C’è la madre del figlio sconfitto dalla vita che continua a sostenerlo con immutata dedizione e la madre che con un gesto irreparabile ha soffocato nella culla il suo bimbo di pochi mesi. La madre che ama morbosamente il figlio adolescente e quella che ha chiuso la porta in faccia al figlio drogato (e troppe volte perdonato) ma ora lo piange con inutili sensi di colpa. Coraggio, ansia, dolore, depressione, impotenza si intrecciano nella Ballata delle madri perdute di Vanna Mazzei, otto poesie dedicate al lato oscuro della maternità, dove il disagio, a volte, si coniuga con un’inaspettata violenza.
Poesie che dialogano con le opere delle artiste Silvia Manazza e Barbara Pietrasanta, otto sculture e altrettanti quadri che raccontano l’altra faccia della maternità. Spiega Barbara Pietrasanta: «Siamo rimaste colpite dalle poesie di Vanna, che a volte sono un vero pugno nello stomaco. Sono gli stessi argomenti che ci stanno a cuore. Silvia trasforma materassi lavorando con i simboli dell’infanzia come mondo perduto e negato. Io esploro con le mie figure sospese fra reale e sogno lati inconsci, difficili da accettare, della femminilità».
La mostra “Madri perdute” inaugura mercoledì 12 ottobre alle ore 18, alla Casa delle donne di Milano (via Marsala 8) e prosegue fino al 19 ottobre con incontri e proiezioni. Si tratta di un percorso aspro e difficile ma anche liberatorio, nel tentativo di affrontare e comprendere una realtà scomoda, di sollevare il velo della retorica per presentare una visione dolente e reale delle complesse sfumature del materno.
All’inaugurazione seguirà un dibattito moderato da Grazia Longoni, con Gabriella Mariotti, psicanalista; Sveva Magaraggia, sociologa; Giovanna Pezzuoli, giornalista; Ofelia Valentino, giurista. Venerdì 14 ottobre, alle ore 19, l’attrice Lucia Vasini leggerà le poesie di Vanna Mazzei, mentre mercoledì 19 ottobre (sempre alle 19) verrà proiettato il film Maternity Blues (2011, regia di Fabrizio Cattani, menzione speciale Premio Lina Mangiacapre, 68° Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia), che intreccia le storie di quattro madri infanticide rinchiuse in un ospedale psichiatrico giudiziario. Tratto da un dramma di Grazia Verasani, il film di Cattani confuta, sciogliendolo in una narrazione mesta ma realistica, il pregiudizio lombrosiano, che ancora oggi persiste, secondo cui la madre omicida sarebbe «un errore di natura».