Repubblica di Foggia. Sono indagata – le indagini sono terminate, e io attendo di conoscere il mio destino – per aver usato, su Facebook, “espressioni denigranti” riferite al manifesto utilizzato, nel 2012, da una scuola professionale di Foggia.
Uscendo dal comando dei vigili ho avuto un sobbalzo, anche perché nella mia carriera di giornalista non mi era mai successo, pur essendomi occupata per anni di argomenti bollenti per antonomasia, come la nera e la giudiziaria.
Ora mi ritrovo a dover ricorrere a un avvocato e scrivere memorie difensive (però se voglio posso anche andare a Foggia di persona: è appena dietro l”angolo, in effetti) per aver espresso nei modi abituali di Facebook, e in un linguaggio colorito ma non maleducato, una critica a un manifesto che raffigurava una bimbetta truccatissima che si passava il rossetto sulle labbrucce protese.
Quel manifesto mi appariva offensivo e bruttissimo sotto vari punti di vista. La signora che ha sporto denuncia si ritiene denigrata perché ho scritto (lo leggo nella notifica) sulla pagina Facebook mia e loro: “I vostri manifesti e i vostri banner sono semplicemente raggelanti… Complimenti per la rappresentazione della donna che offrite… Negli anni Cinquanta vi hanno ibernato e poi svegliati?”.
Mi viene contestato anche l”aver scritto (sulla mia bacheca), citando l”indimenticabile zio Paperone e parafrasando il loro manifesto, l”espressione: “Anche io ho sempre avuto le idee chiare, chi concepisce un manifesto simile andrebbe impeciato e impiumato”.
Qualcuno dice: in certi casi basta chiedere scusa. Mi scuserei se avessi calunniato o diffamato, se avessi dato del corrotto, del ladro o del truffatore a qualcuno che non lo è. Ma la bruttezza e anche l”ambiguità di quel manifesto le confermerei anche mille volte, il fatterello di per sé è insignificante, ma per me rappresenta una questione di principio – la libertà di critica e di opinione – e i principi si difendono, anche a costo di seccature.
Sono una giornalista disoccupata senza sussidi da tempo, e ogni spesa mi preoccupa un po”. Anche le perdite di tempo, visto che ormai campo di lavori editoriali in autonomia. Però trovo inaccettabile che su un social network si venga perseguiti non per aver detto il falso o infangato gratuitamente enti o persone, ma per aver espresso un”opinione che può piacere o non piacere, ma considero più che legittima e manifestata nei modi consoni all”ambiente.
Zittire la gente è una gran brutta cosa, e mi dispiace vedere profuse energie giudiziarie in fatti del genere, come se le procure non avessero del lavoro serio da svolgere.
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